A political crisis in the Czech Republic?

di A. Di Gregorio and L. A. Nocera

After the Prime Minister Sobotka required the dismissal of the Finance Minister Babiš under suspicion of large-scale tax evasions at the beginning of May, political tensions has become very serious following the Head of State’s hesitation to dismiss Babiš. A new agreement among political parties have solved the critical situation after three weeks of political and constitutional speculations.

Con la nomina, il 24 maggio pomeriggio, del nuovo Ministro delle Finanze Ivan Pilný da parte del Presidente della Repubblica, si risolve, ancora un volta in nome della volontà dei partiti, la breve crisi politica iniziata ai primi di maggio nella Repubblica ceca. Come più volte in passato, questioni legate a scandali e alla commistione tra economia e politica, uniti alla difficile tenuta di Governi di coalizione tra partiti molto eterogenei, hanno prodotto instabilità, rischio di scioglimento anticipato della Camera dei deputati e l’ambiguo coinvolgimento del Presidente della Repubblica nella formazione o nel disfacimento degli esecutivi. Infatti, anche in questa ultima circostanza, sono venute alla ribalta questioni di alto profilo costituzionale, in relazione soprattutto ai poteri ed al peso politico del capo dello Stato.

Va immediatamente ribadito che la discussione sull’estensione dei poteri presidenziali non è cambiata molto col passaggio all’elezione diretta del capo dello Stato in quanto, con la revisione costituzionale che ha introdotto la legittimazione diretta del Presidente, non ne sono mutati i poteri costituzionali. Infatti, fin dai tempi di Havel, il primo Presidente della Repubblica ceca e l’ultimo della Cecoslovacchia, il capo dello Stato ha sempre cercato di ampliare il proprio ruolo a causa delle patologie di una forma di governo parlamentare scarsamente razionalizzata. Tutti e tre i Presidenti (Havel, Klaus e Zeman, solo quest’ultimo eletto direttamente dal popolo) hanno cercato di influenzare la formazione dei Governi a scapito dei primi ministri e degli accordi tra i partiti della coalizione. Tuttavia sia la prassi costituzionale che la Corte costituzionale hanno consolidato nel tempo una lettura parlamentaristica che discende dalle tradizioni della prima Repubblica cecoslovacca. Anche nell’ultima crisi qui presa in considerazione non si smentisce tale lettura, nonostante le illazioni giornalistiche circa la possibile deviazione verso un semi-presidenzialismo sostanziale.

Venendo alle vicende del maggio 2017, ricordiamo che l’attuale Governo è un esecutivo di coalizione il cui leader è il social-democratico Svoboda. Le prossime elezioni di fine legislatura sono state già indette per ottobre.

Dopo gli scandali che hanno coinvolto il Ministro delle Finanze ed ex tycoon delle comunicazioni e delle aziende farmaceutiche, Andrej Babiš, relativamente a sospette frodi e a una maxi evasione fiscale, il premier ha chiesto al Presidente della Repubblica Zeman agli inizi di maggio di destituire il Ministro delle Finanze, minacciando le proprie dimissioni, e di conseguenza quelle dell’intero Governo, ben prima del termine previsto per le elezioni parlamentari. Zeman ha temporeggiato dicendo che aveva dubbi sia in merito ai motivi della destituzione che circa l’obbligo costituzionale del Presidente di accettare le dimissioni e destituire formalmente il ministro. A tale proposito la prassi costituzionale è andata sempre in tale direzione. Nel 2011 vi è stato un precedente parzialmente contrario – percepito però come eccezione – in cui il Presidente Klaus aveva rifiutato di destituire tre ministri come da richiesta del premier e questo aveva comportato le dimissioni dell’intero Governo e l’indizione di elezioni anticipate. Zeman iteneva che ci fosse una violazione del patto di coalizione tra i tre partiti di governo ed inoltre ventilava la possibilità di destituire il solo premier lasciando al loro posto tutti gli altri ministri (compreso Babiš).

Per quanto riguarda il quadro costituzionale, gli articoli di riferimento sono l’art.62, in merito alle attribuzioni del Presidente della Repubblica, e gli artt.74 e 75 relativamente alle dimissioni di singoli ministri e del Governo. In particolare, l’art.74 prevede chiaramente che il Presidente della Repubblica è chiamato a destituire un membro del Governo su proposta del premier. In questa direzione è andata sempre la prassi costituzionale, interpretando l’art.74 non come mera facoltà, ma come un obbligo costituzionale del Presidente della Repubblica.

In riferimento al dubbio di costituzionalità sollevato dal Presidente, il premier Sobotka ha incontrato i costituzionalisti per prendere in esame la possibilità di sollevare conflitto di competenze dinanzi alla Corte costituzionale, mentre un gruppo di senatori ha preso in considerazione la possibilità di impeachment del Presidente per violazione della Costituzione.

I rapporti tra i partiti della maggioranza governativa, in realtà, sono stati tesi fin dall’inizio della legislatura. Si tratta, infatti, di una coalizione eterogenea, composta dal Partito social-democratico (ČSSD), da quello cristiano-democratico (KDU-ČSL) e dall’Unione dei cittadini insoddisfatti (ANO), partito a vocazione populista privo di una vera collocazione ideologica, guidato e fondato dal noto imprenditore Andrej Babiš, che alle elezioni del 2013 aveva ottenuto il 20% dei consensi. Il contrasto tra la componente socialista e cristiano-democratica fedele al premier, e la componente populista, animata dal vice premier e Ministro delle finanze Babiš, è sempre stato palese, sebbene sia stato mantenuto un certo equilibrio per diverso tempo nella difficile situazione politica del paese. Uno scontro tra Sobotka e Babiš era già avvenuto in occasione della presentazione del disegno di legge sull’aumento della corporate tax, progetto osteggiato proprio dal Ministro delle Finanze, e sulle quote di migranti da ammettere in territorio ceco (il Ministro della Difesa Martin Stropnický è esponente di ANO). La tensione era aumentata negli ultimi mesi, dopo alcune manifestazioni di piazza di gruppi di estrema destra e le esternazioni faziose del Presidente della Repubblica Zeman (sostenitore di Babiš), fortemente criticate dalla quasi totalità dei partiti politici cechi.

