SURPRISING RESULTS IN PRESIDENTIAL ELECTIONS IN PERU

PERÙ: LA SORPRESA DEI RISULTATI DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI

di Marzia Rosti*

I risultati delle elezioni presidenziali in Perù svoltesi l’11 aprile 2021 hanno smentito tutti i pronostici non solo perché nessuno dei diciotto partecipanti ha raggiunto il quorum necessario per essere eletto al primo turno[1], ma anche per i profili dei due candidati che hanno ricevuto più voti e che si sfideranno al ballottaggio del 6 giugno – cioè Pedro Castillo e Keiko Fujimori – i quali, pur avendo conseguito un modesto risultato in termini di consensi ottenuti, sono comunque riusciti a superare figure più accreditate dagli analisti[2].

La sorpresa di queste elezioni è senza dubbio il maestro rurale e sindacalista Pedro Castillo, candidato del partito di sinistra Perú Libre, che ha ottenuto circa il 19% delle preferenze. Conservatore in materia di diritti civili (ad esempio, è contrario all’aborto, all’eutanasia e al matrimonio egualitario), in campagna elettorale ha promesso la nazionalizzazione dell’industria mineraria e del gas, con un intervento sul Progetto gas Camisea (il più importante progetto energetico del paese, che coinvolge un’area dell’Amazzonia peruviana con ripercussioni sulle comunità indigene che vi abitano) e la rinegoziazione dei contratti internazionali, e con l’introduzione dell’obbligo per le imprese multinazionali di reinvestire parte dei loro profitti in Perù. Originario di Cajamarca, una delle regioni più povere del paese, Castillo senza dubbio ha raccolto il consenso sia delle fasce più povere della popolazione sia di quella parte di peruviani che ha deciso di esprimere attraverso le urne la propria sfiducia verso una classe politica coinvolta negli ultimi anni in continui scandali di corruzione, incluso il leader del suo stesso partito, Vladimir Cerrón.

Keiko Fujimori è invece una figura nota della politica peruviana, come candidata del partito di destra Fuerza Popular ha raccolto poco più del 13% di consensi. Figlia dell’ex Presidente Alberto Fujimori, che governò il paese dal 1990 al 2000 e che ora è in carcere per una condanna a 25 anni per corruzione e per le sistematiche violazioni dei diritti umani durante la sua presidenza, Keiko rappresenta la destra conservatrice e si è già candidata due volte alle elezioni presidenziali – nel 2011 e nel 2016 – perdendo in entrambe le occasioni. Coinvolta più volte in scandali di corruzione, è stata rilasciata nel maggio 2020, dopo aver scontato 3 dei 15 mesi di detenzione preventiva che erano stati disposti dall’autorità giudiziaria nell’ambito dell’indagine sulla rete di corruzione della multinazionale brasiliana Odebrecht, il più grande e sofisticato sistema di tangenti di questo secolo che ha coinvolto dodici Paesi dell’America Latina e alcuni dell’Africa.

In un clima di grande sorpresa per i risultati delle elezioni, si è inserito lo scrittore Mario Vargas Llosa che, nell’articolo Asomandose al abismo pubblicato nei quotidiani messicano Crónica (https://www.cronica.com.mx/notas-asomandose_al_abismo-1183822-2021) e spagnolo El País (https://elpais.com/opinion/2021-04-18/asomandose-al-abismo.html), traccia i profili di entrambi i candidati, ricostruisce i loro programmi elettorali ed esorta i peruviani a votare al ballottaggio per Keiko Fujimori.

Il Nobel per la Letteratura spiega infatti che il Perù di Castillo, esponente della sinistra radicale, «será calcado del que inauguró el comandante Chávez en Venezuela, el Socialismo del siglo XXI, que ha obligado a más de cinco millones de venezolanos a emigrar a los países vecinos para no morirse de hambre». E ancora «si esta es la sociedad que va a crear Pedro Castillo, es obvio que ella tendrá todas las características de una sociedad comunista, en una época en la que – los peruanos que votaron por él no parecen haberse dado cuenta todavía – el comunismo ha desaparecido del planeta, con las excepciones más horripilantes, es decir Cuba, Venezuela, Nicaragua y Corea del Norte». Avverte, infine, che un eventuale governo di Castillo potrebbe concludersi in tempi brevi con un golpe di «militares derechistas, o izquierdistas a la manera ‘velasquista’, que, como ha ocurrido siempre en nuestra historia, retrocederá bárbaramente al país».

