USA ON FIRE: THE PROTEST FOR GEORGE FLOYD’S MURDER MOVES IN FRONT OF THE WHITE HOUSE

USA IN FIAMME: LA PROTESTA PER L’ASSASSINIO DI GEORGE FLOYD SI MUOVE DI FRONTE ALLA CASA BIANCA

The reflection on George Floyd’s murder by a white police officer moves in front of the White House, but it moves also beyond the question of race in the United States to underline the question of success through the color line from the Sixties up today, and how politicians try to defend their privileges.

di Marco Sioli[1] 

La grande manifestazione del 5 giugno 2020 a Washington D.C. di fronte alla Casa Bianca, circondata per l’occasione da un’alta barriera metallica simile al muro in costruzione al confine con il Messico, impone una riflessione profonda sullo stato delle cose nella democrazia americana. La recinzione, fatta erigere in fretta e furia dal presidente Donald Trump, segna una frattura storica tra i cittadini e le istituzioni, tra la piazza e la politica che teme la folla, mob in americano, dal latino mobile vulgus.

Le proteste che sono seguite all’uccisione il 25 maggio dell’afroamericano George Floyd per mano, o meglio per un ginocchio, di un poliziotto bianco nel corso di un arresto a Minneapolis, hanno mostrato il volto di una folla spesso pacifica ma in alcune occasioni furiosa che ha causato l’incendio della stazione di polizia nella città del Minnesota e il saccheggio di numerosi negozi.  Del rischio di una protesta violenta in caso di continui soprusi nei confronti degli afroamericani ci aveva già avvertito l’intellettuale nero James Baldwin, che nel 1963 scrisse La prossima volta il fuoco per evocare la sua gioventù a Harlem e per analizzare le profonde conseguenze delle ingiustizie razziali e le responsabilità della politica nazionale.

Il fuoco arrivò due anni dopo nelle strade di Watts, un distretto di Los Angeles, quando l’11 agosto 1965, scoppiò una rivolta razziale sempre originata dal fermo di un automobilista afroamericano da parte di una pattuglia di poliziotti bianchi molto più violenta e sanguinosa dei disordini nell’estate dell’anno precedente a New York, Philadelphia e Rochester. La stagione delle rivolte si protrasse per tutti gli anni Sessanta investendo Chicago nel 1966, Newark e Detroit nel 1967 e infine con una vera ondata di fuoco dopo la notizia dell’assassinio di Martin Luther King nell’aprile 1968.

Perché rievocare gli anni Sessanta in questa breve riflessione sull’uccisione di un automobilista afroamericano, una delle tante che si erano verificate anche durante la presidenza di Barack Obama e che avevano originato la nascita del movimento BlackLivesMatter (https://blacklivesmatter.com/)? La risposta sta nelle parole che Trump ha usato per etichettare le proteste: un tentativo di riportare l’orologio della storia indietro nel tempo. “Quando cominciano i saccheggi, si comincia a sparare” ha twittato Trump, riprendendo due espressioni usate dal governatore segregazionista dell’Alabama, George Wallace, proprio nel 1968.

Il tentativo del presidente di portare nelle strade di Washington l’esercito, che si è limitato però a presidiare il Lincoln Memorial per impedire che i manifestanti si impadronissero del luogo simbolico dove MartinLuther King pronunciò nel 1963 il celebre discorso “I Have a Dream”, ha incontrato una fiera opposizione del Pentagono mostrando un re senza vestito, un comandante in capo privo del suo esercito. Tuttavia le foto che hanno mostrato la polizia militare presidiare il Lincoln Memorial hanno creato a livello d’immagine una vera e propria dissociazione tra il pensiero del presidente che ha sconfitto la schiavitù e la situazione contemporanea della nazione americana nelle mani di una persona che difende apertamente il suprematismo bianco e la cultura delle armi.

Mentre Trump si chiudeva nel bunker della Casa Bianca, di cui nemmeno Obama conosceva l’esistenza, per tutta risposta il sindaco di Washington D.C. ha fatto scrivere a carattere cubitali giallo-arancio, il colore del movimento di protesta contro la diffusione delle armi (https://wearorange.org/), sulla strada di fronte alla residenza storica le parole chiave della protesta, questa volta pacifica, di migliaia di persone: BLACKLIVESMATTER.

FONTI

  • Baldwin, La prossima volta il fuoco, Feltrinelli, Milano, 1963.
  • Horne, Fire This Time. The Watts Uprising and the 1960s, University press of Virginia, Charlottesville, 1995.
  • Sioli, Abraham Lincoln. Le parole, le politiche e l’uso politico, Ibis, Como-Pavia, 2018.

[1] Professore associato di Storia dell’America del Nord presso il DILHPS dell’Università degli Studi di Milano.

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