L’ombudsman polacco e la giustizia costituzionale illiberale

di Jan Sawicki*

Con la sentenza K 20/20, emessa il 15 aprile 2021 dopo numerosi rinvii di udienze, il Tribunale costituzionale polacco nella sua composizione illegittima fin dal 2015 (sentt. K 34/15 e K 47/15, prima non pubblicate e poi sostanzialmente vanificate e sabotate dal potere politico) ha messo in pericolo, o quanto meno ha sospeso a tempo indeterminato, il funzionamento di una delle ultime istituzioni di garanzia funzionanti nel paese, quella dell’Ombudsman (Rzecznik Praw Obywatelskich, RPO o Difensore dei diritti civili), riconosciuta a livello internazionale, munita di poteri significativi e iperattiva soprattutto negli ultimi anni. È stato dichiarato illegittimo, per contrasto con gli articoli 2 (principio democratico) e 7 (principio di legalità), in combinato con l’art. 209 della Costituzione (criteri concernenti l’elezione dell’organo stesso), l’art. 3, comma 6, della legge riguardante questa istituzione, risalente al 15 luglio 1987, nella parte in cui dispone una prorogatio dei poteri spettanti al titolare in carica «fino all’elezione del suo successore», senza aggiungere limitazioni di tempo o di altra natura.

In effetti il mandato quinquennale di Adam Bodnar era scaduto nel settembre del 2020, senza che l’attuale maggioranza nazional-conservatrice imperniata intorno al PiS fosse in grado di eleggere un suo successore come previsto dalla Costituzione, ovvero a maggioranza dei voti al Sejm ma con l’assenso del Senato, ove le opposizioni democratiche prevalgono per 51 seggi a 49. Diversi tentativi in tal senso sono falliti per l’assoluta indisponibilità della maggioranza di governo a convergere su qualunque soluzione di compromesso che fuoriuscisse dal suo stretto perimetro politico per incontrare il favore anche della camera ‘alta’, e dunque delle opposizioni.

La pronuncia di cui si discute prende le mosse non casualmente da un ricorso presentato da un gruppo di parlamentari favorevoli al governo, che puntavano a ottenere un divieto assoluto della prorogatio. Restava da comprendere cos’altro, una volta dichiarata illegittima la norma che la consentiva senza limiti di tempo, e non riempita la lacuna normativa così creatasi con alcuna tecnica manipolativa di tipo additivo, i ricorrenti si aspettassero ancora di ottenere da un Tribunale così disposto a soddisfare i desiderata della maggioranza politica. E in effetti il Tribunale costituzionale ha fatto del suo meglio: ha differito l’efficacia della propria sentenza per un tempo congruo di 90 giorni dalla data della sua pubblicazione (come peraltro la Costituzione consente di fare), non tanto per garantismo nei confronti dell’uscente Bodnar o per consentirgli di meglio portare a compimento le sue attività nell’interesse di coloro che ricorrono all’istituto, quanto per consentire al legislatore (si legga al PiS) di trovare una soddisfacente soluzione alla situazione di stallo che si potrebbe creare qualora i fallimenti già consumatisi nell’elezione del successore di Bodnar si dovessero ripetere.

Si noti che il Tribunale, con il differimento che ha accordato, non ha lasciato tempo a disposizione del mondo politico per consentire a quest’ultimo di compiere ciò che la Costituzione prescrive, nella totale superfluità di ogni altra previsione normativa, ovvero di eleggere un nuovo ombudsman. Esso ha previsto questo tempo aggiuntivo per un altro motivo: il monito contenuto nel comunicato stampa che accompagna il secco e stringato dispositivo della sentenza – in attesa che ne siano pubblicate le motivazioni – esorta il Parlamento non a eleggere il successore secondo Costituzione, ma ad «adeguare l’ordinamento giuridico» alla propria sentenza. In altri termini il Parlamento, che viene esortato ad agire non in quanto collegio elettorale bensì nella qualità di legislatore, dovrebbe adottare una legge che regoli la situazione giuridica in cui «l’ufficio del RPO non sia coperto per qualche tempo in seguito alla scadenza del relativo mandato».

