The dispute over Kashmir: recent developments

La disputa sul Kashmir: sviluppi recenti

di Matteo D’Avanzo

La disputa sul Kashmir, mai realmente risolta, è entrata in un nuova fase di crisi. Lo scorso 14 febbraio il gruppo Jaish-e-Mohammad (Esercito di Maometto) ha compiuto un attacco terroristico nei territori kashmiri amministrati dall’India, a Pulwama, contro alcuni militari indiani; il bilancio delle vittime è di 46 uomini. La reazione dell’India non si è fatta attendere. Il 26 febbraio New Delhi ha ordinato alla propria aviazione di bombardare il campo di addestramento del gruppo che si trova a Bakalot, nel Kashmir sotto controllo pakistano. La decisione indiana di intervenire nel territorio pakistano ha spinto il governo di Islamabad, dichiaratosi completamente estraneo all’attentato compiuto dal Jaish-e-Mohammad, a colpire un aereo indiano che si trovava nel territorio kashmiro, e a prendere come ostaggio il pilota del velivolo. Questa escalation è stata accompagnata da una serie di dichiarazioni ostili da parte dei governi dei due Paesi. È opportuno, a questo punto, conoscere l’evoluzione storica delle relazioni tra India e Pakistan, con particolare attenzione alla situazione del Kashmir.

Le vicende del Kashmir risalgono all’epoca della Partition (1947) e, in particolare, al momento in cui i territori degli Stati principeschi del Raj britannico avrebbero dovuto decidere se accedere all’India o al Pakistan. Criteri fondamentali di tale scelta erano la l’ubicazione dei diversi Stati e la loro composizione religiosa.

Il Kashmir era, nel 1947, governato da un maharaja indù che esercitava la propria autorità su un territorio a maggioranza musulmana, rappresentando, quindi, un problema rispetto ad altri Stati principeschi; il territorio aveva, poi, i propri confini lungo i nuovi Stati di India e Pakistan. Non esisteva tra la popolazione musulmana una chiara volontà di accedere al nuovo stato islamico del Pakistan, in cui gli interessi dell’élite fondiaria kashmira sarebbero stati tutelati a detrimento della gran parte della popolazione più povera, che non avrebbe potuto godere di una riforma agraria.

Secondo la ricostruzione di Sumit Ganguly il supporto dell’esercito pakistano alla rivolta avvenuta nel territorio di Poonch, nell’ottobre del 1947, avrebbe indotto il maharaja a chiedere l’intervento dell’esercito indiano, concesso in cambio dell’accessione all’India. Il conflitto terminò solo nel gennaio del 1949 con il cessate il fuoco imposto dalle Nazioni Unite.

Nel 1962 la questione si estese anche alla Cina, che riuscì a sconfiggere l’esercito indiano e a ottenere il controllo del territorio kashmiro dell’Aksai Chin. Nel 1965 il tentativo dell’esercito pakistano di invadere l’area mediante l’operazione Gibraltar, strategia che mirava a entrare nel territorio per cercare di fomentare una rivolta della popolazione locale, non ebbe alcun successo e la “finestra di opportunità” che il governo di Islamabad mirava a mantenere aperta iniziò a dimostrarsi fallace.

Il 1971 fu un anno cruciale. Le rivolte dell’ala orientale del Pakistan, in seguito alla chiara marginalizzazione della popolazione di lingua bengali, sfociarono nella secessione e nella successiva creazione del Bangladesh, supportata dall’India, che voleva indebolire Islamabad e temeva un flusso di rifugiati in costante aumento nei propri territori di confine. Sebbene senza effetti diretti sul Kashmir, il conflitto acuì le tensioni tra i due Paesi. L’ultimo scontro diretto tra i due Paesi si verificò nel 1999 con la crisi di Kargil, innescata da una infiltrazione pakistana e conclusasi rapidamente. Tuttavia, l’attacco al Parlamento indiano di New Delhi del dicembre 2001 è stato considerato dal governo indiano come un attentato compiuto da gruppi del Kashmir, sostenuti da Islamabad e sembra avere inasprito le relazioni con il governo pakistano.

Nel 2016 a Pathankot, in India, Jaish-e-Mohammad , fondato nel 1999 da Masood Azhar, secondo alcuni alleato di Al Qaeda, colpì una base militare, ma non vi furono reazioni militari da parte indiana. L’azione dei militanti del Jaish-e-Mohammad si è rafforzata negli ultimi anni e, secondo alcuni analisti, la recente attività in Kashmir va ricondotta alla situazione del teatro di guerra afghano. Il ritiro parziale delle truppe straniere dall’Afghanistan e i recenti negoziati di Doha (con lo scopo di giungere a un accordo per la pace in Afghanistan), sembrano concedere al Pakistan numerosi successi diplomatici nello scenario afghano e ciò permette al governo di Islamabad di destinare uomini e risorse all’irrisolta questione del Kashmir. L’ISI, la branca deviata dei servizi segreti pakistani, sembra, infatti, intrattenere legami con il Jaish-e-Mohammad e rappresenterebbe il tramite del governo pakistano per sostenere le rivendicazioni del gruppo.

Sul versante indiano ogni ulteriore richiesta di autonomia del territorio al governo federale ha ricevuto il diniego di New Delhi; le concessioni fatte al Kashmir, con l’articolo 370 della Costituzione indiana a partire dal 1949, che permettono allo Stato di potere avere una propria Costituzione e la delega di una serie di materie che sarebbero di competenza esclusiva del governo federale, rappresentano un unicum per l’India che teme storicamente la propria disgregazione. Sono, infatti, numerose le forze centrifughe che nell’Unione Indiana minacciano la frammentazione del territorio, tra questi i movimenti dell’Assam che hanno rivendicato, in passato, un antico regno rimasto indipendente fino al 1826 e i sikh che hanno lottato storicamente per la creazione di un Khalistan indipendente. La forte reazione indiana all’attentato è attribuibile alle recente campagna elettorale indiana per il rinnovo del Parlamento, che avrà luogo a partire dall’aprile 2019. Il governo nazionalista del BJP cerca in ogni modo di riaffermare la propria supremazia, cercando di portare l’attenzione sulla crisi col Pakistan, mentre Islamabad vuole dimostrare la fragilità di New Delhi.

I timori di un inasprimento delle ostilità e di una guerra nucleare hanno indotto il Consiglio di sicurezza dell’ONU, lo scorso 13 marzo, a votare una risoluzione di condanna dell’attentato e il segretario generale Antonio Guterres si è espresso in favore di una distensione tra i due Paesi.

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