LULA WON, BOLSONARO IS NOT DEFEATED

LULA HA VINTO, BOLSONARO NON È SCONFITTO

 

di Marco Morra[1]

La vittoria di Luis Inácio Lula da Silva alle elezioni presidenziali dello scorso 30 ottobre in Brasile comporta la momentanea interruzione della reazione neoliberale, che ha avuto in Jair Bolsonaro il suo principale rappresentante nel subcontinente, e consolida quella che viene considerata una nuova ondata progressista nella regione, dopo la vittoria di Gabriel Boric in Cile e di Gustavo Petro in Colombia. Tuttavia, se Bolsonaro non ha ottenuto il secondo mandato presidenziale, il bolsonarismo resta un avversario temibile, avendo conquistato il Senato e guadagnato i governatorati degli Stati più popolosi del paese, a cominciare da São Paulo. Lula non solo eredita un paese diviso e più povero di quello che aveva lasciato dopo il suo secondo mandato (2007-2010), bensì rischia di non trovare sufficienti margini di manovra per realizzare le politiche sociali e redistributive a cui aspira, nei limiti di un’intesa con gli altri partiti dell’arco democratico senza la quale non potrebbe tener testa al suo avversario. La minaccia della destra bolsonarista costringe il leader del Partido dos Trabalhadores (Pt) a cercare appoggi in settori del centro e perfino del centro-destra, da cui proviene il suo candidato vicepresidente, Geraldo Alckmin, cosicché il tentativo di realizzare una conciliazione nazionale e democratica tra le parti sociali non renderà facile neppure l’attuazione delle riforme minime per garantire inclusione e diritti sociali.

Una situazione non molto diversa da quella di Boric in Cile. In carica dall’11 marzo del 2022, il presidente neoeletto ha vinto il ballottaggio contro l’avversario di estrema destra, José Antonio Kast, con il 55,8% dei voti contro il 44,1%, alla testa di una coalizione di sinistra, composta da Frente Amplio e Partito Comunista, e sulla base di un programma non di certo massimalista. Per realizzare le riforme richieste dai suoi elettori, tuttavia, dovrà fare in conti con l’opposizione, maggioritaria in parlamento, e con un alleato scomodo, il centro-sinistra, il cui appoggio è risultato indispensabile alla vittoria contro Kast e per conservare, ad oggi, la maggioranza governativa. L’alleanza con i socialisti e i social-liberali, infatti, prosegue non senza significative divergenze, emerse specialmente durante i lavori dell’Assemblea costituente e in occasione del referendum del 4 settembre 2022, allorquando una parte del centro-sinistra ha bocciato il nuovo testo costituzionale. Cosicché, ad oggi, importanti misure come l’abolizione della legge sulla pesca, che attribuisce il monopolio ittico a sette grandi compagnie, la riforma delle pensioni, che dovrebbe migliorare la situazione di migliaia di pensionati costretti a vivere al di sotto della soglia di povertà, e la riforma tributaria in senso progressivo, restano ostaggio di un dibattito parlamentare che rischia di essere senza vie d’uscita.

A ben vedere, se le sinistre si pongono nuovamente alla guida dei paesi latinoamericani, molte delle sfide che dovranno affrontare restano di non facile realizzazione. La lotta all’indigenza e alle diseguaglianze dovrà fare i conti con la recessione economica che si prospetta nello scenario globale, l’impegno contro la deforestazione dell’Amazzonia e la devastazione ambientale con lo sfruttamento intensivo e sregolato delle risorse ad opera dei grandi gruppi privati. In entrambi i casi, non si potrà negligere il dato fondamentale che un cambiamento strutturale nei paesi della regione implicherebbe il superamento del modello estrattivista, che attribuisce alle loro economie il ruolo subalterno di esportatrici di materie prime nel mercato mondiale. Di conseguenza, sono i pilastri stessi del neoliberismo che dovranno essere messi in discussione nel subcontinente, come la centralità dello Stato minimo, la preminenza del settore privato nel campo dei beni e dei servizi essenziali, le liberalizzazioni a favore dell’industria agroalimentare ed estrattiva.

In molti paesi dell’America Latina, a cominciare da Cile e Brasile, le destre neoconservatrici e ultraliberiste, sul modello di Donald Trump, Bolsonaro e Kast, dispongono di un solido consenso elettorale, restano ben radicate nelle istituzioni e detengono il controllo di importanti mezzi di comunicazione. D’altra parte, il colpo di Stato che spodestò il presidente Evo Morales in Bolivia, il 10 novembre 2019, interrompendo l’attuazione del suo programma di nazionalizzazione del gas e del litio, è rivelatore della fragilità delle democrazie latinoamericane. In queste circostanze, i nuovi governi progressisti avranno non pochi problemi ad articolare le riforme strutturali e le politiche redistributive necessarie a preservare il consenso delle fasce più svantaggiate della popolazione. A maggior ragione se proveranno a farlo nel quadro del consociativismo, dialogando con un centro moderato che, in paesi come il Cile, già esita a rinunciare ai privilegi acquisiti, e senza l’ausilio delle mobilitazioni sociali, che hanno preceduto in questi anni e preparato in maniera forse determinante, tanto in Cile quanto in Colombia, l’ascesa della sinistra.

FONTI

[1] Dottorando in Studi Internazionali all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.

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