Non è chiarito nel comunicato, e tantomeno viene espresso nel dispositivo, cosa questo significhi. Vi ha fatto cenno però in forma orale il relatore della sentenza Piotrowicz, già pubblico ministero negli anni ottanta e poi parlamentare del PiS nella scorsa legislatura, in cui ha avuto un ruolo attivo in quasi tutte le leggi sull’ordinamento giudiziario. Egli ha richiamato le ipotesi da tempo formulate nel mondo politico, ovvero quelle di prevedere una sorta di commissario o di soggetto facente le funzioni di ombudsman che sarebbe indicato o nominato (con quali poteri? per quanto tempo?) dal capo dello Stato o dalla prima presidente della Corte suprema fintantoché perduri la situazione di stallo entro la procedura prevista dalla Costituzione. Il rischio è che una situazione in effetti di dubbia costituzionalità, come quella di una prorogatio che si protrae in modo irragionevole a tempo indeterminato (mentre la legge la contemplò, verosimilmente pensando a tempi brevissimi e puramente tecnici), sia sostituita da un’altra ancora più incostituzionale, nella quale possa operare un soggetto ancor più privo di legittimazione di colui che finora ricopre la carica.

Non sembra casuale qui un’altra circostanza. La formazione delle leggi, per come prevista dalla Costituzione del 1997, istituisce un bicameralismo del tutto non paritario, entro il quale – in estrema sintesi – l’opposizione del Senato, o anche solo l’apposizione di emendamenti a una legge già approvata dalla Dieta in tre letture, può essere superata da quest’ultima a maggioranza semplice dei voti. Il ‘veto’ del Senato, se così lo si vuole chiamare, è puramente sospensivo e neppure in questa veste viene fornito di particolare robustezza, e ciò vale naturalmente anche per le norme ora invocate e auspicate dal giudice delle leggi. La scelta del costituente in merito all’elezione dell’ombudsman, invece, prevede con l’assenso del Senato, o meglio in mancanza di questo, un veto per così dire definitivo, esprimendo preferenza per un coinvolgimento molto più incisivo, e forse non casuale, della camera ‘alta’. La decisione del Tribunale costituzionale, composto come si è detto in esordio, si inserisce bene nei meandri di questi dati istituzionali, mostrando una volta di più come la realtà di fatto dei rapporti di forza tra partiti possa incidere sulle differenziate maggioranze elettive o deliberative nonché sul loro significato. Nel caso specifico, essa piega la volontà del costituente a specifiche esigenze politiche maggioritarie del momento, invece di fare il contrario, adattando un rispetto formalistico e comunque apparente della prima all’impellenza delle seconde. Nel frattempo i giudici del Tribunale costituzionale polacco, come lo furono fin dalla metà degli anni ottanta, in un contesto istituzionale totalmente diverso, così seguitano tuttora ad essere eletti con la sola maggioranza relativa della Dieta.

FONTI:

https://trybunal.gov.pl/postepowanie-i-orzeczenia/wyroki/art/11490-pelnienie-obowiazkow-przez-rzecznika-praw-obywatelskich-po-uplywie-piecioletniej-kadencji-do-czasu-objecia-stanowiska-przez-nowego-rzecznika

https://wyborcza.pl/7,173236,26983417,poland-s-constitutional-court-rules-to-remove-the-ombudsman.html

https://www.rpo.gov.pl/en

https://trybunal.gov.pl/postepowanie-i-orzeczenia/komunikaty-prasowe/komunikaty-po/art/11491-pelnienie-obowiazkow-przez-rzecznika-praw-obywatelskich-po-uplywie-piecioletniej-kadencji-do-czasu-objecia-stanowiska-przez-nowego-rzecznika

https://tvn24.pl/tvn24-news-in-english/polands-constitutional-court-removes-human-rights-commissioner-from-office-5069023

* Dottore di Ricerca in Teoria dello Stato, Sapienza – Università di Roma.

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