Indigenous Rights in Costa Rica

di Luisa Olivi

Ha suscitato molto sconcerto nell’opinione pubblica internazionale l’omicidio di Sergio Rojas, rappresentante della comunità indigena bribri di Salitre, Puntarenas, avvenuto il 18 marzo 2019. Rojas, conosciuto per il suo ruolo di attivista per il rispetto dei diritti dei popoli indigeni, ha acceso i riflettori dell’opinione pubblica costaricana sulla situazione delle comunità indigene e sulla tutela dei loro diritti.

Il Costa Rica è considerato uno dei Paesi più stabili dal punto di vista politico dell’America centrale. Esso si contraddistingue altresì per la peculiarità di avere abolito l’esercito alla fine della Seconda guerra mondiale, tanto da essere denominato “la Svizzera del Centro America”. Il principio di neutralità promosso dal Paese ha permesso una buona crescita economica e una generale stabilità.

Il censimento del 2011 ha rilevato la presenza di circa 104 mila indigeni, ossia il 2,4% della popolazione totale. Gli indigeni costaricani sono suddivisi in otto gruppi socioculturali (Cabécares, Bribris, Ngäbe, Térrabas, Borucas, Huetares, Malekus e Chorotegas) che vivono in 24 comunità localizzate principalmente nella zona sud-occidentale del Paese, nelle regioni di Puntarenas e Limón.

La prima azione compiuta dalle autorità per tutelare le minoranze indigene è stata l’istituzione, nel 1973, della Comisión Nacional de Asuntos Indígenas – CONAI, con il compito di difendere i diritti degli otto gruppi etnici presenti nel Paese. Solo successivamente è stata elaborata una normativa ad hoc, la Ley Indígena 6172 del 1977. Questa legge, oltre a dare la definizione di comunità indigena, delimita i confini delle “riserve” nelle quali le comunità possono vivere. Per tutelare i loro diritti, la legge elenca quali azioni sono vietate ai cosiddetti “non indigeni”: ad esempio, questi non possono stabilirsi nelle riserve, acquistarne i territori e sfruttare le risorse del sottosuolo delle riserve.

Gli indigeni possono vendere i loro terreni esclusivamente ad altri indigeni: qualsiasi atto di compravendita tra indigeni e non indigeni è illegale e non ha valore giuridico. Inoltre, gli indigeni hanno la gestione esclusiva delle attività commerciali delle riserve, e per questo i non indigeni hanno il divieto di assumere personale indigeno e sfruttarlo come manodopera a basso prezzo.

Come in altri paesi dell’America Latina, anche per le popolazioni indigene del Costa Rica il tema del diritto alla terra è tuttora causa di controversie. La legge del 1977 affronta il tema delle espropriazioni dei terreni considerati riserve qualora siano abitati da non indigeni: gli abitanti o i proprietari terrieri identificati sono obbligati a stabilirsi in altre zone e, nel caso in cui un nuovo insediamento non fosse possibile, essi riceverebbero un indennizzo per le terre espropriate secondo le modalità previste dalla Ley de Expropiaciones.

La Ley Indígena dichiara, inoltre, che, se dopo l’entrata in vigore della suddetta legge ci saranno delle occupazioni delle riserve da parte di persone non indigene, le autorità competenti dovranno provvedere immediatamente all’allontanamento degli occupanti senza pagare loro alcun indennizzo.

Sebbene, nel momento storico in cui è stata redatta, la Ley Indígena poteva considerarsi all’avanguardia per le tematiche affrontate, da allora non è più stata riformulata. Uno dei punti deboli di questa legge consiste nell’assenza di un quadro giuridico che regoli l’applicazione di sanzioni in caso di violazione della Ley Indigena.

Benché inferiore alla media regionale, il tasso di violenza in Costa Rica è aumentato costantemente dal 2012, raggiungendo lo scorso anno 11,7 omicidi ogni 100.000 abitanti; sono aumentati anche gli episodi di violenza nei confronti di persone indigene.

La richiesta di un maggiore controllo e monitoraggio della situazione degli indigeni costaricani è giunta alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani – CIDH che, nel 2015, ha chiesto al Governo di rafforzare le misure per tutelare i territori indigeni, a seguito di un ricorso del 2012 da parte di Forest People Programme, associazione non governativa che tutela i diritti dei popoli indigeni, che aveva denunciato alla CIDH le condizioni di pericolo in cui viveva la popolazione bribri di Salitre.

La zona di Salitre dove risiede la comunità bribri è un territorio di 11.700 ettari, da anni terreno di controversie con i non indigeni, ed è stata soggetta a numerose occupazioni illegali a causa della sua importanza culturale, storica e sociale.

