Zelensky e il suo nuovo corso per l’Ucraina

Zelensky and his new deal for Ukraine

di Michele Gioculano[1]

Volodymyr Zelensky is the new Ukrainian President, he won the race proposing a new political vision for its country. His presidency opens up many possible scenarios regarding the relations between Ukraine, Russia and the European Union.

Il trionfo elettorale del 21 aprile 2019 di Volodymyr Zelensky ha certamente aperto un nuovo capitolo della politica ucraina. L’Ucraina ha una forma di governo semi-presidenziale in cui il Presidente ricopre il ruolo di capo dello Stato e nomina il Primo Ministro e i membri del Governo che devono godere però anche della fiducia parlamentare. Il Presidente è, secondo l’articolo 102 della Costituzione ucraina, il custode della sovranità del Paese e della sua integrità territoriale, oltre ad essere il garante dei diritti e delle libertà dei cittadini. Inoltre, con la riforma costituzionale entrata in vigore il 21 febbraio 2019[2], la carta fondamentale stabilisce “l’identità europea del popolo ucraino e l’irreversibilità del corso europeo ed euroatlantico dell’Ucraina”, il Presidente diventa anche garante dell’attuazione del piano di piena adesione del Paese alla NATO e all’Unione Europea (articolo 102). L’articolo 106 della Costituzione attribuisce al capo dello Stato ampi poteri, tratteggiando una figura abbastanza preminente, capace di esercitare una forte influenza sull’esecutivo. Oltre al conferimento e alla revoca del mandato del Primo Ministro, al Presidente spetta anche la nomina di un terzo dei giudici della Corte costituzionale, di metà dei consiglieri della Banca Centrale e del Procuratore Generale, oltre che di diplomatici e alti ufficiali delle forze armate. Inoltre, ha il compito di condurre la politica estera del Paese e la facoltà di revocare le leggi approvate dal Consiglio dei Ministri[3]. Come di norma nei sistemi semi-presidenziali, il capo dello Stato è eletto a suffragio universale direttamente dal popolo per un mandato di cinque anni, rinnovabili solo una volta. In base all’articolo 103 della Costituzione, si possono candidare alla carica di Presidente della Repubblica tutti i cittadini ucraini con più di trentacinque anni, residenti nel Paese da almeno dieci anni e con una buona padronanza della lingua ucraina. Nel caso in cui nessun candidato dovesse ottenere più del 50% dei consensi al primo turno, dopo quattordici giorni si procederà ad un secondo turno di ballottaggio fra i due candidati più votati. Ed è esattamente questo che è avvenuto nel corso della tornata elettorale dell’aprile 2019. Dopo aver ottenuto il 30% dei consensi al primo turno, al ballottaggio il neo-Presidente ha ricevuto oltre il 73% dei voti contro il 27% dell’uscente Petro Poroshenko. L’insediamento del nuovo Presidente avviene, in ossequio all’articolo 104 della Costituzione, entro trenta giorni dall’annuncio ufficiale dei risultati delle elezioni da parte della Commissione elettorale centrale. Esso sarà preceduto da un giuramento dinnanzi alla Verchovna Rada, il Parlamento ucraino.

Zelensky è senz’altro riuscito ad accattivarsi l’elettorato puntando su una strenua campagna contro la dilagante corruzione che affligge il Paese e promettendo un maggiore coinvolgimento della popolazione attraverso nuove forme di democrazia diretta. Tuttavia, nonostante la sua figura appaia “pulita”, nuova e lontana dall’establishment, sembrerebbe essere vicino a diversi oligarchi. Tra questi, il proprietario della rete che trasmetteva la serie tv interpretata da Zelensky, Igor Kolomoisky, coinvolto in un inchiesta relativa all’appropriazione indebita di aiuti del FMI, in origine destinati a scuole ed ospedali. Oltre ad aver promesso una normalizzazione dei rapporti con la Russia, il partito di Zelensky, “Servo del popolo”, si è caratterizzato per le sue posizioni a favore dell’ingresso nell’Unione europea e nella NATO. Fatte salve le iniziative di politica estera, il suo programma di governo appare tuttavia poco chiaro. Non si sono, infatti, registrati importanti confronti televisivi con altri candidati o comizi e, nei giorni precedenti al voto, 20 agenzie di informazione ucraine avevano firmato una lettera aperta, chiedendo a Zelensky di non continuare a evitare domande e interviste. A seguito del tradizionale discorso e del giuramento dinnanzi alla camera, Zelensky si è insediato il 20 maggio. Mancando di una base politica, non essendo il suo partito rappresentato nella Verchovna Rada (il cui rinnovo è previsto per il 27 ottobre 2019), il 21 maggio il neo-Presidente ha firmato un decreto sulla “cessazione anticipata dei poteri parlamentari”. Ha, inoltre, annunciato la convocazione di elezioni anticipate, previste per il 21 luglio. Il provvedimento è entrato in vigore il 23 maggio dopo la sua pubblicazione sul giornale governativo Uriadovy Kurier. Zelensky ha poi proposto ai deputati di abolire l’immunità parlamentare, ad approvare un nuovo codice elettorale e una legge contro l’arricchimento illecito. Ha anche chiesto il licenziamento del direttore dei servizi di sicurezza, Vasyl Hrytsak, del Procuratore Generale, Yuriy Lutsenko, e del Ministro della Difesa, Stepan Poltorak. Tuttavia, il 24 maggio, Andriy Teteruk e Ihor Alekseyev, insieme ad altri 60 deputati del Fronte popolare, hanno richiesto un parere alla Corte costituzionale circa l’inammissibilità del decreto presidenziale sullo scioglimento della Verkhovna Rada, chiedendo di considerare la mozione entro un mese.

