IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA RIELETTO TRA EPISODI DI VIOLENZA

THE PRESIDENT OF THE CENTRAL AFRICAN REPUBLIC RE-ELECTED AMONG EPISODES OF VIOLENCE

 

di Paola Beretta[1]

Photo credits to:   www.kremlin.ru

Faustin-Archange Touadera, dello United Hearts Movement, è stato rieletto per un secondo mandato alla presidenza della Repubblica Centrafricana, avendo ottenuto (stando ai primi risultati) la maggioranza assoluta alla prima votazione tenutasi il 27 dicembre 2020, e attende ora di essere confermato dalla Corte Costituzionale. Le elezioni si sono svolte in un clima di tensione e violenza che, nonostante la presenza di peacekeepers internazionali, ha impedito il regolare svolgimento del processo elettorale in alcune zone del paese. È stato infatti impossibile aprire alcuni dei seggi elettorali a causa delle condizioni di elevata insicurezza, soprattutto nelle aree più remote: in particolare, la commissione elettorale ha rivelato che 800 dei 5408 seggi elettorali non sono stati aperti, fatto questo che ha spinto la Democratic Opposition Coalition a protestare, invocando l’annullamento delle elezioni.

L’elezione di Touadera per il primo mandato, nel 2016, aveva rappresentato l’esito delle prime elezioni libere nel paese e aveva messo fine a due anni di governo provvisorio, instauratosi dopo che il precedente leader scelto dalle milizie era stato destituito in seguito agli episodi di violenza e saccheggio commessi dalle milizie stesse e dalle conseguenti pressioni internazionali. Nonostante sia stato criticato per non esser riuscito a sradicare la corruzione né ad aver messo fine alle lotte intestine, Touadera, anche per una certa credibilità politica guadagnata come primo ministro del governo Bozizé tra il 2008 e il 2013 e un mandato presidenziale precedente relativamente pacifico, è risultato l’unico candidato capace di raccogliere un considerevole consenso tra la popolazione, non essendo stata ammessa la candidatura del suo principale rivale, l’ex Presidente Bozizé. I suoi avversari hanno infatti ottenuto rispettivamente il 21,1% (Anicet-Georges Dologuele) e il 7,4% (Martin Ziguele) dei voti. Considerato più un tecnocrate che un politico, Touadera è riuscito a ottenere dei successi durante il primo mandato attraverso politiche sociali finanziate dalla comunità internazionale.

La Repubblica Centrafricana si presenta frammentata, con lo scontro tra i Séléka (milizie composte da musulmani del nord del paese) e gli anti-Balaka (milizia composta dai cristiani del sud) che perdura ormai da diversi anni. La frattura tra musulmani e cristiani pare essere in realtà più una conseguenza che una causa del conflitto, dovuta all’auto-identificazione dei Séléka come musulmani, mentre i conflitti sembrerebbero dovuti a ragioni economiche e politiche risalenti, con il nord del paese non soggetto ad effettivo controllo governativo e politicamente marginalizzato. Nonostante il paese si trovi in una condizione di instabilità sin dall’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia, dal 2013 la situazione è andata peggiorando: nel 2013 infatti, i Séléka hanno preso il potere destituendo l’allora Presidente Bozizé (salito al potere nel 2003 in seguito ad un colpo di Stato) e hanno assunto il controllo della capitale Bangui. È in risposta a questi avvenimenti e alle violenze che ne sono seguite per mano dei Séléka che si sono formate le milizie c.d. anti-Balaka, che vedono nei Séléka degli invasori stranieri proprio a causa del loro identificarsi come musulmani, fatto che li ha portati a reclutare combattenti stranieri, soprattutto dal Ciad e dal Sudan. È importante sottolineare che la divisione musulmani-cristiani nasconde in realtà l’opportunismo politico dei diversi gruppi armati, difatti i vari tentativi di disarmare le milizie che si sono susseguiti hanno in realtà portato ad una frammentazione delle stesse, secondo divergenze politiche ed economiche, rendendo i negoziati ancora più complessi. I Séléka raccolgono infatti gruppi economicamente e politicamente marginalizzati dal governo di Bangui, portatori di istanze diverse. Ciononostante, sembra che un ruolo importante nella destituzione di Bozizé sia stato ricoperto dai commercianti di diamanti del nord, giacché Bozizé aveva cercato di centralizzare il controllo dell’estrazione e del commercio dei diamanti.

