THE RAINFOREST IS DYING: IS PRESIDENT JAIR BOLSONARO PARTLY RESPONSIBLE FOR THAT?

MENTRE GLI INCENDI IN AMAZZONIA SONO SEMPRE PIÚ FREQUENTI, L’INTERO PIANETA É DIVISO SULLE SCONCERTANTI DICHIARAZIONI DEL LEADER BRASILIANO

di Francesca Moroni*

Il 6 Ottobre dello scorso anno più di 100 vescovi si sono riuniti in Vaticano, convocati da Papa Bergoglio, per affrontare, tra le tante tematiche, la spinosa e controversa questione dell’emergenza climatica che interessava, e interessa tuttora, l’Amazzonia. Trattandosi di un argomento alquanto delicato, non ci si poteva aspettare altro che reazioni forti dagli Stati interessati dal fenomeno, soprattutto da parte del Presidente brasiliano Jair Bolsonaro, il quale, ancora oggi, non sembra intenzionato a permettere all’opinione pubblica internazionale e ai governi degli altri Paesi, di intervenire ed esprimersi riguardo al grave problema che affligge quell’area ormai da tempo. Bolsonaro, non solo si era apertamente dichiarato contrario al sinodo e al suo “programma di sinistra”, ma alcuni attenti osservatori hanno la certezza che egli stesse cercando di controllare i religiosi provenienti dell’area amazzonica che vi avrebbero partecipato, per non far trapelare una immagine secondo lui errata del suo Paese.
Il leader brasiliano infatti, aveva espresso la sua più totale disapprovazione per le interferenze straniere in questioni da lui ritenute di solo interesse interno alla Nazione brasiliana e si era risentito per il discorso del Papa che richiamava all’ordine chiunque stesse danneggiando la foresta pluviale con la sua “mentalità cieca e distruttiva”.
In effetti, sin dal suo insediamento nel 2018, il governo Bolsonaro, ha approvato numerose misure che certamente non sono state pensate per risolvere il problema della tutela del territorio amazzonico e, più in generale, per affrontare il problema dell’emergenza climatica, ma piuttosto sono sembrate volte a smantellare la normativa a protezione dell’ambiente e ad aumentare la deforestazione. Non è stata quindi una sorpresa che i membri dell’entourage del Presidente si fossero sentiti in qualche modo attaccati direttamente dalle parole del pontefice.
Tra i sostenitori del partito di Bolsonaro, circolava addirittura l’ipotesi di un accordo di reciproca collaborazione, in opposizione alle politiche attuate dalla destra, tra i religiosi presenti al sinodo e alcuni illustri esponenti della formazione politica di sinistra, come l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, nonostante il gruppo responsabile della redazione del documento finale del sinodo avesse negato fermamente che ci fosse stata l’intenzione di condannare il governo, ma che anzi, l’obiettivo finale fosse proprio la cooperazione tra istituzioni laiche e religiose per risolvere l’emergenza in corso.
Ciò che risulta evidente, però, è che le riforme della forza politica attualmente in carica, tra cui lo smantellamento della FUNAIi (attraverso la quale veniva attuatala restituzione delle terre ai nativi), fino ad ora non hanno fatto altro che accelerare il processo di deforestazione nel territorio, causa principale dei roghi, che, come afferma il sito ufficiale del WWF, sono aumentati del 196% dall’agosto 2018 allo stesso mese del 2019. Secondo alcuni analisti, il Presidente Bolsonaro avrebbe infatti favorito un clima di impunità per chi, attraverso azioni illegali non autorizzate come l’abbattimento delle piante, l’agricoltura e l’estrazione mineraria, danneggiano il “polmone verde del mondo”, favorendo in questo modo quel fenomeno definito attualmente come “land grabbing”.
In sede ONU, il capo di governo brasiliano aveva addirittura affermato che l’allarmismo creato dai media sulla “questione amazzonica” era infondato e inutile poiché la foresta è, come lui stesso ha dichiarato sul palco dell’Assemblea Generale, “praticamente intatta” e perciò trovava inopportuno il comportamento di alcuni Stati che, approfittando di queste false informazioni, stavano attuando una politica di stampo colonialista su un territorio che rientra quasi interamente nei confini del Brasile.
A fronte delle dichiarazioni del Presidente, attualmente i cittadini brasiliani sono divisi in due gruppi distinti: da una parte, vi è la popolazione che vorrebbe preservare ciò che resta della foresta, e, quindi, lotta contro l’operato del governo, e, dall’altra parte, si schiera quella che, nonostante ritenga importante la questione ecologica, è convinta che essa si possa in parte sacrificare in favore del progresso e dello sviluppo economico promesso da Bolsonaro.
Ciò che ad oggi è veramente allarmante, è il rischio di danneggiare in maniera davvero significativa la biodiversità presente sul suolo sudamericano, ovvero il 15% di quella contenuta sul totale complessivo delle terre emerse. Un team di scienziati nel 2008 guidati dal professor Tim Lenton, docente di Scienza dei cambiamenti climatici e del sistema terrestre all’Università di Exeter, ha pubblicato uno studio, “Tipping elements in the Earth’s climate system – Proceedings National Academy of Sciences”, di incredibile importanza nel quale indicava l’esistenza di “punti critici” degli ecosistemi, ovvero di soglie, superate le quali, un intero ecosistema è esposto ad alterazioni irreversibili e disastrose, pericolose per l’equilibrio del pianeta. Per la foresta amazzonica questo punto critico corrisponde circa al 20% del suo bioma, che tra non molto verrà raggiunto, e si stima che entro il 2030 più di un quarto del suo territorio sarà senza alberi.
A definire ulteriormente la posizione presa dal Presidente Bolsonaro in merito al futuro dell’Amazzonia, sono stati i documenti confidenziali destinati alle forze armate brasiliane e successivamente trapelati, che contenevano il piano di costruzione di una centrale idroelettrica e l’ampliamento della rete autostradale che prevedeva un ponte sul Rio delle Amazzoni. Tutto ciò servirebbe a riaffermare la sovranità del Brasile sulla foresta amazzonica e proietterebbe l’area in un processo di evoluzione industriale ed economica a discapito di quello che sta diventando piano piano il polmone “malato” del pianeta. Per far sì che ciò non accada è necessario supportare le popolazioni indigene in loco che, nonostante le continue e violente minacce del governo, tentano di difendere i propri territori con azioni a tutela della foresta e di prevenzione degli incendi, oltre che proteggerle dai colossi del mondo dell’industria, incapaci di vedere quella terra come qualcosa di diverso dal profitto economico.