La CIDH ha stimato che, nel 2010, il 60% del territorio della comunità bribri era occupato da persone non indigene, il che aveva indotto i legittimi abitanti della riserva, guidati da Sergio Rojas, a organizzarsi pacificamente per recuperare questi territori. Alle proteste pacifiche dei bribri, gli abitanti non indigeni avevano risposto con minacce verbali e fisiche. Lo stesso Rojas è stato considerato persona non grata dal Municipio del cantone di Buenos Aires e ha subito numerose intimidazioni anche con armi da fuoco.

La CIDH ha inoltre raccolto le prove dell’occupazione delle terre ancestrali indigene da parte di estranei e delle conseguenti reazioni violente dei popoli indigeni che rivendicavano le loro proprietà. Malgrado le costanti minacce e vessazioni nei confronti dei bribri, le azioni statali per proteggerli si sono limitate a un comunicato stampa di denuncia che condannava i fatti avvenuti, ma senza alcuna misura concreta di risarcimento del danno.

Per queste ragioni, la CIDH ha chiesto al Governo del Costa Rica di attuare misure concrete per la protezione delle minoranze e di trovare una soluzione pacifica: l’incolumità delle persone e il rispetto dei diritti devono essere la priorità delle nuove misure.

Malgrado l’ammonimento ricevuto dalla CIDH, l’assassinio di Rojas conferma che negli ultimi quattro anni non sia stata attuata alcuna politica per tutelare i popoli indigeni costaricani. Le organizzazioni a difesa dei diritti dei popoli indigeni si sono rivolte anche al Presidente del Costa Rica, Carlos Alvarado, chiedendo una maggior tutela, ma non è stata adottata nessuna misura concreta.

L’apparente indifferenza a queste tematiche ha radici antiche e culturali: sin dalla conquista spagnola, i popoli indigeni sono stati relegati a vivere in zone ostili e lontane dai centri abitati nella zona sud est del Paese, e la situazione è rimasta uguale anche dopo l’indipendenza. Solo a partire dagli anni ’90 ci furono degli importanti avanzamenti nella tutela e riconoscimento dei diritti indigeni. L’istituzione della Sala Constitucional nel 1989 fu il primo passo verso l’integrazione dei diritti dei popoli indigeni: questo organismo aveva infatti il compito di garantire il rispetto dei diritti degli abitanti delle comunità e il suo lavoro portò, nel 1993, al riconoscimento del popolo Ngäbe come gruppo sociale, cui seguì il riconoscimento degli altri otto gruppi etnici. Nel 1991 ci fu il primo censimento degli indigeni costaricani, il quale rilevò che la maggioranza di essi viveva in condizioni di estrema povertà e non aveva accesso ai servizi sanitari e scolastici.

Sebbene non esista un articolo specifico nella Costituzione riguardo i popoli indigeni, nel 2015, con la riforma della Costituzione nell’articolo 1 si introduce la nozione di nazione multietnica, sottintendendo il riconoscimento dei gruppi indigeni: “Costa Rica es una República democrática, libre, independiente, multiétnica y pluricultural”.

L’articolo 76 della Costituzione dichiara quali sono le lingue ufficiali dello Stato, ossia lo spagnolo e le lingue indigene, rafforzando così il concetto della pluralità culturale del Paese.

Il governo costaricano non ha mai trattato i popoli indigeni come un gruppo socioculturale, ma piuttosto come una minoranza svantaggiata: le leggi in ambito sociale, sanitario ed educativo, infatti, sono sempre state indirizzate alle popolazioni rurali e povere, comprendendo quindi i territori e gli abitanti delle riserve ma senza considerare le loro peculiarità socioculturali.

Nonostante il riconoscimento delle lingue indigene nel 1999 tramite un Decreto Ejecutivo che modificò l’articolo 76 della Costituzione, le innovazioni a livello educativo per preservare la cultura di questi gruppi sono state esigue. Il tasso di analfabetismo è ancora alto, così come lo è il tasso di abbandono scolastico: solo il 12% conclude gli studi elementari obbligatori. Questo porta a una serie di conseguenze, come il lavoro minorile e lo sfruttamento lavorativo, di cui sono vittima molti indigeni. Anche a livello sanitario la situazione è tutt’altro che rosea: il tasso di mortalità infantile nelle riserve è il più alto del Paese (40 morti ogni 1000 nati) a causa delle difficoltà per raggiungere questi luoghi e dei pochi servizi medici disponibili. Il tasso di mortalità dovuto a infezioni e a traumi è doppio rispetto alle altre zone del Paese, confermando la scarsa efficacia delle misure statali nel garantire l’accesso alla salute pubblica a tutti i cittadini.

La questione che si pone ora, dopo la morte di Rojas, riguarda ancora una volta la risposta concreta dello Stato e le azioni che verranno attuate per garantire i diritti indigeni.

Bibliografia

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