WESTERN SAHARA: TRUMP’S GIFT TO MOROCCO (AND ALSO NETANYAHU SAYS THANKS)

SAHARA OCCIDENTALE: IL DONO DI TRUMP AL MAROCCO
(E ANCHE NETANYAHU
RINGRAZIA)

di Alessandro Gavazzi*

Western Sahara

I recenti sviluppi verificatisi agli inizi di dicembre lungo la costa nord-ovest del continente africano accendono nuovamente i riflettori su una questione che spesso passa in secondo piano all’interno del contesto regionale, messa in ombra da altri eventi che ricevono una maggiore attenzione internazionale e una più ampia copertura mediatica.

La regione del Sahara Occidentale (Western Sahara) è solitamente nota più per le ricchezze del suolo e i suoi giacimenti minerari: nella zona si trovano le principali riserve mondiali di fosforite, dalla quale viene ricavato il fosforo, elemento fondamentale nei processi di fertilizzazione. Si stima che, in futuro, il fosforo acquisterà un’importanza sempre maggiore per la produzione agricola mondiale; il suo valore commerciale è destinato a crescere di conseguenza, rendendo la zona sempre più centrale nelle dinamiche regionali (e non solo). Per avere un’idea della sconfinata abbondanza di questo elemento nella regione è sufficiente considerare che il Sahara Occidentale detiene il 72% del totale delle riserve mondiali. Il secondo paese in questa classifica, la Cina, ne possiede appena il 6%. Inoltre, l’abbondanza dei giacimenti di idrocarburi offshore e l’eccezionale pescosità al largo delle coste – le più ricche tra i paesi africani affacciati sull’Atlantico – concorrono a giustificare l’appeal economico della regione, principale motivo che spinge il Marocco a reclamarne il possesso.

Tuttavia, la recente attenzione riconosciuta al Western Sahara è legata a questioni di natura politica, più che prettamente economiche. La regione si è infatti guadagnata uno spazio –seppur limitato – sulle pagine dei quotidiani in seguito alla decisione dell’amministrazione Usa di riconoscere la sovranità marocchina su tale territorio, legittimando le posizioni del Marocco. Da 45 anni il Paese nordafricano cerca infatti di estendere il suo controllo su quella che, agli occhi di Rabat, è a tutti gli effetti una provincia dello stato nazionale, i cui confini sono condivisi con la Mauritania e, per un breve tratto, con l’Algeria. In questo senso, la mossa di Trump è stata accolta con grande entusiasmo da parte di Re Muhammad VI e della popolazione marocchina mentre, agli occhi della gente saharawi, gli ultimi sviluppi rappresentano un duro colpo alla speranza di poter reclamare quella che considerano la propria terra natìa.

Il territorio del Sahara Occidentale, dal suolo prevalentemente desertico e scarsamente popolato, è al centro di una contesa che perdura dal 1975, data del ritiro spagnolo e del conseguente tentativo di annessione ai possedimenti nazionali da parte di Marocco e Mauritania. La storia moderna della regione inizia nel 1884, con la colonizzazione imposta dalla Corona di Spagna alle tribù berbere che abitavano quelle terre; diventerà ufficialmente una provincia spagnola – “Spanish Sahara” – nel 1934. In seguito alla conquista dell’indipendenza, avvenuta nel 1957, la neocostituita monarchia marocchina avanzò le sue pretese anche sui territori rimasti sotto il dominio spagnolo, considerandoli parte integrante dello stato, ma senza successo. La situazione non subì particolari variazioni fino agli inizi degli anni ’70, quando un nuovo impulso all’evoluzione della situazione fu fornito dal processo di  decolonizzazione del continente africano e dalla nascita, nel ’73, del Frente Polisario. Acronimo di Frente Popular para la liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro, esso rappresenta il braccio armato del movimento indipendentista saharawi che si batte per la liberazione del Saguía el Hamra e del Río de Oro – i due territori che compongono il Sahara Occidentale – dall’occupazione da parte marocchina. Gli scontri tra Marocco e Polisario si susseguono dal ’75, quando la Spagna abbandonò il campo lasciando via libera al progetto di occupazione del territorio organizzata da Rabat, concretizzatosi nella “Green March” del novembre dello stesso anno: più di 350.000 civili marocchini, veri e propri pionieri, penetrarono verso sud all’interno del territorio, allo scopo di espandere l’influenza del Marocco. Contemporaneamente, dai confini sud-orientali avanzarono truppe della Mauritania, dando inizio ad una nuova fase di colonizzazione dei saharawi, non più ad opera di potenze europee, ma di paesi africani confinanti. Tutto questo provocherà un esodo della popolazione originaria della regione, costringendo centinaia di migliaia di persone a migrare oltre il confine e a stabilirsi in territorio algerino, presso la città di Tindouf, in un terreno arido, povero, privo di acqua e con escursioni termiche severe. Ancora oggi, nei campi dell’Algeria meridionale sopravvivono stabilmente più di centomila profughi saharawi.

