Romanian anti-corruption protests and the fate of the government in office

di Laura Alessandra Nocera

Protests are raising in Romania, since the adoption of the government emergency decrees to decriminalise misconduct of power abuse and modify the Criminal and Criminal Procedure Codes approved the 30 of January. The President Iohannis claims it has been the greatest crisis in the story of Romanian democracy and appeals for a return to the European values.

Dal gennaio 2017, il nuovo Governo rumeno, formatosi a seguito delle elezioni parlamentari dell’11 dicembre 2016 e sostenuto da una coalizione tra il Partito Social Democratico (PDS) e l’Alleanza dei liberali e dei democratici (ALDE), si trova a fronteggiare una delle più grandi crisi della storia democratica rumena. Proteste e manifestazioni di piazza sono già iniziate a fine gennaio nella capitale e in diverse grandi città rumene, coinvolgendo un numero di partecipanti pari a quello delle dimostrazioni popolari che portarono alla caduta di Ceausescu nel 1989 (secondo le stime ufficiali dei media rumeni, nella sola giornata del 5 febbraio circa 300.000 persone hanno manifestato nelle strade di Bucarest, chiedendo le dimissioni del Governo).

Le proteste sono scaturite dalla proposta da parte del Governo presieduto da Sorin Grindeanu, ex vice sindaco della città di Timisoara e Ministro delle Comunicazioni nel governo Ponta (2012-2015) e deputato del PDS, di adottare una legge specifica sui reati contro la Pubblica Amministrazione.

Il progetto governativo proponeva, in particolare, un disegno di legge, sostenuto dall’attuale Ministro della Giustizia Florin Iordache, che depenalizzasse alcune condotte criminose ascrivibili alla fattispecie del reato di corruzione e che modificasse parzialmente il testo del Codice Penale e del Codice di Procedura Penale (entrambi entrati in vigore dall’1 febbraio 2014) relativamente al reato di abuso d’ufficio.

La notizia del disegno governativo era trapelata attraverso i media poco dopo il giuramento del nuovo Governo, dividendo da subito l’opinione pubblica e generando proteste circa la reale motivazione della depenalizzazione proposta. Le proteste coinvolgevano, in particolare, la figura dell’attuale Segretario del PDS e Presidente della Camera dei Deputati, Liviu Dragnea, indagato dalla magistratura rumena per abuso d’ufficio e  corruzione. Il motivo ufficiale addotto dal Governo per la modifica della disciplina penalistica sui reati corruttivi, invece, si riferiva al problema del sovraffollamento delle carceri e alla necessità di riportarsi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in riferimento alla lunghezza delle pene e alle condizioni precarie nelle prigioni, in modo da scongiurare l’eventualità di una sanzione.

Conseguentemente a questa situazione di attrito con i media e la popolazione, il 18 gennaio, il Presidente della Repubblica Klaus Iohannis, intervenendo a tutela dei principi fondamentali protetti dalla Costituzione e facendo leva sulla facoltà attribuitagli dall’art.87 della Costituzione, partecipava al consiglio dei ministri. In questa sede, egli, in riferimento alla preparazione del disegno di legge sulla depenalizzazione delle condotte criminose corruttive, chiedeva al Governo che le modifiche al Codice Penale e al Codice di Procedura Penale fossero condotte nella garanzia della trasparenza e del confronto con il Parlamento bicamerale, oltre che con una preventiva consultazione con le autorità giudiziarie e pubbliche coinvolte.

Dopo un’attenta analisi, le autorità giudiziarie ed amministrative interpellate (la Corte di Cassazione, la Procura generale presso la Corte di Cassazione, il Consiglio Superiore della Magistratura e l’Autorità amministrativa anti-corruzione) si sono espresse negativamente sul disegno di legge governativo, sostenendo, in particolare, che una legge simile avrebbe compromesso la stabilità del sistema processual-penalistico, inficiando irrimediabilmente la lotta contro la corruzione e consentendo l’attribuzione di incarichi pubblici a figure precedentemente coinvolte in reati corruttivi.

A seguito di tale parere negativo, il 20 gennaio, il Presidente Iohannis chiedeva ufficialmente al Governo di ritirare le sue proposte, in modo da garantire la stabilità del sistema processual-penalistico. Tuttavia, il Segretario del PDS Liviu Dragnea interveniva pubblicamente, lamentando l’incostituzionalità della condotta presidenziale nell’assistere al Consiglio dei ministri del 18 gennaio  e investendo, di fatto, la coalizione di maggioranza governativa del compito di procedere con il disegno di legge di depenalizzazione. Il 22 gennaio, una mobilitazione di massa contro il Governo vedeva chiaramente schierarsi a fianco dei manifestanti il Presidente Iohannis e le autorità giudiziarie, mentre ulteriori proteste trovavano teatro in diversi Paesi europei e non, davanti alle sedi delle ambasciate rumene.

