A dual-factor analysis of Israel’s Government crisis

La crisi di governo israeliana: una breve analisi a due fattori.

di Deborah S. Iannotti

Il 26 Dicembre 2017 la Knesset ha votato per la fine anticipata della legislatura: i segretari dei cinque partiti della coalizione di governo, di concerto con il primo ministro Netanyahu, hanno presentato in seduta plenaria la mozione per la dissoluzione del Parlamento a tre anni e mezzo dalle ultime elezioni a seguito di una crisi di governo che ha visto due ministri chiave uscire dalla coalizione.

I fattori che hanno scatenato la crisi del quarto governo Netanyahu sono molteplici ma possono essere riassunti in due rilevanti questioni: sicurezza nazionale e riforma del sistema di coscrizione militare.

Il costante accento sulla necessitá di rafforzare la sicurezza nazionale è stato il cavallo di battaglia della campagna elettorale che ha portato nel 2015 Netanyahu e la sua coalizione (LikudHaBayit HaYehudiKulanuShasYahadut HaTorah) a vincere le elezioni: la questione di Gaza, il problema delle frontiere a nord con le aree del Libano controllate da Hizbullah e la sicurezza interna del paese, hanno permesso al leader del Likud di vincere le elezioni sebbene ciò sia avvenuto con una maggioranza risicata e potenzialmente instabile. Nel mese di Novembre del 2018 il ministro della difesa Avigdor Liberman, segretario del partito Yisrel Beitenu, ha rassegnato le dimissioni in segno di protesta contro l’accordo sul cessate il fuoco con Hamas. Lieberman, diventato ministro nel 2016 grazie alla sua “linea dura contro Hamas”,  in una intervista televisiva avrebbe affermato che accettare i termini della tregua significherebbe “sottomettersi al terrore”; la decisione che ha portato alle dimissioni sarebbe il risultato di settimane di disaccordo con il leader della coalizione Likud-Beitenu. Conseguentemente alle dimissioni di Lieberman, il partito da lui guidato, Yisrael Beitenu, è uscito dalla coalizione, lasciando così il governo con una maggioranza di un solo seggio nella Knesset.

Per quanto riguarda la riforma militare, i primi segni di frattura tra Likud-Beitenu e i partiti religiosi che fanno parte della coalizione risalgono al mese di luglio, quando la Knesset si è trovata a votare il progetto di legge che prevede la coscrizione degli studenti delle yeshivot, le scuole talmudiche frequentate e dirette dal membri della corrente ultra-ortodossa del Giudaismo. La riforma del sistema militare che prevede l’inserimento degli ebrei ultra-ortodossi all’interno del sistema di leva obbligatoria rappresenta per lo Stato israeliano una delle questioni più importanti e centrali all’interno della vita politica del paese; attualmente gli studenti delle scuole ultra-ortodosse godono di speciali esenzioni che derogano al loro reclutamento nell’esercito israeliano. In vista del voto sulla bozza di riforma i partiti ultra-ortodossi hanno paralizzato il processo legislativo affermando che, se la legge fosse passata indenne al terzo scrutinio, i partiti religiosi si sarebbero subito ritirati dalla coalizione di governo. Per scongiurare una possibile e repentina crisi di governo, il primo ministro Netanyahu ha proposto la posticipazione della votazione di sette mesi, dilazione che secondo la Corte di Giustizia di Gerusalemme dovrebbe essere sufficiente a riscrivere una nuova legge che preveda l’inserimento degli studenti delle yeshivot nelle fila dell’esercito.

I tre mesi di campagna elettorale che precedono le prossime elezioni, previste per il 19 aprile 2019, rappresentano l’incertezza del sistema politico con il quale gli israeliani dovranno fare i conti: il sistema elettorale israeliano prevede l’utilizzo di un sistema elettorale proporzionale con formula d’Hondt corretta con una soglia di sbarramento al 3,5% , limite che obbliga molti partiti a dover concorrere in coalizione ( la cosiddetta Joint list ticket). Al partito o coalizione che ottiene il maggior numero di voti spetta un premio di maggioranza volto a redistribuire i voti che, a causa dello sbarramento al 3,5%, non condurrebbero all’assegnazione di alcun seggio.

Fonti:

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