BOLIVIA: LA PROMESSA DI LUIS ARCE E L’ARRESTO DI JEANINE AÑEZ

di Marzia Rosti*

Il 13 marzo scorso Jeanine Añez, Presidente ad interim del Estado Plurinacional de Bolivia dal 13 novembre 2019 all’8 novembre 2020, è stata arrestata con l’accusa di ‘terrorismo, cospirazione e sedizione’ per il ruolo svolto negli eventi che il 10 novembre 2019 portarono il presidente Evo Morales a dimettersi su pressione dall’esercito, dopo presunte irregolarità nelle elezioni del 20 ottobre 2019, alle quali Morales si era candidato per ottenere un quarto mandato. In quei giorni, in seguito alle dimissioni delle principali cariche istituzionali del paese, Añez, in quanto vicepresidente del Senato, fu individuata come la persona che sarebbe dovuta diventare presidente ad interim per guidare la Bolivia verso nuove elezioni. Esponente del partito d’opposizione Unidad Demócrata, Añez si autoproclamò presidente, benché in parlamento mancasse il quorum necessario a causa del boicottaggio dei parlamentari del partito di Morales, il Movimiento al Socialismo (MAS), e si gridò quindi ‘al golpe’. Il breve governo di centro-destra di Añez si è distinto, sul fronte interno, per l’accusa a Morales di ‘terrorismo’ per aver incitato contro il denunciato colpo di Stato proteste e manifestazioni, poi represse da polizia ed esercito con decine di morti e di feriti (si ricordano i fatti di Senkata e Sacaba, ove perirono almeno 36 persone negli scontri con le Forze armate). Inoltre, per l’avvio di alcune privatizzazioni di settori strategici nazionalizzati nei quattordici anni di governo di Morales e, infine, per le difficoltà e gli episodi di corruzione nella gestione dell’emergenza sanitaria per la pandemia da Covid-19. Sul fronte internazionale, sin dall’inizio La Paz ha ripreso le relazioni con gli Stati Uniti, rompendole invece con Cuba e il Venezuela. Il mandato di Añez si è concluso l’8 novembre scorso con il passaggio dei poteri a Luis Arce, vincitore delle elezioni presidenziali svoltesi il 18 ottobre 2020, esponente del MAS ed ex ministro dell’economia, mentre Evo Morales – dopo quasi un anno trascorso in Argentina con lo status di rifugiato – è rientrato in patria.

L’arresto di Añez si inserisce in una più ampia operazione della Magistratura boliviana, della quale è lecito dubitare dell’indipendenza dal potere politico, e che ha visto spiccare mandati d’arresto per quattro militari e per alcuni suoi ex ministri[1], cui si è aggiunta l’accusa a Luis Almagro, Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) incaricata di vigilare sulla regolarità del processo elettorale nel 2019, poiché avrebbe istigato il colpo di Stato di Añez col presentare un rapporto preliminare che segnalava irregolarità nelle elezioni e che avrebbe alimentato tensioni politiche e sociali sfociate proprio in quella crisi politica che portò alle dimissioni di Evo Morales.

La notizia dell’arresto di Añez ha suscitato proteste in alcune città del paese (La Paz, Cochabamba, Sucre, Santa Cruz e Trinidad) riproponendo l’immagine di un paese polarizzato, mentre una parte della comunità internazionale ha richiamato il governo al rispetto delle garanzie per un giusto processo e alla trasparenza dei procedimenti giudiziari (ad esempio, le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’Organizzazione degli Stati Americani e la Commissione Interamericana dei diritti umani), cui si è aggiunto monsignor Ricardo Centellas, arcivescovo di Sucre e presidente della Conferenza episcopale boliviana. È stato infatti rilevato come le accuse di ‘sedizione, terrorismo e cospirazione’ siano troppo generiche e che aprano vie per giudizi arbitrari, mentre sarebbe stato più opportuno indicare delitti puntuali e ben definiti.

L’attuale governo di Arce nega di volersi prendere delle rivincite, anche se ritiene doveroso condannare ‘gli autori del golpe’ del novembre 2019, mentre ha subito annullato le accuse di terrorismo a Morales.

Nel frattempo la Añez, attualmente nel Centro Penitenciario Femenino de Miraflores, ha iniziato uno sciopero della fame, dopo aver ricevuto la notizia che la sua detenzione preventiva è stata prorogata da 4 a 6 mesi.

Pare forse difficile che si possa realizzare in tempi brevi la promessa di Luis Arce formulata poco più di quattro mesi fa, quando assunse l’incarico di Presidente del Estado Plurinacional de Bolivia, ovvero che il suo governo sarebbe stato “un gobierno […] para todas y para todos sin discriminación de alguna naturaleza […] [que] buscará en todo momento reconstruir nuestra patria en unidad para vivir en paz” e ancora che “A pesar de las diferencias estamos en la obligación de estar a la altura del pueblo, que nos demanda unidad, paz y certidumbre. Unidad y complementariedad entre oriente y occidente, entre el campo y la ciudad. Todos somos Bolivia, debemos poner fin al miedo en Bolivia. Creo en la justicia, no en fomentar un ambiente de resentimiento y de venganza, que no respete la diversidad de pensamiento, en donde ser de otro partido o color político te hace ser objeto de odio” (La Razón, 8 novembre 2020).

FONTI

[1] Sono stati arrestati l’ex ministro della Giustizia Alvaro Coimbra e l’ex ministro dell’Energia Rodrigo Guzmán; gli ex ministri Arturo Murillo e Fernando López avevano già lasciato il paese lo scorso novembre, dopo il ritorno del MAS al governo.

* Professore Associato di Storia e Istituzioni delle Americhe presso l’Università degli Studi di Milano.

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