La sera del 31 gennaio, in un comunicato stampa, il Governo annunciava che, durante il Consiglio dei ministri svoltosi la notte precedente, era stato approvato il bilancio preventivo dell’anno 2017. Durante lo stesso Consiglio, tuttavia, benché non prevista all’ordine del giorno, era stata discussa anche la succitata modifica al Codice Penale e al Codice di Procedura Penale: in particolare, la travagliata depenalizzazione delle fattispecie criminose corruttive era stata approvata con un decreto esecutivo d’emergenza (ordinanza OUG n.13/2017), che veniva pubblicato il giorno seguente sulla gazzetta ufficiale (Monitorul Oficial), destinato ad essere convertito in legge. A seguito dell’annuncio dell’approvazione del decreto n.13/2017, peraltro avvenuta quasi “in segreto”,  le opposizioni scendevano in piazza, chiedendo insistentemente le dimissioni del Governo, lo scioglimento delle Camere e la convocazione di nuove elezioni.

L’aumento delle proteste e delle manifestazioni di massa, generatoi dalla condotta del Governo nei primi giorni di febbraio, conduceva l’esecutivo a ritirare, il 5 febbraio, il decreto n.13/2017 e ad adottare una nuova ordinanza d’emergenza (OUG n.14/2017), che, tuttavia, conteneva ancora i punti critici affrontati nell’ordinanza precedente. Il Governo annunciava, pertanto, che, ritirando il decreto n.13/2017, avrebbe proceduto alla regolare presentazione di un disegno di legge, contenente la depenalizzazione dei reati corruttivi, alle Camere (nelle quali può tuttora contare della maggioranza dei seggi, grazie alla coalizione di PDS e ALDE). A tlae proposito, il Ministro della Giustizia, Florin Iordache, obiettava, invece, che, nel possibile ritiro del decreto contestato o nella mancata approvazione di una legge contenente lo stesso testo, si sarebbe ripristinato il testo precedente del Codice Penale (approvato con legge n.289/2009) e del Codice di  Procedura Penale (approvato con legge n.135/2010), già viziati da incostituzionalità.

Tuttavia, a seguito del continuo malcontento popolare, Iordache è stato costretto a rassegnare le dimissioni l’8 febbraio 2017, mentre la posizione dell’esecutivo rimane fragile.

Mentre un’ondata di proteste popolari invadeva le città rumene, il Consiglio Superiore della Magistratura, unitamente al Presidente della Repubblica, presentava ricorso alla Corte Costituzionale, sollevando eccezione di incostituzionalità in relazione alla procedura seguita dal Governo per l’approvazione del decreto d’emergenza. La Corte Costituzionale, pur sottolineando negativamente la scarsa democraticità della condotta governativa, ha rigettato il ricorso, in quanto non esisterebbe alcun conflitto di poteri di natura costituzionale tra Governo e Consiglio Superiore della Magistratura, visto che il Governo non impedisce all’autorità giudiziaria l’esercizio delle funzioni attribuite dalla Costituzione (art.115), né esiste un conflitto di natura costituzionale tra il potere esecutivo e il potere legislativo, visto che la procedura seguita dal Governo per l’approvazione del decreto d’emergenza n.13/2017 segue quanto previsto dall’art.117 della Costituzione. In riferimento alle relazioni tra potere esecutivo e magistratura, inoltre, la Corte Costituzionale ravvisava che, a garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia del Consiglio Superiore della Magistratura e del corpo giudiziario, la Costituzione non prevede alcun obbligo di consultazione preventiva da parte del Governo per l’approvazione di decreti e ordinanze esecutive (decisione del 24.02.2017).

La mancanza di trasparenza e la scarsa considerazione delle richieste popolari, oltre che dei pareri negativi di giudici e altre istituzioni, è stata interpretata dal popolo come una mancanza di democraticità da parte del Governo e ha alimentato una serie di proteste e manifestazioni di piazza che, dal 31 gennaio, si succedono continuamente  e con regolarità quotidiana nelle maggiori città del Paese e che minano la stabilità politica dell’attuale esecutivo (l’ultima manifestazione nella capitale rumena è del 26 febbraio).

Inoltre, la corruzione rimane tuttora uno dei maggiori problemi in Romania, fonte della lenta crescita socio-economica e dell’impoverimento generale del Paese. Secondo Transparency International, la Romania è il quinto paese europeo più corrotto (dopo Bulgaria, Grecia, Italia e Ungheria). Tale elevato livello di corruzione è stato rilevato anche dalla Commissione europea, intervenuta nel 2012 a margine della crisi politica incombente nel confronto tra l’allora primo ministro Victor Ponta e il Presidente della Repubblica Traian Basescu.

Fonti:

  • www.abcnews.com
  • www.bbcnews.com
  • www.digi24.ro
  • www.euronews.com
  • www.hotnews.ro
  • www.politico.eu
  • www.socialeurope.eu
  • www.theguardian.com
  • www.transparency.com
  • www.venice.coe.intIn riferimento alla Costituzione e alle pronunce della Corte Costituzionale rumena:
  • www.cdep.ro
  • www.ccr.ro
  • www.constitution.org/cons/romania.txt
Questa voce è stata pubblicata in Cronache costituzionali, EUROPA CENTRO-ORIENTALE, Romania e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.