Alla fine del 1976, Marocco e Mauritania avevano concluso la spartizione del territorio occupato: Rabat occupò il Saguía el Hamra e la porzione settentrionale del Río de Oro, mentre il resto del territorio passò sotto il controllo di Nouakchott. Il Fronte Polisario reagì all’aggressione dichiarando la fondazione della Saharian Arab Democratic Republic (SADR), il cui governo, che operava in esilio dal territorio algerino, diede inizio ad una stagione di guerriglia che sarebbe durata fino ai primi anni ’90. La SADR ottenne il riconoscimento e il supporto dell’Algeria, di gran parte dei membri della Lega Africana e di molti paesi sudamericani, ma ancora oggi non è riconosciuta dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea (l’unico paese del vecchio continente a farlo fu la Jugoslavia).

Fino alla fine degli anni ’70 la strategia di guerra irregolare adottata dal Fronte Polisario si dimostrò efficace: potendo contare sul sostegno morale incondizionato del popolo saharawi, sull’appoggio militare algerino e su una profonda conoscenza del territorio, le truppe irregolari furono capaci di infliggere cocenti sconfitte alle forze occupanti, al punto che, nel 1979, la Mauritania decise di abbandonare lo scontro, ritirandosi e lasciando che il Marocco annettesse anche la sua porzione di territorio. La strategia marocchina iniziò allora a farsi più aggressiva, puntando su un maggiore controllo delle aree occupate e sulla costruzione del berm. Con questo vocabolo di origine olandese, traducibile come “muro di sabbia”, si intende la serie di fortificazioni fatte erigere dalle autorità marocchine che, nella sua più recente versione, si presenta come un muro di pietre e sabbia, alto mediamente due metri e “arricchito” da filo spinato e mine antiuomo, che corre per più di 1.500 km in direzione nord-sud dividendo i territori controllati dal Marocco da quelli ancora in mano al Polisario; rappresenta, de facto, il confine tra le due entità politiche. Il “muro della vergogna” – come viene chiamato ad est dello stesso – è una lunga e profonda ferita sul volto delle rivendicazioni della SADR, lontana dal cicatrizzarsi. È un monumento al fallimento di MINURSO, la più longeva – e, quindi, la più lenta nella realizzazione dei suoi obiettivi – tra le missioni delle Nazioni Unite operanti nell’intero continente africano.

La presenza dei Caschi Blu nel Sahara Occidentale risale infatti al 1991, data del raggiungimento del cessate-il-fuoco tra i governi di Marocco e SADR e dell’inizio del mandato di MINURSO, il quale prevedeva, come compito principale insieme alle operazioni di peacekeeping, la definizione di tempi, modalità e regole per lo svolgimento di un referendum che desse la possibilità alla popolazione di definire il proprio ordinamento politico. Presto apparvero numerosi problemi, legati soprattutto alla determinazione dell’ampiezza del bacino elettorale da interpellare e alle opzioni previste nel quesito referendario: andavano comprese le migliaia di cittadini marocchini emigrati nelle province del sud durante la “Green March” o erano da considerare solo gli abitanti originari? Era da prevedere la possibilità della totale autonomia della regione o si potevano considerare solo livelli differenti di dipendenza dal Marocco? I negoziati si susseguirono, intensi, a cavallo tra la fine del secolo e l’inizio degli anni 2000, senza mai raggiungere una conclusione; vennero presentati diversi piani che, per un motivo o per l’altro, non trovavano il favore di entrambe le parti in causa. Con l’inaugurazione della “guerra globale al terrore”, re Mohammed VI (salito al trono nel 1999, alla morte del padre) si avvicinò alla politica americana, collaborando attivamente con l’amministrazione Bush nella ricerca di soggetti di alto profilo del terrorismo internazionale e ricevendo, in cambio, una maggiore considerazione, facendo del Marocco il “principale alleato non-NATO” degli Stati Uniti. Il sostegno statunitense permette al Marocco di rafforzare la sua posizione all’interno del contesto continentale: la recente riammissione di Rabat all’interno dell’Unione Africana, avvenuta nel gennaio 2017 in occasione del vertice di Addis Abeba, ha infatti visto solo 39 (su 55) membri favorevoli. Il nutrito fronte degli stati contrari, guidato da Algeria e Sudafrica, contesta alle autorità marocchine le posizioni in proposito del Sahara Occidentale prendendo le difese della SADR, membro a sua volta dell’Unione.  Il Marocco è tornato a far parte dell’organizzazione panregionale a più di trent’anni dal ritiro dall’Organizzazione per l’Unione Africana (precursore dell’UA), avvenuto proprio in seguito all’ingresso della SADR, a testimonianza del diffuso sostegno dei paesi africani alla causa dell’indipendenza saharawi.

