di Nicolò Fasola
At the legislative elections held on March, 26, Borisov’s GERB reconfirmed itself as the majority party. However, the new balance within the Parliament may not be advantageous for constructing a stable coalition in support of the government, whatever the leading party will be. In fact, the 5 political forces that have won seats are either internally divided or scarcely compatible among themselves in terms of views.
Per la terza volta in quattro anni, i cittadini bulgari sono stati chiamati anticipatamente alle urne per eleggere i propri rappresentanti all’Assemblea Nazionale: il parlamento unicamerale bulgaro. A seguito dell’elezione a Presidente della Repubblica, il 14 novembre scorso, dell’ex generale Rumen Radev, candidatosi come indipendente ma supportato dai socialisti, il Primo Ministro e leader del GERB Boyko Borisov ha deciso di dimettersi, così aprendo l’ennesima crisi istituzionale del paese[1]. Iniziata alle ore sette del 26 marzo, la giornata elettorale ha prodotto dei risultati che si presentano già chiaramente in linea con le proiezioni preliminari[2]. Ciò, tuttavia, non è necessariamente un bene, nella misura in cui la nuova composizione del parlamento potrebbe generare problemi per la formazione di un Governo stabile.
Il partito “Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria” (in bulgaro, GERB), schieramento europeista di centro-destra, ha ottenuto nuovamente la maggioranza relativa, raccogliendo il 33,54% delle preferenze e dunque aggiudicandosi 95 dei 240 seggi dell’Assemblea. Questa vittoria non è sorprendente, ma nemmeno del tutto scontata. Se da un lato, infatti, il GERB è stato il dominatore indiscusso della scena politica bulgara da dieci anni a questa parte ed il suo leader Borisov il deus ex machina della vita istituzionale del Paese, dall’altro lato il partito è stato vittima di una costante perdita di consensi sin dalla propria fondazione. La stagnazione economica e sociale che ha caratterizzato la Bulgaria dalla dissoluzione del blocco sovietico ha infatti reso la popolazione insofferente verso una classe politica che, essendo derivazione diretta dei c.d. “conglomerati rossi”, continua a dimostrarsi interessata più ai propri interessi che alle necessità della cittadinanza[3]. L’adesione all’Unione europea nel gennaio 2007 ha solo parzialmente lenito tale condizione: infatti, i fondi strutturali indirizzati verso il paese sono consistenti, ma la loro amministrazione da parte dei riceventi è disfunzionale.
Emblematiche del malcontento popolare per la gestione del Paese furono già le proteste del 2013, le quali avevano trovato nell’aumento dei prezzi dell’energia elettrica il pretesto per far esplodere la tensione sociale accumulatasi nel tempo[4]. Il Governo in carica, guidato da Borisov, fu costretto a dimettersi ma allora come oggi alle nuove elezioni parlamentari che ne seguirono, tenutesi il 12 maggio 2013, il GERB si qualificò ancora come primo partito, favorito da una ben funzionante macchina istituzionale e supportato dagli oligarchi. La scelta del leader del GERB di dimettersi periodicamente per poi ricandidarsi non sembra del tutto razionale, ma finora non pare aver ostacolato la perpetuazione del ruolo del partito – a dir di Borisov, garante della stabilità della Bulgaria.
Il Partito Socialista (BSP) si qualifica invece come seconda formazione e maggiore oppositore del GERB in Parlamento. L’incremento di 41 seggi rispetto alla precedente legislatura segna una rinascita per il BSP, o quantomeno una vittoria sufficiente perché la leader neoeletta Korneliya Ninova possa mantenere la propria carica. E’ anche per questo che con tutta probabilità ci si dovrà aspettare un Partito Socialista particolarmente combattivo e critico nei confronti di un ipotetico governo a guida GERB, nella speranza di poter “cavalcare l’onda” dei consensi ed ottenere la maggioranza alle prossime elezioni. Questo successo è probabilmente da imputarsi più al succitato malcontento per lo status quo, rappresentato dal GERB, piuttosto che alle promesse elettorali del BSP, che ha semplicemente riproposto la consueta ricetta politica: aumento di pensioni e stipendi, introduzione di misure protezionistiche e rilancio dei rapporti con la Russia, anche a discapito di quelli con l’Unione europea.
