THE NEW CZECH CULTURE MINISTER: END OF A POLITICAL CRISIS?

Il nuovo Ministro della Cultura ceco: fine di una crisi politica?

di Cristiana Peconi[1]

Martedì 27 agosto il Presidente della Repubblica ceca Miloš Zeman ha nominato Lubomír Zaorálek nuovo Ministro della Cultura, ponendo fine alle contrapposizioni che per mesi hanno interessato la politica del paese minacciando una crisi di governo.

La crisi ha avuto inizio a metà maggio 2019, quando il Ministro della Cultura Antonin Staněk (membro del partito social-democratico ČSSD) aveva annunciato le dimissioni dal suo incarico, a seguito delle forti contestazioni suscitate dal licenziamento (per irregolarità riscontrate nei bilanci), da parte del Ministro, del direttore della Galleria Nazionale di Praga Jiří Fajt e del direttore del Museo di Arte Moderna di Olomouc Michal Soukup. A richiederne le dimissioni erano stati gli stessi esponenti del partito ČSSD parte della coalizione di governo (l’esecutivo è diretto dal Primo Ministro Andrej Babiš leader del partito populista ANO 2011) che avevano indicato come sostituto Michal Šmarda. Come stabilito dalla Costituzione, il Presidente della Repubblica, oltre a nominare il Primo Ministro e i componenti del Governo, è tenuto anche ad accettarne le dimissioni (art. 62); Zeman invece, già alla fine di maggio, si era rifiutato di accettare le dimissioni del Ministro (appellandosi alla mancanza di un termine previsto per l’accoglimento della domanda) e aveva rigettato la proposta di nominare Šmarda, ritenendolo professionalmente non adatto al ruolo istituzionale. A creare ulteriori tensioni è stato poi lo stesso Babiš che, se inizialmente aveva sollecitato il capo dello Stato ad accogliere le dimissioni del Ministro, successivamente aveva dichiarato che non avrebbe più sostenuto la candidatura del partner di coalizione. Diretta conseguenza del ritardo nella nomina del nuovo Ministro è stata la minaccia del ČSSD di lasciare la coalizione di governo (che avrebbe potuto portare ad elezioni anticipate).

Lo stallo riguardante la nomina del Ministero della Cultura si inserisce in una più ampia crisi generale che da anni sta investendo tutte le istituzioni del paese, dal Capo dello Stato al Primo Ministro al Governo intero.

La Repubblica Ceca è una Repubblica “parlamentare”, nella quale il Presidente è Capo dello Stato e il Primo Ministro è Capo del Governo, responsabile nei confronti del Parlamento.

Il Parlament České Republiky è composto da due Camere, il Senato (o Camera Alta) e la Camera dei Deputati (Camera Bassa) eletti a suffragio universale e il cui numero di membri, durata del mandato e poteri differiscono: il primo è composto da 81 senatori (rinnovati per un terzo ogni due anni con sistema maggioritario a due turni, artt. 16-18 Costituzione) in carica per sei anni, mentre la seconda è formata da 200 membri eletti ogni quattro anni con sistema proporzionale (artt. 16-18). La differenza più importante riguardo ai compiti attribuiti alle Camere è relativa al fatto che il Senato non è chiamato a votare mozioni di fiducia o sfiducia nei confronti del Governo: tale compito infatti spetta solamente alla Camera Bassa, che dunque gode del controllo diretto sull’Esecutivo (art. 68). Le ultime elezioni per il Senato tenutesi nell’ottobre 2018 hanno garantito 10 seggi al partito di centro-destra ODS (27,86%), 5 all’indipendentista STAN (11,3%), 2 ai democratici cristiani KDU-CLS (8,3%) e solo 1 ad ANO 2011 di Babiš e 1 al ČSSD di Jan Hamáček.

Le ultime elezioni della Camera Bassa invece si sono tenute il 20-21 ottobre 2017 ed hanno attribuito la maggioranza relativa dei voti al Partito ANO 2011 con il 29,6% dei voti, seguito dal partito di centro-destra ODS (11,3%), dal partito liberale Pirata (10,8%) e dal social-democratico ČSSD (7,3%). In base alla Costituzione, il leader del primo partito deve essere incaricato dal Capo dello Stato della formazione del Governo, che dovrà ottenere la fiducia dalla Camera dei Deputati (art.68).

I problemi interni alla politica ceca sono emersi già subito dopo queste elezioni, poichè Babiš, leader del partito vincitore si trova in difficoltà ad individuare un possibile partner di coalizione tra i partiti che avevano ottenuto più voti a causa degli scandali finanziari che lo avevano travolto: è stato dunque costretto ad optare per una coalizione di minoranza con il ČSSD, con il sostegno esterno dei comunisti del KSČM. Il Governo è entrato ufficialmente in carica il giugno 2018, dopo otto mesi di negoziazioni e l’ottenimento della fiducia da parte della camera dei deputati. Dal suo insediamento, la coalizione di governo ha più volte mostrato numerose debolezze, tanto che il Ministro della Cultura è solo l’ultimo dei componenti che l’hanno abbandonata: prima erano stati estromessi il Ministro dei Trasporti Dan Tok, il Ministro del Commercio e dell’Industria Marta Nováková e il Ministro della Giustizia Jan Kněžínek.

