Il referendum sulla delegittimazione delle autorità giurisdizionali federali nella Repubblica serba di Bosnia e le crescenti preoccupazioni della comunità internazionale

di Laura Alessandra Nocera

 

Despite condemnation from the EU Council and the international community, a potentially divisive referendum will take place in Bosnia on 15th November. This might undermine the authority of the international institutions in this former Yugoslavia Republic.

Crescente è la preoccupazione della comunità internazionale per il prossimo 15 novembre, data fissata per lo svolgimento di un referendum in Bosnia-Erzegovina che potrebbe minare la stabilità dello Stato.

Il presidente della Repubblica Srpska (da ora in avanti denominata RS), l’entità serbo-bosniaca, Milorad Dodik, ha proposto ed ottenuto, a luglio, il consenso dell’assemblea legislativa [ben 41 i voti favorevoli contro i 35 contrari] su un referendum popolare che, di fatto, mira a delegittimare le istituzioni statali alle quali l’entità deve rendere conto.

Si tratta, nello specifico, del criticato sistema giudiziario dello stato bosniaco, che l’entità serbo-bosniaca è tenuta a rispettare, e del ruolo dell’Alto Rappresentante internazionale. Il quesito refendario invita chiaramente i cittadini della RS ad esprimersi sulle “leggi incostituzionali e non autorizzate imposte dall’Alto Rappresentante e dalla comunità internazionale, specialmente sulle leggi imposte sulla Corte statale e il Procuratore della Bosnia-Erzegovina“.

Quesito non tanto neutrale, la cui parzialità è stata sottolineata maggiormente dalle parole del presidente Dodik sulla volontà di scegliere tra la preservazione della costituzione e dei diritti internazionali [della RS] e la strada della “degradazione” (parola usata dal presidente serbo-bosniaco) dei propri diritti.

Unanime è il dissenso internazionale per una situazione che rischia di essere completamente compromessa a scapito di una pace ancora traballante. Il voto referendario, infatti, è palesemente viziato da incostituzionalità, visto che mette in discussione, senza averne la competenza, l’autorità della Corte statale e del Procuratore, leggi approvate da tutto il Parlamento bosniaco e la cui compatibilità con gli accordi di pace di Dayton è stata confermata dalla Corte Costituzionale federale.

Allo stesso tempo, l’iniziativa referendaria, qualsiasi sia il suo voto finale, esprime una chiara minaccia nei confronti della stabilità e della pace nello stato bosniaco. La critica della figura dell’Alto Rappresentante internazionale, imposto dagli accordi di pace di Dayton [1995], è una messa in discussione di tutto il sistema che Dayton aveva creato. Forti sono in proposito le preoccupazioni espresse dall’Alto Rappresentante Valentin Inzko, che ha parlato di un segno di “irresponsabilità” da parte della RS. Secondo Inzko, comunque, qualsiasi modifica del sistema giudiziario e processuale bosniaco deve necessariamente passare da un’approvazione del Parlamento.

A questo si aggiunge la condanna da parte dei Ministri degli Esteri dell’UE, che hanno sottolineato come ciò possa frenare il processo di integrazione della Bosnia nel sistema europeo [integrazione cui la Bosnia si è impegnata lo scorso febbraio con accordo scritto].  Una forte critica è pervenuta anche dal Peace Implementation Council, l’assemblea di stati ed organizzazioni internazionali incaricata di vegliare sul processo di pace nei Balcani, che ha fatto appello perché la situazione possa essere risolta prima del voto referendario, ricorrendo alle vie legali.

La tensione aumenta, poi, nei rapporti tra la popolazione dei serbi di Bosnia, etnia dominante della RS, e la popolazione bosgnacca (bosniaci musulmani), minacciando un ritorno della violenza e preoccupando, al tempo stesso, sia i partiti bosgnacchi che il partito di opposizione a Dodik, a prevalenza serbo-bosniaca.

Gli accordi di pace di Dayton, che hanno posto fine al conflitto jugoslavo degli anni 1992-1995 e alla sanguinosa “pulizia etnica”, hanno imposto una stabilità, che ha resistito, seppur nella precarietà, ben venti anni. Il territorio bosniaco è stato diviso amministrativamente in due entità separate, ognuna delle quali provvista di proprie istituzioni (presidente, governo, parlamento, ma anche organi di controllo e polizia) e leggi: la Federazione della Bosnia-Erzegovina, popolata da una maggioranza bosgnacca e da una popolazione residuale croato-bosniaca, e la Repubblica Srpska, a prevalenza serbo-bosniaca. In aggiunta, è stato istituito il distretto autonomo di Brcko, unità amministrativa a sé, gestita congiuntamente da autorità serbe, croate e bosgnacche come area neutrale. Le due entità sono unite da un governo bosniaco centrale, la cui presidenza spetta a rotazione ed il cui mantenimento è basato su un sistema complesso di burocrazia perennemente in equilibrio precario e molto costoso (oggi anche fonte principale della corruzione dilagante nel Paese).