Altre tre le formazioni politiche che hanno superato lo sbarramento del 4% per accedere all’Assemblea Nazionale. Il primo è la coalizione Patrioti Uniti, che riunisce i tre principali movimenti nazionalisti della Bulgaria e disporrà di 27 seggi, tre in meno rispetto alla precedente legislatura. Segue il Movimento per i Diritti le Libertà (DPS), partito rappresentante la numerosa minoranza turca presente nel Paese e che con poco più del 9% delle preferenze ottiene 26 seggi – in netto calo rispetto al 2014, complice una scissione interna. Chiude il novero dei cinque gruppi politici che siederanno nel nuovo Parlamento il partito populista “Volontà” (in bulgaro, Volya), il quale, guidato dal magnate Veselin Mareshki, ha di poco superato la soglia di sbarramento, aggiudicandosi 12 seggi.
Ai sensi all’art. 99 della Costituzione della Repubblica di Bulgaria[5], il Presidente Radev, dopo aver consultato i gruppi parlamentari, dovrà in primo luogo incaricare della formazione del nuovo governo il partito di maggioranza relativa, il quale disporrà di sette giorni per trovare un accordo con le altri parti politiche e proporre una formazione di governo. Nel caso questi fallisse, l’incarico passerebbe al secondo partito e poi ancora, eventualmente, ad uno tra i partiti di minoranza restanti, scelto discrezionalmente dal Presidente. Qualora nessuno dei tre partiti incaricati di formare un governo riuscisse nell’intento, Radev sarebbe allora costretto a nominare un governo tecnico, sciogliere l’Assemblea e fissare una data per le nuove elezioni. Sarà proprio nel percorrere questi passi che la Bulgaria incorrerà nelle maggiori difficoltà.
Nonostante i partiti presenti in Assemblea siano scesi dagli otto della precedente legislatura a cinque e il GERB detenga la maggioranza relativa dei seggi, gli equilibri interni al Parlamento non sono affatto andati semplificandosi. Qui risiede forse il fallimento della “strategia delle dimissioni” di Borisov: lungi dall’essere più controllabile, il nuovo Parlamento non solo non annovera fra i propri membri i due precedenti alleati della colazione a guida GERB, ma vede la partecipazione di partiti le cui linee politiche sono poco compatibili; di conseguenza, la riduzione del numero dei partiti in Parlamento, più che un vantaggio, potrebbe risultare in un problema per la stabilità istituzionale, in quanto ognuno di essi detiene un maggior peso relativo rispetto alla precedente legislatura.
Questo è valido in generale ma soprattutto nel caso del GERB, che sarà il primo partito ad essere incaricato della formazione del nuovo governo[6]. Innanzitutto, i potenziali partner, stanchi del dominio politico del partito di Borisov, potrebbero rifiutare di unirsi in coalizione con questi, favorendo invece i socialisti – che idealmente si prospettano più malleabili. Inoltre, anche qualora una coalizione fosse formata, la convivenza al suo interno risulterebbe in ogni caso problematica; esclusa a priori un’alleanza GERB-socialisti, ciascuna delle altre possibilità presenta aspetti critici.
