IL FIDESZ FUORI DAL PPE

THE FIDESZ OUT OF THE EPP

di Massimo Congiu[1]

   Foto © OSME

Il 3 marzo 2021 il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha annunciato l’uscita del Fidesz dal Partito Popolare Europeo (PPE). Il premier ha forse voluto giocare d’anticipo anche se non si aveva sentore di un’imminente decisione di espulsione dei deputati del FIDESZ da parte del PPE. Probabilmente ambo le parti stavano in una posizione di attesa fermo restando che all’interno del Partito Popolare Europeo convivono diverse anime e posizioni spesso non proprio coincidenti. Il dato di fatto era la sospensione del Fidesz dal marzo del 2019, per incompatibilità di vedute su come stare in Europa. A dire il vero l’esclusione del partito ungherese era stata chiesta più volte per le politiche antidemocratiche e antieuropee del governo ungherese: limitazione della libertà accademica, dell’autonomia del potere giudiziario e della libertà di stampa come dimostrano diversi episodi, il più recente dei quali riguardante il caso di Klubrádió. In tali circostanze il Fidesz aveva potuto contare sull’appoggio di Forza Italia, dei Républicains francesi e degli spagnoli del PP, cosa apprezzata pubblicamente da Orbán.

In questi due anni il premier ungherese è tornato più volte sull’argomento ipotizzando, di tanto in tanto, l’uscita volontaria del Fidesz dal PPE per trovare una collocazione a esso più consona nel parlamento europeo dal momento che, a suo giudizio, i Popolari Europei sono diventati liberali e hanno messo da parte la difesa dei valori cristiani. Valori che, secondo la retorica del governo di Budapest sono ciò su cui si fonda l’identità europea.

Alla fine dell’anno scorso, poi, Orbán ha di nuovo evocato la fine dei rapporti col PPE: la cosa è avvenuta nel periodo in cui i governi ungherese e polacco avevano posto il veto al bilancio UE contenente il Recovery Fund, e osservatori ungheresi pensavano a un possibile provvedimento di espulsione da parte del PPE. In quella circostanza l’”uomo forte d’Ungheria” aveva probabilmente voluto giocare d’anticipo e mostrare di avere l’iniziativa. Del resto, anche nel marzo del 2019 Orbán aveva presentato nel suo paese la sospensione come una decisione ”tutta arancione” (il colore del Fidesz).

Per due anni, quindi, le cose sono andate avanti così, tra una schermaglia e l’altra, fino ad arrivare all’annuncio dell’uscita spontanea; lo spunto è stato fornito dal cambiamento di regole nel PPE. Regole che danno modo al Partito di escludere un’intera delegazione e non solo più singoli eurodeputati. Orbán ha definito la riforma “antidemocratica, ingiusta, inaccettabile” in quanto “cerca di ridurre al silenzio i nostri eurodeputati democraticamente eletti”.

Sono stati gli italiani, i francesi, i croati e gli sloveni ad aver tentato di bloccare questa modifica, piuttosto incerta la CDU che però ha votato a favore della riforma. Antonio Tajani ha, dal canto suo, espresso dispiacere per l’uscita del Fidesz dal PPE, cosa che, a suo avviso, indebolisce lo schieramento popolare europeo.

Eppure la maggioranza del PPE avrebbe espresso sollievo all’annuncio del premier danubiano di ritirare i dodici membri del suo partito. Chi può cantare vittoria, a questo punto? In fondo si tratta pur sempre di un distacco dovuto ad un “corto circuito di valori”. D’altra parte lo stesso leader del gruppo, Manfred Weber, aveva parlato della necessità di prendere provvedimenti, difficili ma dovuti, per i suoi continui attacchi del Fidesz ai riferimenti valoriali del PPE che probabilmente non ha finito di tribolare, date le posizioni dei popolari austriaci di Kurz e del partito dello sloveno Janša.

Ora, però, cosa faranno gli “arancioni” ungheresi? Si sa di contatti con il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) che vede al suo interno Fratelli d’Italia e i polacchi del PiS (ma si pensa anche al gruppo Identità e Democrazia dove trova posto la Lega di Salvini). Bisogna vedere se i primi due soggetti accetteranno di dividere la loro influenza col Fidesz che cerca uno spazio d’influenza sempre maggiore nel campo conservatore europeo. Nel frattempo Orbán studia le mosse da fare soddisfatto, probabilmente, di aver dimostrato – a suo avviso – in Ungheria e nel resto dell’UE, che non lo si può mettere in un angolo.

 

FONTI


[1] Giornalista e studioso di geopolitica dell’Europa centro-orientale, curatore dell’OSME (Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, www.osmepress.wordpress.com, sito in via di rifacimento)

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