Il neo-Presidente finora non ha esposto le strategie volte alla realizzazione dei suoi ambiziosi obiettivi, sia sul piano interno che su quello internazionale. Il Paese è tuttora afflitto da una grave crisi economica e resta uno tra i più poveri d’Europa, gravato da enormi problemi sociali e di welfare. Va anche considerato che, oltre alla contesa con Mosca circa la sovranità sulla Crimea, annessa al territorio della Federazione nel marzo 2014, è ancora in corso il conflitto nel Donbass. Lo scontro tra il governo legittimo di Kiev e i separatisti filo-russi di Doneck e Lugansk, ha già provocato oltre 8000 vittime e non sembra volgere al termine. Sin da subito, il Protocollo di Minsk, sottoscritto nel settembre del 2014, che imponeva un cessate il fuoco fra le parti, non è stato rispettato. Allo stesso modo, il vertice di Minsk II, del febbraio 2015, svoltosi sotto l’egida dell’OSCE, non ha portato a progressi significativi. Entrambi gli schieramenti hanno continuato sistematicamente a violare gli accordi e a proseguire il conflitto. Nonostante le accuse di simpatizzare per il Cremlino, Zelensky ha dichiarato di non essere disposto ad accettare alcun accordo con Mosca che preveda la cessione di porzioni di territorio ucraino. È probabile che egli voglia ricercare una soluzione diplomatica che permetta ai due Paesi di uscire da un logorante e infruttuoso confronto. Zelensky propone un nuovo indirizzo, liberale ed europeista, alternativo alla vecchia politica di Poroshenko, conservatrice e nazionalista. Non si presenta come il classico leader sovranista, vendicativo e bellicoso, ma come un riformatore progressista, che alla paura per la Russia contrappone il sogno dell’Europa. Va ricordato, infatti, che buona parte del suo elettorato è composto da giovani per i quali la questione identitaria non esiste; per loro l’indipendenza e la diversità fra l’Ucraina e la Federazione di Russia sono assodate. La ricetta politica proposta è anche caratterizzata da toni populisti, oggi molto efficaci per catalizzare l’attenzione degli elettori, tanto in Occidente quanto nell’Europa orientale. In ogni caso il successo di Zelensky ha dimostrato che anche un partito agli antipodi del modello di “Russia Unita” può avere successo e rappresentare una opzione valida. Non a caso il leader dell’opposizione russa Alexey Navalny è stato uno dei primi a congratularsi con il neo-Presidente per la sua vittoria.

In base alla riforma costituzionale voluta dall’ex-Presidente Poroshenko il 21 febbraio 2019, Zalensky ha anche l’incarico di favorire e realizzare la completa adesione dell’Ucraina al Trattato del Nord Atlantico e il suo ingresso nell’Unione europea. In un momento di crisi dell’Unione europea come quello corrente anche l’ingresso nella UE proposto da Zelensky risulta assolutamente inopportuno. Se da un lato potrebbe portare nuova linfa allo spirito europeista, dall’altro riaccenderebbe un dibattito sull’allargamento e alimenterebbe ulteriori dissidi, politici ed economici, con la Russia. Nonostante da anni il governo di Kiev si stia muovendo in questo senso, la possibilità di una rapida adesione è, dunque, assai remota; pur considerando il gran numero di richieste e l’aperta opposizione all’allargamento da parte di alcuni dei Paesi membri. Nel marzo 2016, lo stesso Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, dichiarò che sarebbero stati necessari almeno 20-25 anni perché l’Ucraina potesse entrare a far parte dell’Unione. Similmente, l’eventuale ingresso dell’Ucraina nella NATO giungerebbe in un periodo di stallo. Malgrado i recenti ingressi di Montenegro e Macedonia, i dissidi interni sui contributi economici e il fallito tentativo da parte americana di trasformare il Patto Atlantico in una sorta di “polizia internazionale” rappresentano gli evidenti segni della crisi in corso. Nonostante gli Stati Uniti considerino la NATO un residuato della Guerra Fredda, inutile e privo di una sua funzione, i Paesi dell’Est, ora rivolti verso l’Europa, considerano fondamentale appartenere all’alleanza per proteggersi dalle mire espansionistiche ed egemoniche russe.

Riferimenti bibliografici:

[1] Laureato in Scienze internazionali e istituzioni europee presso l’Università degli Studi di Milano

[2] https://zakon.rada.gov.ua/laws/show/2680-19#n2

[3] La Costituzione del 1996 attribuiva al Presidente maggiori poteri; questi sono progressivamente diminuiti a seguito delle varie riforme costituzionali che si sono avute successivamente.

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