Nel frattempo, il sostegno che negli anni passati era stato accordato alla causa saharawi da parte delle autorità spagnole andò scemando, sacrificato al fine di approfondire la collaborazione con il governo marocchino su questioni che apparivano più pressanti, prime tra tutte il contrasto all’immigrazione clandestina. In questo nuovo contesto, le rivendicazioni autonomistiche saharawi non riscuotono interesse sufficiente a giustificare un intervento diretto e diventa sempre più difficile contestare le posizioni del Marocco. Fino all’11 novembre scorso, il Sahara Occidentale sembrava destinato all’oblio, condannato a rimanere in sospeso senza trovare una collocazione politica definitiva, senza certezze e stabilità per la sua popolazione. La nuova direzione presa dagli eventi apre una nuova fase nella storia della regione, che si annuncia tanto favorevole al Marocco quanto funesta per il Polisario e i profughi di Tindouf.

Per quanto possa sembrare una questione di minore importanza, capace di esercitare la sua influenza esclusivamente in quel limitato spazio di terra compreso tra deserto e oceano, gli echi della recente presa di posizione da parte degli Stati Uniti hanno, invece, prodotto effetti significativi anche in territori geograficamente distanti, attraversando l’intero Mediterraneo e giungendo fino alle coste di Israele. Una delle conseguenze, per quanto indiretta, è stata infatti quella di portare alla normalizzazione formale delle relazioni tra quest’ultimo e il Marocco. L’importanza della notizia risiede non tanto nelle conseguenze pratiche che essa produrrà, quanto nel significato che essa racchiude. I due paesi, infatti, non hanno mai smesso di mantenere contatti informali e le loro relazioni, per quanto ad un livello non ufficiale, sono sempre rimaste consistenti: da questo punto di vista, quindi, non si registreranno cambiamenti significativi, se non la prossima “apertura di uffici di collegamento” israeliani in territorio marocchino, come annunciato da Netanyahu. Sotto il profilo simbolico, invece, le implicazioni sono più profonde: il Marocco è il quarto paese a maggioranza araba a ristabilire piene relazioni diplomatiche con Israele – dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Sudan – durante gli ultimi mesi della presidenza Trump. In totale, considerando Egitto e Giordania, già presenti in precedenza, il numero di stati in questa speciale lista sale a sei. Il presidente uscente intende imporsi come figura pacificatrice tra Israele e i paesi arabi, capace di interrompere l’isolamento regionale di Gerusalemme, prima di lasciare le chiavi della Casa Bianca al suo successore; a questo scopo, viene presentato come un successo storico la pacificazione formale delle relazioni tra due paesi che non erano in guerra tra loro. Per convincere i paesi arabi a riprendere il dialogo con lo storico antagonista, Trump ha utilizzato “merce di scambio” differente, scelta soppesando gli interessi dei rispettivi governi e le possibilità a disposizione. Se il Sudan ha ottenuto di essere rimosso dalla black list dei paesi che sostengono il terrorismo, nel caso della monarchia nordafricana la contropartita messa sul piatto è stata proprio il riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale. La strategia adottata da Donald Trump appare esplicita anche con un solo sguardo al suo profilo Twitter. Nel pomeriggio di giovedì 10 novembre, il presidente uscente ha infatti prodotto una serie di tweet organizzati secondo una successione cronologica che sottolinea la stretta correlazione esistente tra le notizie. All’annuncio del riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale, definita “the ONLY basis for a just and lasting solution for enduring peace and prosperity!”, ha fatto seguito – meno di un minuto più tardi – la comunicazione di un altro “HISTORIC breakthrough […]!”, la ripresa delle relazioni diplomatiche tra due “GREAT friends” degli Stati Uniti, Israele e Marocco, evento considerato “a massive breakthrough for peace in the Middle East!”.

I recenti sviluppi giocano a favore anche di Netanyahu e giungono in un momento a lui propizio: con la mozione di sfiducia di inizio dicembre presentata alla Knesset nei suoi confronti e lo spettro di nuove elezioni anticipate (sarebbe la quarta volta negli ultimi due anni), i successi in campo diplomatico raggiunti durante il suo governo rappresentano una carta importante da giocare sul tavolo della campagna elettorale. Successi ancora più significativi poiché raggiunti durante le festività di Hannukkah.

