L’omogeneità nazionale tra il multiculturalismo neoliberale e il ritorno dell’estrema destra in Cile.
di Laura Abbruzzese[*]
Lo scorso 14 novembre un giovane mapuche di 24 anni, Camilo Catrillanca, è stato ucciso in una comunità indigena a Sud del Cile; colpito alla nuca da un membro del cosiddetto “Comando Jungla”, ossia le forze speciali cilene addestrate tra Colombia e Stati Uniti e inviate in Cile per contrastare le sollevazioni indigene. Il giovane era disarmato, accompagnato da un minore di 15 anni, rimasto salvo per caso e successivamente detenuto illegittimamente. I due si trovavano nella comunità di Temucucui, provincia di Ercillia, regione dell’Araucanía, storicamente zona di conflitto tra il popolo mapuche, spodestato dalle sue terre di origine, e lo Stato cileno. Un conflitto antico, che risale alle fine del XIX secolo quando il governo centrale occupò manu militari quel territorio a Sud del fiume Bio Bio, relegando la popolazione indigena in piccoli lotti di terra comunitaria, successivamente divisi anche essi sul finire degli anni Venti del Novecento.
A questo conflitto, durante la dittatura civico-militare di Augusto Pinochet, si aggiunse un altro soggetto: le imprese transnazionali a cui venne svenduta quella terra ricca di risorse. Tra il 1974 e il 1978, infatti, la Giunta Militare mise in atto un processo di smantellamento delle terre indigene attraverso la promulgazione di una serie di Decreti Legge[1] finalizzati a porre fine alla redistribuzione dell’agro avvenuta durante gli anni dell’Unidad Pupular, e a rifondare un sistema latifondiario per la sopravvivenza del modello primario esportatore.
A giustificare la presenza dei militari nei pressi della comunità di Temucuicui era stata una telefonata anonima che denunciava il furto di tre automobili: un crimine comune era sembrato sufficiente a mobilitare i corpi speciali operanti nella zona. A dir poco un’esagerazione, quindi, così come quella che, per azioni solitamente legate alla riappropriazione di terra, vede molti mapuche costretti al carcere in applicazione della legge anti-terrorista n° 18.315 del 1984, anch’essa promulgata in pieno periodo autoritario. Si tratta di una legislazione dai chiari contenuti ideologici, pensata in dittatura per i dissidenti politici e utilizzata contro i mapuche solo dopo il processo di transizione alla democrazia. Il suo uso divenne frequente soprattutto a partire dai primi anni Duemila, quando, sotto la presidenza di Ricardo Lagos, se da un lato si favorivano ristretti settori indigeni con sussidi per lo sviluppo culturale, dall’altro si svelava il volto repressivo di quell’amministrazione che fece ricorso a legislazioni straordinarie per reprimere le proteste di settori mapuche che manifestavano il loro dissenso nei confronti di un modello economico e politico nefasto. Un atteggiamento “duale” che sarà poi la norma per i governi di centro-sinistra che seguiranno, entrambi guidati da Michelle Bachelet.
L’uccisione di Camilo Catrillanca, il comportamento violento dell’attuale esecutivo guidato da Sebastián Piñera e le improbabili bugie del Ministro degli Interni Andrés Chadiwick, tese a giustificare l’operato delle forze dell’ordine, affondano quindi le loro radici nella memoria profonda di questo conflitto, nella violenza reiterata dello Stato cileno e nell’evoluzione di un pensiero razzista da parte delle élite che governano il paese.
Ma è su un momento specifico che vorrei porre l’attenzione: sulla potenza estetica dell’interrogazione parlamentare al Ministro Chadiwick, presentata dalla deputata mapuche Emilia Nuyado per ottenere chiarimenti sul caso Catrillanca. Ossia la cruda messa in scena di una pièce teatrale sul multiculturalismo neoliberale.
