La spinosa questione del confine amministrativo tra Cecenia ed Inguscezia si risolve, non senza proteste, dopo ben 26 anni.
di Angela Di Gregorio
Nella sentenza del 6 dicembre 2018 la Corte costituzionale russa è stata chiamata a risolvere una questione piuttosto spinosa, ossia la legittimità dell’accordo sulla fissazione del confine amministrativo finalmente raggiunto (dopo ben 26 anni) tra le Repubbliche (interne) di Inguscetia e Cecenia[1]. Nel periodo sovietico (dal 1934) Cecenia e Inguscezia facevano parte di un’unica “Repubblica socialista sovietica autonoma ceceno-inguscia”. Pur essendo la loro separazione, con la nascita di due Repubbliche distinte di Inguscezia e Cecenia, avvenuta nel 1992[2], il confine amministrativo non era stato mai definito fino al recente accordo del 26 settembre 2018 prontamente ratificato dai parlamenti delle due Repubbliche. L’accordo ha provocato molte tensioni e manifestazioni in Inguscetia, la cui popolazione lo ha ritenuto non vantaggioso per la piccola Repubblica caucasica dal momento che non si sarebbe trattato di un semplice scambio di terre[3] ma del passaggio alla Cecenia di luoghi importanti della tradizione inguscia sul cui sottosuolo sarebbero seppelliti gli antenati della popolazione caucasica. Ma dietro motivazioni di tipo “tradizionale” (molto sentite in tutto il territorio del Caucaso russo che è una polveriera di popoli sempre pronti al conflitto) si celano ragioni di tipo politico ed economico. Nei territori ceduti alla Cecenia vi sarebbero giacimenti petroliferi (ma essendo le risorse naturali di proprietà federale la cosa non dovrebbe costituire un vantaggio per la Cecenia) e soprattutto la popolazione inguscia ha il timore di essere nuovamente costretta alla fusione (in questo un’incorporazione) con la Repubblica cecena, il cui leader Kadyrov è un alleato fedelissimo del Cremlino.
Per quanto riguarda i profili giuridici della questione, anche se la Corte costituzionale ha ridimensionato la controversia sostenendo che si tratta di un accordo puramente formale che non modifica il confine esistente, in realtà la questione sulla carta si prospettava più complessa. La decisione della Corte appare piuttosto superficiale dal punto di vista delle argomentazioni giuridiche oltre che frettolosa, essendo stata resa a tempo di record sull’incalzare delle proteste di piazza.
Sulla legittimità dell’accordo (e della legge regionale di recepimento) si era già pronunciata la Corte costituzionale dell’Inguscetia con decisione del 30 ottobre 2018 (su ricorso di un gruppo di deputati dell’Assemblea popolare della Repubblica) ritenendolo non conforme alla Costituzione della Repubblica per le modalità della sua approvazione, in quanto sarebbe stato necessario un referendum ed inoltre si sarebbe violato il regolamento del parlamento regionale[4].
La Corte costituzionale russa ha pronunciato una decisione piuttosto salomonica. Pur essendo ciò giustificabile alla luce della necessità di porre fine ad una trattativa annosa e conclusasi con enormi difficoltà (la volontà di non pregiudicare il compromesso emerge chiaramente dalle argomentazioni della Corte), tuttavia dal punto di vista del ragionamento giuridico vi sono molti aspetti contraddittori.
La Corte in particolare insiste sulla differenza tra “stabilire” inizialmente il confine tra le due Repubbliche e modificare lo stesso. Qualora si fosse trattato di modifica si sarebbero dovute applicare le disposizioni sia federali che dei soggetti federati (di livello sia costituzionale che legislativo) che prevedono il coinvolgimento del Consiglio della Federazione e della popolazione locale (sia a livello pan regionale, per la modifica del confine tra i due soggetti, che locale, per la modifica dei confini delle formazioni municipali interessate) tramite referendum. Dal momento però che, ad avviso della Corte, nel caso di specie si tratta di definire il confine ab origine, allora le modalità seguite per ratificare l’accordo, ossia tramite semplice ratifica parlamentare con legge, sono legittime dal punto di vista della Costituzione federale. Anche la questione della modifica dell’appartenenza dei municipi (peraltro, pare, non toccata dall’accordo che ha riguardato solo la cessione/scambio di terre agricole) non sarebbe stata coinvolta dall’accordo non richiedendosi alcun referendum, in quanto la configurazione dell’autogoverno locale è “derivata” rispetto a quella della tracciatura del confine che è la questione principale. Si tratta inoltre di una questione di rilievo costituzionale federale e non semplicemente regionale o locale.
Relativamente al contrasto degli atti repubblicani con la Costituzione repubblicana, pur ammettendo di non essere competente a giudicare di tale profilo alla fine la Corte russa si pronuncia egualmente ritenendo la decisione della Corte costituzionale repubblicana non eseguibile sia per i profili di diritto costituzionale federale su citati che per l’inammissibilità del ricorso dei deputati locali in quanto in difetto del numero minimo richiesto.
Tra le affermazioni che suscitano perplessità vi sono quelle che riguardano la violazione del regolamento parlamentare regionale (pronunciate a latere dell’oggetto del ricorso, come detto) che, nel riprendere considerazioni analoghe fatte anche per il procedimento legislativo federale nella precedente giurisprudenza costituzionale, valutano come legittimamente adottati i provvedimenti legislativi quando risultano rispettate «disposizioni procedurali fondamentali» pur in presenza di violazioni ritenute minori dei regolamenti parlamentari (ad esempio la regola sulle tre letture, sul voto segreto, etc.). La cosa importante, ad avviso della Corte, sia per il procedimento legislativo federale che per quello dei soggetti, è che ci sia stato il rispetto della volontà autentica del legislatore (dunque la Corte non ravvisa, nel caso di specie, alcuna violazione della legge federale del 6 ottobre 1999 «Sui principi generali di organizzazione degli organi legislativi ed esecutivi del potere statale dei soggetti della FdR»). Nel caso della legge inguscia si trattava tra l’altro di una legge formale che riportava il contenuto dell’Accordo raggiunto tra i due soggetti (tra gli esecutivi).
