The political implications of Asia Bibi’s Case

Le implicazioni politiche della sentenza sul caso Asia Bibi.

Di Matteo D’Avanzo

Il 31 ottobre 2018 la Corte Suprema pakistana ha assolto Asia Bibi dall’accusa di blasfemia, annullando la condanna a morte comminata dall’Alta Corte di Lahore, argomentando che il fatto non sussiste. La sentenza è stata immediatamente strumentalizzata da diversi gruppi politici e movimenti ed è emerso chiaramente nel dibattito pubblico come il caso di Asia Bibi unisca temi più ampi che riguardano la dottrina islamica, la tutela delle minoranze e, soprattutto, la dialettica politica.

Nel 2009 un gruppo di contadine del Punjab, una delle sei province del Pakistan, accusò Asia Naurini Bibi di aver imprecato contro il Profeta e di avere bevuto da un pozzo che era a lei proibito, in quanto cristiana. Nel 2015, dopo che la Corte di Lahore condannò la donna alla pena di morte mediante impiccagione, la Corte Suprema accettò il ricorso presentato dai suoi legali ed ebbe inizio il processo di appello. Asia Bibi è stata scagionata lo scorso ottobre, ma le è stato impedito di lasciare il Paese; i timori di rappresaglie da parte di gruppi islamisti, che hanno protestato con veemenza contro la sentenza, hanno indotto il governo pakistano a trasferirla in un luogo sicuro.

Questi eventi appaiono paradigmatici e inducono a una più ampia riflessione su diversi temi. Il primo di essi riguarda la blasfemia. Il Corano non fa esplicitamente alcun accenno all’offesa nei confronti del Profeta e tantomeno prescrive la pena di morte per coloro che ne oltraggiano il nome. In Pakistan, la prima legge sulla blasfemia fece la sua comparsa durante il periodo coloniale nel 1860 e, dopo essere stata emendata più volte, la stesura definitiva sotto il Raj britannico avvenne nel 1927 con l’emendamento 295-A. Dopo la Partition, avvenuta nel 1947, molte norme introdotte nel periodo precedente furono incorporate nel Codice penale pakistano e la legge sulla blasfemia fu una di esse, senza, però, che avesse vasta applicazione. Durante l’islamizzazione perseguita dal generale Zia-ul-Haq, che governò il Paese tra il 1977 e il 1988, numerose leggi furono modificate e l’articolo 295 del Codice penale pakistano fu rivisto secondo una visione integralista della religione. L’articolo 295, comma C, in particolare, prescriveva l’arresto per coloro che fossero stati accusati di aver imprecato contro il Profeta. Nel 1990 la Corte federale sharia, istituta dal Generale Zia-Ul-Haq con il compito di assicurare la conformità delle leggi del Paese alla sharia, nella sentenza “Muhammad Ismail Qureshi vs Pakistan State” considerò la pena di morte come obbligatoria, invalidando l’articolo e modificandone il contenuto; oggi, l’articolo 295-C, prescrive, infatti, la pena dell’ergastolo o di morte.

I casi di persone accusate di blasfemia sono, tuttavia, relativamente pochi, e la possibilità di denuncia appare più una forma di intimidazione nei confronti dei gruppi minoritari che non uno strumento per punire fatti realmente accaduti. La legge sulla blasfemia si inserisce tra numerose altre prescrizioni discriminatorie nei confronti delle donne e delle minoranze. Ne sono un esempio l’emendamento del 1973 alla Costituzione che discrimina la comunità ahmadiyya, definendo i suoi componenti come non musulmani, e l’Ordinanza Zina, che ha penalizzato le donne.

Asia Bibi, in quanto cristiana, è diventata il simbolo di uno scontro che da tempo è acceso tra gruppi islamisti e difensori dei diritti delle minoranze, lotta che ha portato alla morte di due esponenti politici. Il primo di questi è stato Salman Taseer, governatore della provincia del Punjab che si era espresso a favore di Asia Bibi e adoperato per la concessione della grazia presidenziale nei suoi confronti, e che nel gennaio del 2011 avrebbe trovato la morte per mano di una sua guardia del corpo. Il secondo è stato Shahbaz Bhatti, unico membro di fede cristiana all’interno del gabinetto del Ministero per le minoranze; dopo avere chiesto di emendare la legge sulla blasfemia, senza ottenere alcun risultato ed esponendosi alle critiche dei gruppi estremisti, era stato ucciso nel marzo del 2011.

La sentenza dello scorso ottobre ha riacceso le polemiche che si erano sopite, acuendo le tensioni politiche e religiose all’interno del Paese. I simpatizzanti del Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TLP), in particolare, sono scesi in piazza per protestare contro la decisione della Corte Suprema, minacciando di morte i suoi giudici.  Questi ultimi sono stati accusati di incompetenza e di non avere alcuna formazione in materia di dottrina islamica classica che permettesse loro di riformare il verdetto della Corte di Lahore in maniera progressista. La sentenza del 2018 ripete, infatti, in più punti che non si può incriminare nessuno, nell’Islam, sulla base di accuse che non siano pienamente provate.

Pochi giorni dopo la sentenza, il Primo Ministro Imran Khan, pur avendo sostenuto pubblicamente la Corte Suprema e assicurando di voler mettere in salvo Asia Bibi, è venuto a patti con Khadim Hussain Rizvi, il leader del TLP; Hussain Rizvi era stato arrestato pochi giorni prima per aver guidato le proteste in piazza. L’accordo, che risale allo scorso novembre, ha previsto il ricorso in appello contro il verdetto, decisione che ha finora impedito alla donna di lasciare il Paese, in cambio della promessa da parte del leader del TLP di cessare gli scontri. La vicinanza del Primo ministro agli ambienti sauditi, sostenitori di una politica ultraconservatrice, sembra averlo persuaso a modificare la propria linea, per non perderne l’appoggio politico ed economico.

L’avvocato difensore di Asia Bibi, intanto, è dovuto fuggire in Olanda a causa delle gravi minacce che ha ricevuto e nella speranza di riuscire, dall’esilio europeo, a mantenere viva l’attenzione dell’Occidente per le sorti della donna. Il 29 gennaio si è tenuta la prima udienza del processo di revisione che ha sancito la possibilità per la donna di lasciare il Paese; pare che Asia Bibi presenterà insieme ai suoi cinque figli e al marito Ashiq Masih domanda di asilo in Canada.

Bibliografia:

Questa voce è stata pubblicata in ASIA, Pakistan e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.