La faccia sorpresa, a tratti divertita e sprezzante, di chi, presiedendo la seduta straordinaria, ha visto entrare nell’aula del Parlamento chi mai aveva avuto accesso a quel luogo: esponenti e leader delle comunità del Wallmapu (territorio mapuche), compagni e familiari di Camilo Catrillanca, tutti presenti per assistere all’interrogazione. Nei seggi risiedeva tutto il disprezzo di quell’élite al potere che dietro la retorica del “pluri-multi” mal celava il fastidio per le parole pronunciate in mapudungun (lingua mapuche con cui Emilia Nuyado ha aperto la seduta). Quell’élite guardava a quei soggetti come a una massa anonima che teatralizzava la propria identità. Cominciata l’interrogazione, il ministro Chadwick, membro della Unión Demócrata Independiente -UDI- , partito politico vicinissimo al generale Augusto Pinochet ai tempi della dittatura, reiterava l’invito al dialogo. Una ripetizione svuotata di significato dall’assenza di autocritica, un dialogo che sembrava essere il soliloquio delle oligarchie cilene, il monologo dei proiettili dei carabinieri, giustificati ogni volta dalla presenza di un nemico interno: il mapuche terrorista. Il riconoscimento della diversità culturale presente nel discorso del ministro diveniva mero ornamento non appena la deputata provava a spostare il dibattito dal piano dell’ordine pubblico a quello politico. Del resto, la logica multiculturale così insegna: reiterare il valore della diversità culturale e dell’organizzazione indigena è centrale, sempre e quando questa non accumuli potere sufficiente da rappresentare una sfida diretta al potere statale, all’integrità del sistema produttivo, specialmente in una zona, come quella del Sud del paese, profondamente legata all’economia globalizzata. Non appena l’interrogante nominava le parole “autonomia” e “autodeterminazione”, il sussulto della patria immediatamente risuonava nelle parole di Chadwick: “la Nazione cilena è un bene spirituale che ci dà l’identità di popolo, che ci dà l’identità patria, che pur essendo multiculturale resta una, unita, quella che ci dà la nostra cilenità. Non confondiamo la nazione pluriculturale con la plurinazionalità, che è il debilitamento della nostra Nazione e della nostra Patria”. Il Ministro sapeva bene che parlare di pluriculturalità non vuol dire niente sul piano dei diritti, che è solo un riconoscimento descrittivo e non l’attribuzione di diritti politici concreti a popoli solitamente oppressi. Dai tempi dell’occupazione militare del territorio mapuche avvenuta tra il 1866 e il 1883, infatti, il discorso dell’omogeneità nazionale non è mai mutato, ma si è reiterato costantemente in una strategia etnofagica di assimilazione dell’Altro. Un nebuloso discorso sulla diversità quello del ministro Chadwick, in cui chi definisce i limiti consentiti non è colui il quale vive la differenza ma chi pretende di controllarla attraverso rinnovate forme di dominio. Ed ecco che riemerge la dicotomia tra l’indigeno buono e l’indigeno cattivo, dell’indio permitido e l’indio insurrecto. Eppure, in quella tribuna fatta di ospiti comuni e leader politici delle comunità mapuche in resistenza, quella dicotomia non trovava spazio. Quella tribuna sfidava l’atteggiamento superiore e paternalista di Chadwick e dei suoi colleghi; sfidava il discorso politicamente corretto sull’Altro, contro cui lui, il multiculturalista, mantiene una distanza resa possibile dalla sua posizione universale privilegiata. Quella tribuna sfidava il monologo dell’omogeneità nazionale, l’immaginario nazionalista e razziale, manifestava una comunità di corpi politici scomodando il sogno della supremazia nazionale.
Il caso di Camillo Catrillanca non è certo un incidente né tanto meno un caso isolato, così come non lo è la reazione violenta della maggior parte degli Stati-Nazione latinoamericani nei confronti delle popolazioni indigene. “In Sud America siamo tutti discendenti di Europei” ha detto recentemente il Presidente argentino Mauricio Macri, rivelando un’epistemologia dell’assenza su cui si fonda una storia di esclusione e il mito di blanquitud della Nazione argentina. La sparizione di Santiago Maldonado[2], la morte di Rafael Nahuel[3] e la recente vicenda giudiziaria di Facundo Jones Huala[4], dimostrano come l’antichissima politica del “bastone e della carota” sia ancora pienamente attuale. Tuttavia, un’ulteriore minaccia si affaccia sul subcontinente: lo sgretolamento della facciata multiculturalista e il ritorno alla violenza manifesta già esibita dalla vittoria di Jair Messias Bolsonaro in Brasile. La ricomparsa di un discorso razzista senza sbavature né tentativi di edulcorazione, la legittimazione di governi con legami forti con le dittature del passato, con posizioni reazionarie, omofobe e sessiste, nonché la ricostruzione di una Nazione escludente i cui diritti suonano più che altro come privilegi per maschi, bianchi, possibilmente ricchi. Il primo viaggio annunciato dal neo Presidente brasiliano sarà proprio in Cile, dove per ora, tanto il capo del governo, Sebastián Piñera, quanto l’estrema destra capeggiata da José Antonio Kast, sembrano aspettarlo a braccia aperte. In un momento di bassissimo consenso nei confronti dell’esecutivo cileno, ciò che però più spaventa è l’accoglienza altrettanto calorosa da parte di settori della cittadinanza evidentemente malinconici di regimi forti, evangelici e conservatori che cercano una rinnovata legittimità per tornare a riempire le fila della conduzione politica.