Ad aprile 2017, erano venute alla luce notizie su un’indagine dell’autorità giudiziaria circa il possibile coinvolgimento di Babiš in reati di frode fiscale, notizie che avevano portato a un nuovo confronto tra i partiti della maggioranza governativa fino al limite della crisi di governo.

Come detto sopra, dopo la richiesta di dimissioni del Ministro delle Finanze il Presidente della Repubblica ha temporeggiato, rimandando la decisione al ritorno dal suo viaggio di Stato in Cina e, quindi, dopo ben due settimane. Tale comportamento è stato criticato dalla stampa e dai costituzionalisti e politologi intervistati. Anche se la Costituzione non parla di tempi entro cui procedere alla destituzione tuttavia la prassi vede una soluzione rapida della crisi. Il 4 maggio, inoltre, lo stesso Zeman si è reso protagonista di un incidente diplomatico con il Primo Ministro che ha aumentato il clima di polemiche intorno alla sua indecisione. Quando il premier Sobotka si è recato al Castello di Praga, sede della Presidenza della Repubblica, con l’intenzione di consultare il Presidente sulla delicata questione delle dimissioni di Babiš, Zeman, probabilmente male informato sulle intenzioni dello stesso premier, ha preparato il cerimoniale previsto per le dimissioni, con convocazione di una conferenza stampa apposita, generando, davanti alla stampa, una scena dai toni paradossali e creando maggiore attrito con il Primo Ministro.

Nelle settimane successive (durante il viaggio in Cina del Presidente Zeman), i partiti della coalizione sono riusciti a risolvere la crisi con un nuovo accordo che prevede la sostituzione di Babiš con Pilný, anch’egli esponente di ANO, mentre una prima proposta di nomina del viceministro delle Finanze Alena Schillerova era stata rifiutata da Sobotka a causa della possibilità di un suo coinvolgimento negli scandali finanziari di Babiš. Al ritorno dalla Cina, il Presidente Zeman ha dovuto prendere atto del nuovo accordo tra i partiti della maggioranza governativa, mentre Babiš è stato costretto alle dimissioni, senza che venisse più sollevato alcun dubbio di costituzionalità sui compiti presidenziali nei rapporti con l’esecutivo. Il 24 maggio, data della destituzione di Babiš, della nomina del nuovo Ministero delle finanze e di un nuovo vice premier, la Camera dei Deputati ha nominato una commissione con poteri d’indagine sulla fuga di notizie dai fascicoli giudiziari.

Nella contingenza odierna, la Repubblica ceca ha dimostrato di riuscire a superare una grave crisi all’interno dell’esecutivo, nonché l’ennesimo episodio di protagonismo del capo dello Stato, con la forte affermazione del ruolo dei partiti, vero cardine della forma di governo parlamentare. Di fatto, la felice soluzione della crisi ha delimitato fortemente il ruolo del Presidente della Repubblica, a cui la Costituzione ceca attribuisce funzioni non politicamente attive, a dispetto della volontà di Zeman di forzare la lettura costituzionale e interferire nell’esecutivo, nel tentativo di creare una forte figura presidenziale in vista di una sua ricandidatura alle elezioni presidenziali di gennaio 2018. Il ruolo dell’esecutivo e dei partiti, invece, ne risulta rafforzato, mentre appare vincitore il premier Sobotka che, in vista delle elezioni generali di ottobre 2017, ha annunciato una campagna elettorale improntata sull’esigenza di legalità e moralità in politica, di contro all’atteggiamento spregiudicato di Babiš. Tuttavia, gli scandali per frode finanziaria non sembrano avere intaccato del tutto la figura di Babiš, il quale gode ancora di un certo favore tra la popolazione, anche grazie alla gestione dei media.

Infine, la Repubblica ceca è membro chiave del gruppo di Visegrad, alleanza per la cooperazione e l’integrazione in campo economico, politico, culturale ed educativo, sorta nel 1991 tra Ungheria, Polonia e l’allora Cecoslovacchia allo scopo di consolidare l’uscita dal modello socialista e l’ingresso nell’Unione europea. Un cambiamento radicale nella politica ceca avrebbe rischiato di spostare notevolmente il baricentro del gruppo verso un populismo nazionalista, con conseguenze dannose per la cooperazione europea.

 

Fonti:

A.Di Gregorio, Repubblica ceca, il Mulino, Bologna, 2008

A.Di Gregorio, I tormenti della forma di governo ceca tra profili europei e rimescolamenti interni, in federalismi.it, n. 6, 24 marzo 2010

A.Di Gregorio, Repubblica ceca: sui tentativi di protagonismo del capo dello Stato prevale la volontà dei partiti, in Quaderni costituzionali, n. 4, 2013

www.idnes.cz

www.ceskenoviny.cz

www.lidovky.cz

www.novinky.cz

www.vlada.cz

www.hrad.cz

www.visegradgroup.eu

www.bbc.co.uk

www.economist.com

www.politicalcritique.org

www.reuters.com

www.wsws.org

 

 

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