URUGUAY: PRESIDENT LACALLE IS AT A CROSSROADS

URUGUAY: LA PRESIDENZA LACALLE A UN BIVIO

di Davide Serraino*

Il prossimo 27 marzo i cittadini uruguaiani saranno chiamati alle urne per un referendum popolare di grande rilevanza politica e che costituirà uno spartiacque della legislatura in corso.

Per comprenderne le ragioni bisogna tornare a fine 2019, quando Luis Lacalle Pou – esponente di punta del Partido Nacional de Uruguay e figlio di Luis Alberto Lacalle, 36esimo presidente della Repubblica dal 1990 al 1995 – il 24 novembre è stato eletto al ballottaggio, strappando con un esiguo 51% a 49% la guida del Paese al Frente Amplio di centrosinistra, al potere da tre lustri.

La vittoria di Lacalle è attribuibile non solo alla voglia di cambiamento degli elettori, accentuata dalla performance di crescita del Pil molto debole del periodo 2015-2019 (1,3% in media contro il 4,7% del periodo 2010-2014 e addirittura il 5,4% del 2006-2009) ma anche alla percezione di maggiore insicurezza rispetto al passato dei cittadini in un Paese considerato da sempre “tranquillo”, quantomeno per gli standard latinoamericani.

L’Uruguay rimane infatti per molti aspetti un’eccezione positiva nel subcontinente, l’unica democrazia completa in America Latina secondo il Democracy Index 2021 di The Economist, insieme al Costa Rica. Ancora, la distribuzione dei redditi è la più ugualitaria dell’area insieme a quella di El Salvador e i tassi di povertà relativa e assoluta sono i più bassi e solo in lieve crescita dopo lo shock pandemico (10,2% della popolazione in povertà relativa e 0,2% in povertà assoluta al primo semestre 2021). Gli stessi indicatori Sace-Fondazione Enel di benessere sociale riportano, per Montevideo, valori superiori a quelli dei maggiori Paesi dell’area nelle diverse componenti di uguaglianza, salute, istruzione, lavoro e demografia.

Il presidente Lacalle Pou, entrato in carica proprio in concomitanza dello scoppio della pandemia, il primo marzo 2020, si è trovato da subito costretto a gestire una situazione diversa da quella immaginata. In una prima fase, grazie alla rapida chiusura delle frontiere, il Paese è riuscito a contenere il dilagare della pandemia. Esteso su una superficie superiore a quella di Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord insieme, il Paese del Cono Sud è popolato da 3,5 milioni di abitanti, concentrati per oltre un terzo a Montevideo e dintorni. Se la bassa densità abitativa ha aiutato nella gestione della pandemia, non da meno è stata la rapida ed efficace campagna vaccinale, che vede il Paese sul podio dell’area insieme Cuba e Cile per dosi inoculate rispetto alla popolazione complessiva.

Seppure il contesto socio-economico e la gestione pandemica consegnino un quadro complessivo piuttosto roseo, il governo attuale potrebbe dover affrontare a breve una crisi politica. Alla base della possibile impasse vi è la Ley de Urgente Consideración (LUC), un provvedimento omnibus di 476 articoli approvato dalla Camera dei Deputati e dal Senato tra giugno e luglio 2020 e promulgato dal Presidente della Repubblica il 9 luglio dello stesso anno. Tale legge, il cui articolato disomogeneo ricorda da vicino i maxi emendamenti governativi alle leggi di bilancio italiane oggetto di censura da parte del Quirinale pressoché alla fine di ogni anno, prevede disposizioni varie che vanno, per menzionarne solo alcune, dall’ambito fiscale, alla liberalizzazione del settore dei raffinati domestico, al rafforzamento dei poteri di pubblica sicurezza fino alla limitazione del diritto di sciopero.

Si tratta del provvedimento simbolo dell’amministrazione Lacalle: tale proposta era già stata lanciata in campagna elettorale nel 2019 dal Presidente a prescindere dall’evento pandemico, che ne ha semmai rafforzato i presupposti di urgenza.

Contro questo provvedimento si sono da subito schierati non solo il Frente Amplio in Parlamento ma anche il potente e più importante sindacato dei lavoratori dell’Uruguay, il Plenario Intersindacal de Trabajadores – Convención Nacional de Trabajadores (PIT-CNT), che hanno immediatamente intrapreso una capillare campagna di raccolta firme in tutto il Paese per un referendum parzialmente abrogativo della LUC. Secondo le regole del Paese, perché un provvedimento possa essere sottoposto a referendum abrogativo è necessario un numero di firme molto elevato, pari al 25% degli aventi diritto al voto. Le forze di opposizione hanno progressivamente allargato il numero di articoli passibili di referendum in modo da intercettare l’interesse di sempre più parti della società uruguaiana e sono riuscite a raggiungere 730mila firme ca., ben oltre le 670mila necessarie. L’8 dicembre 2021 la Corte Electoral ha autorizzato il referendum abrogativo di 135 articoli su 476.

Tale referendum, lungi dall’essere mirato su una specifica materia, costituisce pertanto uno spartiacque nella presidenza Lacalle Pou, il cui consenso è leggermente superiore rispetto al momento dell’elezione ma lontano da oltre il 60% raggiunto nella prima fase della pandemia. Gli elettori non saranno chiamati a giudicare solamente l’operato di Lacalle, la cui maggioranza è piena di sfumature in quanto il Partido Nacional da solo non ha il 50% dei seggi né alla Camera né al Senato ma necessita del supporto degli alleati del Partido Colorado e di Cabildo Abierto, ma anche la prima prova da leader per Fernando Pereira Kosec, a capo del Frente Amplio da dicembre 2021. Questi è un personaggio ben noto ai cittadini uruguaiani, in quanto da giugno 2015 a novembre 2021 è stato proprio a capo del potente sindacato PIT-CNT.

Cosa succederà in caso di bocciatura dei 135 articoli della LUC? Lo scenario più probabile è che Lacalle Pou risulterà chiaramente fiaccato nella seconda metà del mandato e il proseguimento dell’agenda di riforme – a partire da quella pensionistica e del mercato del lavoro, entrambe volte a rendere il Paese meno rigido e burocratizzato e maggiormente in grado di affrontare sfide strutturali quali bassa crescita ed elevata inflazione – riceverebbe una sonora battuta d’arresto. Sarebbero in aumento anche i rischi per la stabilità politica, conseguenza delle divergenze, finora gestite, all’interno della coalizione di Lacalle, ma che potrebbero esplodere con forza e portare, in caso estremo, a una fine anticipata della legislatura, la prima di un governo di coalizione dalla fine della dittatura nel 1985.

FONTI:

*Analista di Rischio Paese SACE per l’America Latina

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