NORTHERN IRELAND. MODERN TROUBLES THREATEN 20-YEAR PEACE

IRLANDA DEL NORD. I MODERNI TROUBLES MINACCIANO LA PACE VENTENNALE.

di Eleonora Maria De Blasio*

Delle regioni che compongono il Regno Unito, l’Irlanda del Nord è sicuramente la più lacerata. Per oltre vent’anni, l’Accordo del Venerdì Santo ha solo apparentemente sanato le ferite di una convivenza forzata e diffidente tra gli unionisti protestanti fedeli alla corona britannica e i nazionalisti cattolici favorevoli alla riunificazione dell’isola irlandese. Difatti, dal mese di aprile 2021 alcune città nordirlandesi sono scosse da una nuova preoccupante ondata di violenze.

L’elenco delle ingiustizie sofferte dall’Ulster è lungo. Prima la plantation che spedì masse di inglesi ad occupare le terre confiscate agli autoctoni irlandesi in periodo coloniale; poi la partition dell’isola che consacrò una delle più grandi ingiustizie subite dal popolo irlandese, la divisione dell’isola in due parti, pensata per assicurare all’Impero Britannico il controllo delle più ricche sei contee dell’Ulster, poggiando la propria forza sulla fedeltà della locale maggioranza protestante; successivamente, a partire dai primi anni ’70,  l’inizio dei trentennali Troubles che gettarono l’Irlanda del Nord nel caos e nella violenza, causando quasi quattromila morti; infine, l’ennesima ingiustizia, la Brexit, in grado di scontentare entrambi i segmenti etnico – nazionali delle sei contee dell’Irlanda del Nord, esasperando la crisi di un tessuto sociale precario e indebolito.

Quella nordirlandese è oggi una società fortemente in crisi, dove diffidenza, sospetto e sfiducia la fanno da padrone e ogni episodio di attrito tra le due comunità ha il potenziale di divenire un evento in grado di sovvertire quella precaria stabilità della società dai novantanove muri della pace. È quanto successo ad inizio aprile nella contea di Armagh, dove non solo si sono svolte parate non autorizzate di lealisti ma, soprattutto, si sono susseguiti episodi di disordini tra giovanissimi militanti lealisti, istigati dai capi di alcune organizzazioni paramilitari, e che hanno causato oltre cinquanta feriti tra le forze dell’ordine intervenute per sedare i tumulti. Episodi violenti e allarmanti, questi, che si sono diffusi fino a raggiungere la capitale, Belfast.

Le ragioni sono molteplici, alcune minori, altre cruciali. Da una parte, la decisione delle autorità di polizia nordirlandesi di non procedere legalmente nei confronti degli esponenti politici del partito Sinn Féin colpevoli di aver violato le disposizioni di distanziamento sociale in occasione del funerale di Bobby Storey, ex leader dell’Irish Republican Army, organizzazione paramilitare storicamente al servizio della causa dei cattolici nazionalisti; dall’altra, alcune operazioni antidroga condotte contro i membri dell’Ulster Defense Association. Infine, la più importante di tutte le motivazioni: il duplice torto vissuto sia dalla popolazione nazionalista sia da quella unionista a partire dal referendum sulla Brexit del giugno 2016.

Per quanto riguarda il nazionalismo, spicca lo sconforto percepito dalla minoranza cattolica desiderosa di riunirsi alla Repubblica d’Irlanda, privata dell’opportunità di percepire in misura minore la tradizionale separatezza da quest’ultima a causa dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Ai tempi del referendum, infatti, la popolazione dell’Irlanda del Nord si era espressa a favore del perseguimento del progetto comunitario, scegliendo di rimanere all’interno dell’UE. In seguito, gli accordi e le decisioni portate avanti da Boris Johnson hanno esacerbato l’insofferenza della popolazione cattolica e inasprito le tensioni nei confronti dei protestanti dopo vent’anni di pace dall’Accordo del Venerdì Santo: le piccole conquiste ottenute nel 1998 hanno corso il rischio di essere vanificate dagli accordi tra Londra e Bruxelles e dalla concreta eventualità di una cancellazione della porosità del confine tra le due sezioni dell’isola, scenario inaccettabile per la comunità nazionalista decisa a ottenere, prima o poi, la riunificazione dell’isola irlandese.

Sul versante unionista, ad alimentare la rivolta dei lealisti è stata, d’altra parte, la prevedibile strategia di Boris Johnson che, a fronte dei diffusi malumori tra la popolazione, degli episodi di violenza sempre più frequenti e delle forti pressioni americane, si è indirizzata a preservare la porosità del confine tra le due sezioni dell’isola, optando per l’istituzione di un confine de facto nel mare d’Irlanda, tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord, reso possibile dal meccanismo di backstop così da agevolare gli accordi commerciali con l’Unione europea. Le reazioni nel campo unionista non sono tardate ad arrivare: diffusa sfiducia nell’operato di Londra, sentimento di abbandono, preoccupazione per le possibili conseguenze sull’economia interna nordirlandese a causa degli accordi raggiunti con Bruxelles e, non da ultimo, angoscia legata all’inevitabile sorpasso demografico da parte della porzione cattolica e dal rischio, sempre più concreto, che un futuro referendum a favore della riunificazione con la Repubblica d’Irlanda possa avere successo.

Gli episodi recenti in Irlanda del Nord non hanno tardato di farsi sentire a livello internazionale causando diffuse preoccupazioni in Europa e oltre Atlantico in merito ad una nuova guerra civile della Provincia nordirlandese. Il portavoce del Dipartimento di Stato USA Ned Price si è spinto a chiedere a Londra che lo storico Accordo del Venerdì Santo, che ha sorretto la pace tra nazionalisti e unionisti negli ultimi vent’anni, non diventi una vittima degli interessi economici e politici della Brexit, ennesima prova di quanto poco basti per riaccendere la tensione e rendere evidenti i muri ideologici che percorrono la società nordirlandese.

Le crescenti tensioni in Irlanda del Nord sono un nervo scoperto per il Regno Unito, alle prese con lo sforzo di dotarsi di una nuova strategia politica in questa delicata epoca pandemica, e rischiano di trasformarsi in una profonda ferita. L’esito di questa ennesima prova di forza nelle contee nordirlandesi evolve, per ora, all’insegna dell’incertezza più assoluta per il governo di Boris Johnson, incapace sia di sedare le rivolte e ripristinare una nuova stagione di pace nordirlandese sotto l’egida di Londra, sia di neutralizzare quelle vulnerabilità geopolitiche domestiche che continuano a fare per molti versi del Regno Unito uno Stato nazione che intrappola al suo interno territori e identità desiderose di autodeterminarsi, perpetuando un retaggio coloniale duro a morire ma prossimo a crollare.

FONTI:

  • Bellocchio, I sicari della pace. L’Irlanda del Nord e lo spettro di una nuova guerra civile, Meltemi, 2019
  • Lyons, Amy Cassidy, Niamh Kennedy and Peter Taggart, Bus torched in more Northern Ireland violence as British and Irish leaders call for calm, CNN, 2021
  • De Luca, Gli scontri in Irlanda del Nord. Le notti di Belfast, ISPI Online Publications, 2021
  • Wilford, Northern Ireland: The Politics of Constraint, Parliament Affairs, 2019
  • Dyer, L’Irlanda del Nord è la nuova vittima di Boris Johnson, Internazionale, 2021
  • O’Carroll, Northern Ireland unrest: why has violence broken out?, The Guardian, 2021

* Laureanda magistrale in Scienze Politiche e di Governo, Governance e processi decisionali presso l’Università degli Studi di Milano

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