A dispetto del nome, i Patrioti Uniti sono un gruppo eterogeneo e sostanzialmente conflittuale che , al di là della comune retorica xenofoba, non ha né una visione politica uniforme, né tantomeno gode di una sinergia tra i propri leader. In passato, questi hanno altresì assunto posizioni particolarmente critiche nei confronti del GERB, dal quale differiscono anche in termini di vedute rispetto sull’Unione europea. Per quanto non anti-europeisti tout court, essi potrebbero spingere verso un ridimensionamento dell’impegno bulgaro verso Bruxelles – pur non necessariamente opponendosi al rinnovo delle sanzioni verso la Russia (come invece chiedono i socialisti). Il GERB si troverebbe dunque messo in difficoltà nelle proprie relazioni con l’UE, un attore di primaria importanza per Sofia vista la dipendenza dai fondi strutturali; è anche per tale ragione che lo stesso Partito Popolare Europeo (PPE), al quale il GERB afferisce, potrebbe intervenire per frenare la possibilità di una coalizione con i nazionalisti.
Se da un lato il DPS ha dalla propria il collegamento con l’ampia minoranza turca nel Paese, dall’altro, viste le recenti critiche mosse dalla sua leadership al governo di Ankara, sedere in coalizione con esso potrebbe non essere una buona scelta. Ciò nella misura in cui il nuovo governo di Sofia, tenuto conto del diffuso timore che possa riattivarsi la rotta migratoria balcanica, tenterà sicuramente di rilanciare, normalizzandoli, i rapporti con la Turchia. Ciononostante, il DPS può ben aspirare ad essere – come già in passato – un alleato informale di Borisov sul quale contare riguardo a temi specifici. Lo stesso dicasi per Volontà: certamente l’aspirazione a ricoprire un incarico ministeriale di Mareshki non verrà soddisfatta, se non altro perché, data l’esperienza della precedente legislatura, Borisov è ben consapevole dei problemi di stabilità delle alleanze tripartite; un’alleanza caso per caso è la prospettiva più credibile per Volontà con i propri 12 seggi.
In qualsiasi modo verrà composta la coalizione di governo, appare chiaro come ancora una volta sia andata sfumando l’occasione di dare una svolta alla vita istituzionale della Bulgaria. Nonostante la popolazione si dica stanca della gestione disfunzionale del Paese e, in particolare, delle enormi disuguaglianze a cui questa ha portato, la leadership politica precedente è stata sostanzialmente riconfermata. Questo si pone in contrasto le speranze suscitate dall’esito delle presidenziali di novembre 2016, le quali avevano sancito la vittoria dell’outsider Rumen Radev. E’ tuttavia vero che gli equilibri interni al Parlamento sono mutati e che le opposizioni, qualsiasi esse siano, potrebbero contribuire ad una maggiore dinamicità politica. Il fattore determinante, ancora una volta, saranno gli interessi burocratici degli oligarchi bulgari.
[1] N. Fasola, Il bilancio delle elezioni presidenziali in Bulgaria e Moldavia, Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), 27 gennaio 2017.
[2] Elezioni in Bulgaria, vince il centro-destra, intervista a F. Martino per il GR Capodistria, Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa (OBCT), 27 marzo 2017.
[3] Sulla transizione socio-economica della Bulgaria, si vedano, ad esempio: M. Jackson, The Rise and Decay of the Socialist Economy in Bulgaria, “Journal of Economic Perspectives”, 5:4, 1991: pp. 203–209; N. Boyko (et alia), Understanding Reform: A Country Study for Bulgaria, Wiiw Balkan Observatory Working Papers, n°56/October 2004. Sullo stato attuale, si faccia riferimento invece a: Bulgaria. State of Play – Winer 2016, European Commission Economic and Financial Affairs, ultimo aggiornamento del 17 novembre 2016; Bulgaria – Overview, World Bank, ultimo aggiornamento 3 ottobre 2016.
[4] M. Serra, Bulgaria: protesta il moribondo dell’UE, ISPI Commentary, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), 26 luglio 2013.
[5] Disponibile, anche in lingua inglese, sul sito dell’Assemblea Nazionale della Repubblica di Bulgaria.
[6] C. Leviev-Sawyer, Bulgaria’s March 2017 parliamentary elections: the winners and losers, Sofia Globe, 27 marzo 2017; P. Kandel, Parliamentary elections in Bulgaria: results and prospects, Valdai Discussion Club, 28 marzo 2017.