L’entusiasmo di Trump, Muhammad VI e Netanyahu è del tutto comprensibile: essi ottengono vantaggi significativi a prezzi irrisori. Il primo si avvia a lasciare la presidenza rafforzando la propria immagine e migliorando il proprio retaggio, approfondendo i legami con un alleato importante ed estendendo indirettamente l’influenza statunitense sul Nordafrica, attraverso la concessione di un ricco territorio non soggetto alla sovranità statunitense. Il sovrano marocchino, d’altro canto, riceve un dono gradito e ottiene un’ulteriore conferma del rinnovato status del proprio paese all’interno del contesto regionale, concedendo la semplice formalizzazione dei rapporti bilaterali con Israele, già esistenti e consolidati. Infine, il primo ministro israeliano prosegue la serie di successi diplomatici degli ultimi anni con un traguardo che si rileverà molto utile anche nell’affrontare le questioni personali che lo riguardano.

Non tutti però escono soddisfatti da questo intreccio complesso di relazioni, scambi e concessioni. Due sconfitti, infatti, controbilanciano i tre vincitori. La formalizzazione delle relazioni dei paesi arabi con Israele è una conferma del riconoscimento del governo Netanyahu; il che, sostanzialmente, significa la derubricazione della questione palestinese, se non l’accettazione dello status quo. Analogamente, l’endorsement statunitense alle rivendicazioni di Rabat rappresenta la conferma di quella che è la posizione maggiormente diffusa all’interno della comunità internazionale: il Sahara Occidentale non appartiene al popolo saharawi.

FONTI

  • Attanasio – “Anche la pazienza dei saharawi ha un limite”, Limes online, 26 luglio 2011: https://www.limesonline.com/anche-la-pazienza-dei-saharawi-ha-un-limite/25878
  • Balduzzi – “Marocco e Polisario”, Limes online, 17 novembre 2020: https://www.limesonline.com/notizie-mondo-oggi-17-novembre-veto-polonia-ungheria-ue-pompeo-francia-istanbul-cipro-erdogan/121088
  • Balduzzi – “Israele-Marocco”, Limes online, 11 novembre 2020: https://www.limesonline.com/notizie-mondo-settimana-riassunto-recovery-fund-veto-israele-marocco-turchia-sanzioni-facebook/121418
  • Balduzzi – “Niente di nuovo sul Sahara Occidentale”, Limes online, 10 ottobre 2018: https://www.limesonline.com/niente-di-nuovo-sul-sahara-occidentale/110180
  • Haski – “L’offerta di Trump per convincere il Marocco a riconoscere Israele”, Internazionale online, 11 dicembre 2020 (traduzione di A. Sparacino): https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/12/11/trump-marocco-israele-sahara-occidentale
  • Kasprak – “The Desert Rock That Feeds the World. A dispute over Western Sahara’s phosphate reserves could disrupt food production around the globe”, The Atlantic online, 29 novembre 2016: https://www.theatlantic.com/science/archive/2016/11/the-desert-rock-that-feeds-the-world/508853/
  • Landau, J. Khoury – “Morocco Agrees to Normalize Ties With Israel in Exchange for U.S. Recognition of Western Sahara Sovereignty”, HAARETZ online, 11 dicembre 2020: https://www.haaretz.com/israel-news/.premium-israel-morocco-normalize-relations-trump-western-sahara-king-mohammed-vi-1.9363779
  • Mohsen-Finan – “Nel Sahara Occidentale tornano a parlare le armi”, Internazionale online, 24 novembre 2020 (traduzione di G. Muzzopappa): https://www.internazionale.it/notizie/khadija-mohsen-finan/2020/11/24/sahra-occidentale-marocco-polisario
  • “Morocco latest country to normalise ties with Israel in US-brokered deal”, BBC News online, 11 dicembre 2020: https://www.bbc.com/news/world-africa-55266089
  • “Pace fatta anche tra Marocco e Israele: ecco l’ultimo favore di Trump a Netanyahu”, Open online, 10 dicembre 2020: https://www.open.online/2020/12/10/pace-tra-marocco-e-israele-trump/
  • Panozzo – “Il vallo del Sahara (1) – La storia del Frente Polisario”, Limes online, 15 ottobre 2008: https://www.limesonline.com/il-vallo-del-sahara-1-la-storia-del-frente-polisario/795
  • “Western Sahara profile”, BBC News online, 12 maggio 2018: https://www.bbc.com/news/world-africa-14115273

*Studente di Scienze Internazionali e Istituzioni Europee, Università degli Studi di Milano

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