FONTI:

-Capuzzi Lucia, Falasca Stefania, Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita, EMI, 2019

-Cotroneo Rocco, L’affondo di Bolsonaro all’ONU: “L’amazzonia non è dell’umanità”, Il Corriere Della Sera, 24 Settembre 2019 in <https://www.corriere.it/esteri/19_settembre_24/amazzonia-non- dell-umanital-affondo-bolsonaro-all-onu-b8f45604-df05-11e9-a10b-ca7db0bcf850.shtml >

-La Repubblica, Amazzonia, il piano segreto di Bolsonaro: sovranità del Brasile, centrali, deforestazioni e autostrade, 21 Settembre 2019 in <https://www.repubblica.it/esteri/2019/09/21/news/amazzonia_incendi_bolsonaro_piano_esercito_o nu-236557200/ >

-Lenton Tim, Tipping elements in the Earth’s climate system – Proceedings National Academy of Sciences, PNAS, 12 Febbraio 2008 in <https://www.pnas.org/content/105/6/1786 >

-Phillips Tom, traduzione di Muzzopappa Giusy, La chiesa nel mirino di Bolsonaro per il sinodo sull’Amazzonia, Internazionale, 30 Settembre 2019 in <https://www.internazionale.it/opinione/tom- phillips/2019/09/30/sinodo-amazzonia-bolsonaro>

-WWF, Emergenza Amazzonia, in <https://www.wwf.it/emergenza_amazzonia.cfm >

* Università degli Studi di Milano

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