Gli accordi di Dayton hanno istituito anche la figura dell’Alto Rappresentante internazionale come massima autorità dello Stato, il cui compito fondamentale è tuttora quello di sorvegliare il processo di pace e stabilizzazione del Paese, in conformità con gli accordi di Dayton e al fine di ricostituire l’unità bosniaca senza divisioni etniche. Compito a cui assolve richiamando, se è il caso, le entità ai loro obblighi e grazie all’intervento della giustizia nello svolgimento dei processi per crimini di guerra.

Nella realtà, però, quest’insofferenza, che ha portato alla recente proposta referendaria, non rappresenta una novità del tutto imprevedibile.

Infatti, da quando è stato eletto per la prima volta alla presidenza dell’entità [nel 2006], Dodik ha spesso minacciato ipotesi referendarie (su proposte di autonomia o, addirittura, su una secessione della RS dalla Federazione bosniaca). Nel 2011, poi, era già stata formulata a livello legislativo una iniziativa simile contro le istituzioni giudiziarie statali e la supervisione internazionale, minaccia scongiurata dall’intervento europeo [si tratta del cosiddetto “dialogo strutturato sulla giustizia“, ancora oggi in piena attività e a cui partecipano rappresentanti bosniaci di ogni livello, rappresentanti dell’UE, ma anche delegati delle associazioni professionali di magistrati ed avvocati e membri delle ONG cooperanti con il procedimento di stabilità balcanico].

La situazione si è aggravata oggi, portando ad una ferma volontà referendaria per la crescente tensione presente all’interno del Paese. Prime cause scatenanti, anzitutto, sono state la crisi economica di cui tutta la Bosnia soffre (il suo tasso di disoccupazione è uno dei più elevati di tutta l’Europa) e l’alto livello di corruzione di cui la complessa burocrazia bosniaca è impregnata. Causa remota dell’insofferenza nei confronti delle istituzioni statali bosniache, però, è un sistema giudiziario di fatto “politicizzato” che si è rivolto spesso contro l’entità serbo-croata, influenzato da un’unica voce politica dominante [lo SDA, il Partito d’Azione Democratica bosniaca].

Il fattore scatenante, fornitore del perno per il quesito referendario di Dodik, è stato il 10 giugno del presente anno l’arresto, in Svizzera, di Naser Oric, comandante dell’esercito bosniaco e capo della difesa dell’enclave di Srebrenica nella guerra dell’ex Yugoslavia del 1992-1995. Oric, considerato criminale di guerra per i fatti compiuti durante il conflitto balcanico, è stato recentemente assolto presso il Tribunale dell’Aja. Esistono, tuttavia, contro di lui ancora capi d’imputazione per fatti commessi contro l’entità serba, per i quali era stato spiccato già da tempo un mandato di cattura internazionale da parte della Serbia. Arrestato dalle autorità svizzere, Oric è stato estradato in Bosnia (e non in Serbia, ove era accusato), per primazia territoriale in riferimento ai fatti oggetto del capo d’imputazione, dove è stato quasi subito rilasciato. Ciò non ha fatto altro che aumentare il perenne stato d’insoddisfazione nei confonti delle autorità bosniache già presente nell’entità serbo-bosniaca, e che oggi rischia di portare ad un clima di tensione maggiore.

La soluzione referendaria è sicuramente una mossa politica da parte di Dodik per le elezioni dell’anno prossimo nella RS, ma fa leva anche su una critica unanime ad un sistema processuale farraginoso e spesso parziale, che non fa altro che aumentare i malumori e le divergenze tra le differenti entità.

Mladen Ivanic, membro serbo-bosniaco alla Presidenza e da sempre oppositore di Dodik, ritiene che sicuramente la popolazione della RS ha il diritto di esprimersi liberamente tramite referendum, ma che, tuttavia, non è questa la “soluzione più felice” ai problemi reali della giustizia nello stato bosniaco e del multi-livello amministrativo, andando, anzi, a compromettere tutto quel procedimento di costruzione democratica scevro da divisioni etniche e religiose che si è stabilito a partire da Dayton, oltre alle riforme per l’integrazione europea dello Stato. È vero che si tratta di un problema che merita di essere sciolto, ma soltanto una forza legislativa comune ne potrebbe venire a capo in modo democratico.

 

 

 

Fonti:

 

www.ictj.org

www.balkaninsight.com

www.bloomberg.com

www.reuters.com

www.bbc.com

www.eastjournal.net

www.balcanicaucaso.org

 

Per il testo integrale degli Accordi di Pace di Dayton (14.12.1995):

www.ohr.int

 

Per il testo integrale della Costituzione della Bosnia-Erzegovina:

www.ccbh.ba

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