Fonti:
- J. Aylwin, Introduzione a El gobierno de Lagos, los pueblos indigenas y el ‘nuevo trato’. Las paradojas de la democracia chilena, Lom ediciones, Santiago, 2007, <https://www.iwgia.org/images/publications//0318_libro_Lagos_intro.pdf>
- Comunidad de Historia Mapuche, La Nación supremacista de Chadwick: Militarización y domesticación pluricultural contra la lucha politíca mapuche, in comunidadhistoriamapuche.cl, 12 dicembre 2018, <https://www.comunidadhistoriamapuche.cl/la-nacion-supremacista-de-chadwick-militarizacion-y-domesticacion-pluricultural-contra-la-lucha-politica-mapuche/>
- Declaración de Temukuykuy, 1 dicembre 2018, <http://www.mapuexpress.org/?p=26728>
- C. Hale , El protagonismo indigena, las politicas estatales y el nuevo racismo en la epoca del ‘indio permitido’. Intervento per la conferenza “Construyendo la paz: Guatemala desde un enfoque comparado,” Guatemala (Minugua), 27-29 ottobre 2004, <https://www.scribd.com/doc/80823895/Hale-protagonisma-indigena-politicas-estatales-y-nuevo-racismo-en-multiculturalismo-neoliberal>
- G. Matías Meza-Lopehandía , O. Guido Williams, Evolución de la legislación antiterrorista: Chile y España, in bcn.cl, 23 gennaio 2018, <https://www.bcn.cl/obtienearchivo?id=repositorio/10221/24964/1/FINAL___Evolucion_de_la_legislacion_antiterrorista__Chile_y_Espana.pdf>
- C. Millacura, El debate público acerca de la condicion del mapuche, Revista de Historia Social y de las Mentalidades, Volume 17, Nº 1, 2013, <http://www.revistas.usach.cl/ojs/index.php/historiasocial/article/view/1558/1435>
- F. Parra, Jones Huala: Cómo los servicios de inteligencia de Chile y Argentina persiguieron al extraditado lonko, El Desconcierto, 13 settembre 2018, <https://www.eldesconcierto.cl/2018/09/13/jones-huala-como-los-servicios-de-inteligencia-de-chile-y-argentina-persiguieron-al-extraditado-lonko/>
[1] Ci si riferisce al Decreto Legge n° 208 del 1974 che stabiliva la sottrazione di beni e terre a coloro i quali avessero partecipato alle precedenti mobilitazioni politiche, contadine o sindacali; al Decreto legge n° 754 dello stesso anno che rendeva nulli gli atti o i contratti stipulati dal governo Allende, attraverso cui lo Stato aveva acquisito diritti su beni o società; infine, ai Decreti Legge n° 2.568,28 e n° 2750 del 1979 che consentivano la divisione delle terre comunitarie.
[2] Giovane attivista argentino solidale con la lotta mapuche e militante nella comunità di Cushamen, fatto sparire il 1° agosto 2017 e ritrovato morto settantotto giorni dopo nel fiume Chubut. Nonostante lo stallo delle indagini ufficiali e le dichiarazioni del governo che continua a negare il proprio coinvolgimento, la responsabilità della gendarmeria argentina sembra essere un dato di fatto.
[3] Ragazzo mapuche di 22 anni, ucciso nella zona di Bariloche, nella comunidad Lafken Winkul Mapu,
colpito, il 25 novembre 2017, da un arma da fuoco durante un’esecuzione di sgombero da parte delle forze armate.
[4] Longko (leader politico) della comunità mapuche di Cushamen (Puelmapu-Argentina). Nel 2013 fu accusato di attacco incendiario nel fondo Pisu Pisué, nella regione dell’Araucanía (Ngulumapu-Chile). La sentenza finale dichiarò innocenti tutti gli imputati per assenza di prove ma Jones Huala, lasciato libero dopo mesi di prigione preventiva e prima della fine del processo, tornò in Argentina. Il processo terminò in contumacia ma, nel luglio 2017, dopo un incontro tra la presidentessa Bachelet e il presidente Macri, Jones Huala è stato nuovamente arrestato. Il giudice federale argentino stabilì che il processo anteriore era da reputarsi inconcluso, concedendo l’estradizione nel paese vicino, nonostante il Comitato per i Diritti Umani dell’ONU avesse chiesto la non estradizione, in quanto il processo risultava viziato e pieno di irregolarità. Il nuovo processo si è concluso lo scorso dicembre, con la sentenza del Tribunale Penale di Valdivia che lo ha condannato a sei anni per incendio, e a tre anni e un giorno per detenzione illegale di armi da fuoco.
[*] Dottoranda in “Studi Internazionali”, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.