di Cristiano Preiner
Il Governo ungherese ha proposto lo svolgimento di un referendum popolare con l’intento di confermare la contrarietà al sistema di distribuzione per quote che è uno dei punti di discussione più controversi nei vertici tra capi di Stato e di governo della UE riguardo all’emergenza migranti.
In una recente conferenza stampa (straordinaria) il primo ministro Viktor Orbán ha reso pubblico il testo della consultazione così come presentato dal suo capo gabinetto alla Commissione elettorale nazionale (Nemzeti Választási Bizottság): “È d’accordo sul fatto che l’Unione Europea prescriva obbligatoriamente la collocazione di cittadini stranieri in Ungheria senza l’autorizzazione dell’Assemblea Nazionale?”. Secondo le dichiarazioni di Orbán, “nessuno può decidere al posto dei deputati eletti del Parlamento ungherese”, consigliando anche ad altri paesi di percorrere la via referendaria. Facendo riferimento alla “democrazia” come uno dei pilastri su cui si fonda l’Unione, il premier ungherese ha ribadito che “non si può escludere le persone da decisioni tali da modificare profondamente il futuro delle popolazioni”. Il sistema delle quote è una di queste, in quanto “ridisegnerebbe l’identità etnica, culturale e religiosa dell’Ungheria e dell’Europa”. Imporre ad un paese una quota di migranti da accogliere sarebbe addirittura „un abuso di potere”. A dicembre il premier conservatore aveva già minacciato di fare ricorso alla Corte di Giustizia della UE contro la posizione della Commissione Europea sulle quote dei rifugiati.
Sulla base della Costituzione ungherese, art. 8 comma 1, l’Assemblea nazionale è obbligata ad indire un referendum su proposta di almeno 200.000 elettori. Lo scorso novembre il partito di maggioranza Fidesz aveva organizzato la raccolta delle firme necessarie, ma nel più recente caso, trattandosi di iniziativa dell’esecutivo, il parlamento può già votare in favore della consultazione popolare.
Ci sono state diverse reazioni dell’opposizione, relative alla forma più che al merito del quesito. I socialisti dell’MSZP, per bocca del loro presidente József Tóbiás, „concordano sul fatto che non si possono prendere decisioni rilevanti per il popolo ungherese senza il coinvolgimento del parlamento”. Il leader socialista ha tuttavia posto l’attenzione sulla compatibilità del referendum con la Costituzione e con i Trattati europei. Simili sono state le posizioni di Coalizione Democratica (DK) e degli ambientalisti e indipendenti di LMP per cui il rischio vero sarebbe quello di un depotenziamento dello strumento referendario e della possibilità che Orbán se ne impossessi per personalizzarne i contenuti. Il partito di estrema destra dello Jobbik ha esultato, rivendicando di aver fatto la stessa proposta sei mesi prima di quella del governo.
Secondo l’internazionalista Tamás Lattmann, l’iniziativa del Governo Orbán potrebbe motivare una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea dal momento che „sia la Costituzione che le norme che disciplinano le procedure elettorali sono chiare nel disporre che gli obblighi dell’Ungheria derivanti da trattati internazionali non possono costituire materia di referendum” (così prevede l’articolo 8 c.3 lettera d della Costituzione. A tal proposito il Ministro della Giustizia, László Trócsányi, è intervenuto pubblicamente per ribadire che il referendum sulle quote è „giusto, legittimo e basato sul principio democratico”.
Il Ministro ha richiamato una sentenza della Corte Costituzionale (precisamente la 1053/E/2005 ndr) secondo cui il diritto dell’Unione Europea non può essere considerato diritto internazionale ma un diritto interno, un sistema legale autonomo. In altre parole la questione non sarebbe in alcun modo contraria al diritto internazionale. La stessa Costituzione, ha ricordato Trócsányi, disciplina diversamente la posizione ungherese nei confronti del diritto internazionale con l’articolo Q, e dell’Unione Europea con l’articolo E, la cosiddetta clausola di adesione. Il responsabile della giustizia del governo Orbán si è soffermato sulla questione della sovranità. Anche in questo caso egli fa riferimento alla giurisprudenza costituzionale ed in particolare proprio ad un suo parere individuale nella sentenza 143/2010 (VII.14.) riguardante il trattato di Lisbona: “Il trasferimento delle competenze non è illimitato pertanto anche l’esercizio del primato del diritto comunitario è soggetto a limiti” ed il limite è costituito dall’identità e dai principi fondamentali contenuti nella Costituzione la cui determinazione è l’essenza della sovranità che gli Stati membri mantengono come propria. Nel caso specifico delle quote obbligatorie di stabilimento dei migranti si assiste, secondo Trócsányi, ad un „malcelato tentativo di sottrazione di competenze a vantaggio dell’Unione Europea”. In conclusione il Ministro, definendo il testo del referendum chiaro e comprensibile, ha anticipato la risposta dell’Assemblea nazionale magiara sulla base dell’esito della consultazione. In caso di risposta negativa il parlamento adotterà una legge che porrà delle condizioni nazionali alla decisione di Bruxelles sulle quote. In caso di vittoria dei „sì” sarà comunque necessaria una legge costituzionale che regoli il trasferimento di competenze all’UE volto a rendere effettiva l’obbligatorietà delle quote di stabilimento.
Fonti:
www.kormany.hu (sito web ufficiale del Governo ungherese)