Nel febbraio 2019 ben quattordici diversi gruppi armati si sono riuniti per firmare un accordo di pace con il governo. Tali gruppi tutt’ora controllano più del 70% del territorio ed hanno approfittato dell’appuntamento elettorale per cercare di ampliarsi. L’accordo, raggiunto sotto la presidenza di Touadera, prevedeva la condivisione del potere tra l’amministrazione esistente e i gruppi armati. Come prevedibile, l’accordo ha prodotto un equilibrio estremamente precario, soggetto alla volontà mutevole e ai ricatti delle milizie che in ogni momento possono ricominciare ad usare violenza nel paese, forti della loro posizione.

Le più recenti tensioni sono poi state alimentate dal rientro sul territorio nazionale, a fine 2019, dell’ex Presidente Bozizé il quale, nonostante il respingimento della sua candidatura alle elezioni da parte della Corte Costituzionale, continua a ricevere supporto dall’esercito (nel quale è stato generale) e da parte del gruppo etnico Gbaya, cui appartiene. Bozizé si trovava in esilio da sei anni e su di lui pende un mandato di arresto internazionale per crimini contro l’umanità e incitamento al genocidio, oltre ad essere destinatario di sanzioni stabilite dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Bozizé e il Presidente Touadera si sono quindi scambiati una serie di accuse riguardanti presunte interferenze nel processo elettorale e incitamento delle milizie. Secondo Touadera poi, Bozizé sarebbe responsabile di aver architettato un tentativo di colpo di Stato in dicembre, nonché di fornire supporto ai ribelli anti-Balaka, i quali hanno attaccato, nei primi di gennaio 2021, la città natia di Touadera e la città mineraria di Bangassou, nel sud del paese.

Nei giorni precedenti le elezioni la situazione è andata quindi peggiorando, con il verificarsi di diversi attacchi da parte delle milizie che hanno causato un centinaio di feriti e alcuni morti, tra i quali un membro della ong Medici Senza Frontiere, impegnata a fornire assistenza alla popolazione locale. Anche i peacekeepers della missione delle Nazioni Unite MINUSCA sono stati attaccati, riportando tre morti e due feriti. Gli obiettivi principali stabiliti dal mandato per la missione MINUSCA – istituita nel 2014 – sono la protezione dei civili dalla violenza, offrendo anche una protezione specifica per donne e bambini con l’ausilio di personale qualificato in questioni di violenza di genere; il monitoraggio e la documentazione di eventuali violazioni dei diritti umani, la facilitazione della distribuzione di aiuti umanitari, la promozione delle iniziative di mediazione locale e pacificazione nazionale e l’implementazione, con il governo, del programma di disarmo, smobilitazione e reintegro dei combattenti. Altro compito molto importante, espressamente previsto dal suo mandato, riguardava poi proprio il processo elettorale, in quanto i peacekeepers avrebbero dovuto garantire, per quanto possibile, un adeguato livello di sicurezza e il supporto logistico necessario durante lo svolgimento delle elezioni.

Nonostante la prolungata presenza, il paese è ancora considerato il più pericoloso per gli operatori umanitari. Oltre cinquantacinquemila persone sono IDP – internally displaced persons – costrette ad abbandonare le proprie case, dato che gli attacchi nei confronti del personale umanitario presente sul territorio impediscono alla popolazione di ricevere gli aiuti necessari, soprattutto a livello sanitario e alimentare. Nonostante la firma degli accordi di pace del 2019 si sono registrate crescenti violazioni dei diritti umani e le stime per il 2021 prevedono che il 57% della popolazione necessiterà di protezione e assistenza umanitaria. Si punta ora ad un nuovo accordo tra i gruppi armati e il governo, accompagnato da una seria implementazione del programma di disarmo, smobilitazione e reintegro dei combattenti per stabilizzare la situazione, necessaria per una più efficace distribuzione degli aiuti umanitari, ma le condizioni del passato non sono mutate: il governo resta suscettibile di ricatto da parte delle milizie e al mutare dei loro interessi, e il programma di disarmo potrebbe rivelarsi inefficace non meno dei tentativi precedenti. Forse il coinvolgimento delle comunità locali potrebbe in qualche modo mutare gli squilibri, scardinandone le percezioni: nelle zone più interessate dagli scontri infatti, la popolazione tende ad identificare nei Séléka i protettori dei musulmani, e negli anti-Balaka i difensori dei cristiani, quando in realtà le milizie sono più che altro mosse da interessi politici e da motivazioni economiche che non necessariamente rispecchiano gli interessi reali delle comunità.

 

FONTI

[1] Laureata magistrale in Governance dell’emergenza presso l’Università degli Studi di Verona.

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