Per quanto riguarda il Presidente Zeman (fondatore del partito di centro-sinistra SPO e già Primo Ministro come leader dei social-democratici nel quadriennio 1998-2002), si tratta del primo Capo di Stato ceco che abbia assunto la carica tramite un’elezione diretta da parte dei cittadini (art. 54 Costituzione), mentre fino al 1° ottobre 2012 era prevista l’elezione da parte del Parlamento in seduta comune. Zeman è al suo secondo ed ultimo mandato (secondo le disposizioni costituzionali che pongono un limite massimo di due mandati consecutivi di cinque anni ciascuno, all’art. 57): le prime elezioni presidenziali le ha vinte nel gennaio 2013, al ballottaggio con Karel Schwarzenberg (con il 54,8% dei voti), mentre le ultime lo hanno visto vincitore nel ballottaggio tenutosi il 25-26 gennaio 2018 contro Jiří Drahoš (con il 51,4% dei voti). Tra i vari poteri attribuiti dalla Costituzione al Capo dello Stato (oltre alla nomina dei componenti del Governo citata in precedenza) si ricordano la possibilità di scioglimento della Camera dei Deputati (art. 62), la nomina dei giudici della Corte Costituzionale (art. 62), la possibilità di rinviare alle camere un disegno di legge (ad esclusione delle leggi costituzionali, artt.50-62), la rappresentanza del Paese all’estero e la negoziazione e ratifica dei trattati internazionali (art.63).

Per il Presidente la vicenda legata all’avvicendamento del Ministro della Cultura è solo l’ultima di molteplici contestazioni che gli sono rivolte; non è infatti la prima volta che viene criticato per aver violato i suoi doveri costituzionali: già durante una crisi di governo nella legislatura precedente, scoppiata nel maggio 2017, Zeman indugiò nell’accettare le dimissioni dell’allora Ministro delle Finanze Babiš (poi sostituito da Ivan Pilný per porre fine alla crisi) accusato di evasione fiscale e frode ai danni dell’Unione Europea.

Le dimissioni di Staněk sono state accettate solo il 31 luglio e il ČSSD è stato costretto ad individuare in Lubomir Zaorálek l’alternativa a Šmarda per poter superare lo stallo politico; d’altra parte Zeman, gestendo di fatto i tempi per l’alternarsi alla carica a proprio piacimento e conscio della debolezza della coalizione di governo, ha obbligato i social-democratici ad adeguarsi alla propria volontà, indebolendoli politicamente. Tale comportamento del Capo dello Stato (noto anche per i suoi legami con Russia e Cina e per la retorica contro migranti e islamismo) fa ipotizzare ai costituzionalisti che la violazione della Costituzione possa essere lo strumento di Zeman per espandere sempre più i propri poteri e l’influenza sull’attività politica, trasformando la forma di governo della Repubblica Ceca in un effettivo semi-presidenzialismo. Lo stesso Babiš si trova in una posizione tale da non poter rappresentare un contrappeso all’ingerenza del Presidente: le accuse di frode per i finanziamenti ottenuti dall’Unione Europea hanno suscitato manifestazioni di piazza di cittadini che ne chiedevano le dimissioni; qualora tali accuse si dovessero rivelare fondate, la pressione esercitata da Zeman sui partiti e la sua possibilità di concedere amnistie (art. 63 Costituzione) potrebbero evitare al Primo Ministro una condanna e la perdita della carica.

In conclusione, la nomina di Zaorálek ha sicuramente scongiurato una crisi di governo, ma non ha posto fine al precario equilibrio politico del paese; al contempo, ha messo ancora più in luce il progressivo deterioramento della democrazia parlamentare nella Repubblica ceca.

Fonti

“Czech President Zeman rejects resignation of Culture Minister”, Kafkadesk, 30 maggio 2019, https://kafkadesk.org/

  1. Lazarová, “Emergency talks expected to decide czech government’s fate on Tuesday”, Radio Prague International, 1 luglio 2019, https://www.radio.cz/en/static/who-is-who
  2. Tidey, “Czech junior coalition partners threaten government over culture ministry”, Euronews, 16 luglio 2019, https://it.euronews.com/

“Rep. Ceca: ricomposta la crisi di governo”, Ansa, 22 agosto 2019, http://www.ansa.it/  

  1. Gosling, “Why is the Czech government in crisis and will it collapse?”, Al Jazeera, 29 luglio 2019, https://www.aljazeera.com/
  2. Palickova, “The Czech president’s summer power play comes to an end”, Euractiv, 23 agosto 2019, https://www.euractiv.com/

“Praga, ancora guai per il governo Babis, che per ora non cade”, Askanews, 15 luglio 2019, http://www.askanews.it/

[1] Università degli Studi di Milano

Questa voce è stata pubblicata in EUROPA CENTRO-ORIENTALE, Repubblica ceca e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.