L’enfasi della Corte nel distinguere tra le due fattispecie (tracciare il confine per la prima volta e modificare il confine) sembra avere deboli ragioni giuridiche ed è chiaramente rivolta ad evitare di rompere un accordo fragile e contestato sulle piazze. Ma il confine in quei 26 anni era esistito di fatto e dunque l’accordo del 2018 lo modificava cercando in parte anche di rimediare ad antiche appropriazioni territoriali a danno della Cecenia. Non risulta inoltre chiara la procedura da seguire per la tracciatura del confine dal momento che i tempi indicati dalle disposizioni di legge federali sono ampiamente scaduti (ci riferiamo alle leggi del 4 giugno 1992 «Sulla formazione della Repubblica inguscia all’interno della FdR»; del 3 luglio 1992 «Sulla previsione di un periodo transitorio per la delimitazione statale-territoriale nella FdR»; legge del 10 dicembre 1992 «Sull’inserimento di modifiche all’art. 71 della Costituzione- Legge fondamentale – della FdR»). Altra perplessità: la Corte federale sostiene che la Corte costituzionale regionale non poteva esaminare una legge di ratifica di un accordo perché ai sensi della Costituzione regionale quella Corte può esaminare gli accordi solo prima che entrino in vigore mentre esaminando la legge di approvazione finirebbe con il valutare un accordo già entrato in vigore. Ma è la stessa cosa che la stessa Corte federale ha fatto nella sentenza del 2015 in cui ha verificato la costituzionalità della legge di ratifica della Cedu e dunque, di fatto, la Cedu stessa dopo l’entrata in vigore del trattato di adesione. Di fatto la Corte federale ritiene la Corte regionale incompetente e se stessa competente a dirimere la questione[5].
[1] Sulla verifica della costituzionalità della Legge della Repubblica di Inguscetia “Sull’approvazione dell’Accordo sulla fissazione del confine tra la Repubblica di Inguscetia e la Repubblica cecena” e dell’Accordo sulla fissazione del confine tra la Repubblica di Inguscetia e la Repubblica cecena su istanza del Capo della Repubblica di Inguscetia. Il ricorrente chiedeva di confermare la legittimità degli atti impugnati nonostante la dichiarazione di illegittimità della Corte costituzionale inguscia ed inoltre di dichiarare illegittimo il ricorso del gruppo di deputati alla Corte regionale per il venire meno del numero minimo di richiedenti previsto dalla Costituzione regionale (prima dell’esame della questione due deputati avevano ritirato la propria firma venendo meno il numero minimo di almeno un terzo dei componenti del parlamento regionale).
[2] Durante le dueguerre cecene degli anni Novanta l’Inguscezia decise di rimanere all’interno della Russia mentre la Cecenia cercò l’indipendenza. In seguito a questi conflitti post-sovietici, i leader delle due Repubbliche siglarono degli accordi per la definizione dei confini che prevedevano l’attribuzione di quelle aree oggi contese all’Inguscezia. La mancata ratifica di questa convenzione da ambo le parti permise l’instaurarsi di un clima di tensione, proprio per le reciproche rivendicazioni territoriali. Le ultime proteste ingusce fanno seguito a un altro caso storico che ha coinvolto la loro nazione, ovvero la guerra tra Inguscezia e Ossezia del Nord per il controllo di alcuni territori di confine. Il conflitto, che si svolse tra l’ottobre e il novembre del 1992, si scatenò per via delle spinte nazionaliste di uno dei rajon (distretto) osseti a maggioranza inguscia. Anche in questo caso l’Inguscezia dovette rinunciare al riaccorpamento di un suo territorio storico, oltre a vedere la popolazione inguscia locale soggetta a una vera e propria pulizia etnica. Vedi www.ilcaffegeopolitico.org/96483/inguscezia-e-cecenia-la-nuova-polveriera-del-caucaso.
[3] L’accordo stabilisce la riassegnazione di un’area montuosa e disabitata sul confine ceceno-inguscio, con la cessione di parte del distretto ceceno di Nadterečnyj all’Inguscezia e di un’area corrispondente del distretto inguscio di Malgobekskij alla Cecenia (la Cecenia acquisisce circa 26.000 ettari di terreno dandone all’Inguscezia solo 1.000). Nessun villaggio abitato è stato apparentemente toccato dall’accordo: www.eng.kavkaz-uzel.eu/articles/44880.
[4] Secondo tale Corte la legge impugnata, in quanto modifica il confine dei territori delle formazioni municipali della Repubblica di Inguscetia e dunque modifica il territorio della Repubblica senza considerare l’opinione della popolazione, ed inoltre poichè adottata in violazione delle procedure di adozione delle leggi repubblicane, non è conforme alla Costituzione della Repubblica. L’Accordo sul confine, in quanto non approvato con referendum della Repubblica, non produce conseguenze giuridiche nella Repubblica stessa.
[5] Il 7 dicembre il Consiglio dei Teips (clan familiari) del popolo inguscio ha invitato le autorità cecene a stabilire il confine amministrativo tra Cecenia ed Inguscezia con l’aiuto della Corte sciariatica ed il 13 dicembre ha convocato i deputati regionali dinanzi alla Corte sciaraitica per stabilire come ciascuno di essi avesse votato in occasione della ratifica dell’accordo, ritenendosi violata la volontà dell’Islam sulla questione.