Per quanto Vargas Llosa critichi anche Keiko Fujimori e l’operato del padre Alberto, egli sostiene che i peruviani al ballottaggio debbano votare per lei, poiché «representa el mal menor y hay, con ella en el poder, más posibilidades de salvar nuestra democracia, en tanto que con Pedro Castillo no veo ninguna», a condizione però che Keiko Fujimori s’impegni a rispettare la «libertad de expresión, a no indultar a Vladimiro Montesinos, responsable de los peores crímenes y robos de la dictadura, a no expulsar ni cambiar a los jueces y fiscales del Poder Judicial, que han tenido en los últimos tiempos una actitud tan gallarda en defensa de la democracia y los derechos humanos, y, sobre todo, a convocar a elecciones al término de su mandato, dentro de cinco años». Se Keiko – che ha subito ringraziato per il sostegno elettorale – s’impegnerà a realizzare alcune di quelle promesse che non hanno caratterizzato la sua carriera politica e le sue campagne elettorali, ha davanti a sé «la oportunidad, única, de tomar el poder a través de elecciones limpias y de contar con una ancha base social y popular para hacer las reformas necesarias que conviertan al Perú en un país justo, libre y moderno y le devuelvan el liderazgo que alguna vez tuvo en el pasado de América Latina».

La ‘Teoria del male minore’ proposta da Vargas Llosa ha suscitato le perplessità degli analisti e degli osservatori nazionali e internazionali e del popolo peruviano, che mai come ora ha bisogno di stabilità e di certezze dal punto di vista politico, economico e sociale. Si ricorda infatti che dalla fine del governo Fujimori, cioè dal 2000 in poi, tutti i Presidenti della Repubblica che si sono succeduti sono stati coinvolti in scandali di corruzione con conseguenze anche tragiche, come il suicidio dell’ex Presidente Alan García due anni or sono proprio per evitare l’arresto. A ciò si aggiunga la crisi politica del novembre 2020, che ha visto tre Presidenti succedersi in una settimana dopo la rimozione – sempre per corruzione – di Martín Vizcarra, Presidente ad interim dal 2018, a seguito delle dimissioni, sempre per corruzione, di Pablo Kuczynski eletto nel 2016 (entrambi esponenti Peruanos Por el Kambio). A Vizcarra sono seguiti il Presidente del Parlamento Manuel Merino (Acción Popular), dimessosi dopo pochi giorni per le manifestazioni di piazza, e Francisco Sagasti esponente del Partido Morado, unica forza politica a non aver votato per la rimozione di Vizcarra e ancora oggi in carica.

Chi vincerà il ballottaggio del 6 giugno e assumerà l’incarico il prossimo 28 luglio dovrà ricostruire un paese segnato non solo da una crisi di rappresentanza e da una corruzione a tutti i livelli, ma anche da una crisi economica (si stima per il 2020 una contrazione del PIL dell’11%) e anche sociale, aggravata dalla pandemia per il Covid-19 che, proprio nei giorni dopo le elezioni, ha superato per la prima volta i 400 morti in ventiquattro ore per la diffusione della variante brasiliana e cha portato il bilancio totale delle vittime a 57.230 morti in 13 mesi.

FONTI:

[1] Cioè la maggioranza assoluta dei voti, come previsto dall’art. 111 della Costituzione del 1993.

[2] Yonhy Lescano (Acción Popular) era dato per favorito, anche se gli ultimi sondaggi avevano riscontrato una crescita di consensi per Keiko Fujimori, rivelatasi fondata. Lescano ha poi ottenuto poco più del 9% delle preferenze e si è collocato dietro agli altri due candidati considerati forti: Rafael López Aliaga di Renovación Popular (11,7%) ed Hernando de Soto di Avanza País (11,6%), mentre si stimava che Pedro Castillo avrebbe ottenuto circa l’11% dei consensi.

* Professore Associato di Storia e Istituzioni delle Americhe presso l’Università degli Studi di Milano.

Questa voce è stata pubblicata in AMERICA LATINA, Osservatorio elettorale, Perù e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.