THE HUNGARIAN POLITICS IN THE TIME OF COVID-19

LA POLITICA UNGHERESE AL TEMPO DEL COVID-19

di Massimo Congiu*

As in spring this year, the Hungarian Government is once again endowed with special powers to face the spread of Covid-19. With these powers it can even abolish in force laws, without Parliament’s approval. In this worrying situation the Hungarian Government has proposed the amendment of the electoral law – to its advantage – and it has vetoed the EU seven-year budget and coronavirus recovery plan.

Come la scorsa primavera, l’Ungheria è di nuovo guidata da un governo dotato di poteri speciali. Con l’aggravarsi, nel paese, della situazione relativa ai contagi da Covid-19, il primo ministro Viktor Orbán ha fatto di nuovo ricorso ai pieni poteri. L’annuncio ha avuto luogo agli inizi di novembre per informare la popolazione che il premier governerà con decreti per novanta giorni e con la facoltà di abrogare anche leggi vigenti senza dover necessariamente interpellare l’Assemblea nazionale.

In questa situazione i cambiamenti non si sono fatti aspettare. Di fatto, il governo ungherese ha subito provveduto ad avviare le procedure per la modifica della legge elettorale che è già stata ritoccata più volte a favore del partito di maggioranza con meccanismi tali da limitare le possibilità delle forze dell’opposizione di dar vita a coalizioni. La bozza di legge che verrà presentata a breve al Parlamento prevede che ci vogliano cinquanta candidati nelle circoscrizioni uninominali per creare una lista nazionale. Tale condizione limita pesantemente lo spazio d’azione delle opposizioni che in occasione di test elettorali non potranno presentare più di due liste visto che le circoscrizioni sono in tutto 106. La soluzione sarebbe quella di dar vita a una lista unica sulla base di accordi che fino a questo momento gli oppositori politici di Orbán non sono riusciti a raggiungere. Alla fine dell’anno scorso il partito del premier è stato sconfitto alle elezioni amministrative da una coalizione di partiti dell’opposizione, ma non è detto che lo stesso schema possa essere ripetuto a livello nazionale. Anzi, la cosa appare piuttosto difficile.

Nel 2018 le forze governative hanno prevalso in modo più che evidente al voto politico deludendo le aspettative dei sostenitori del campo avverso molti dei quali si aspettavano che venisse ridimensionato il potere della maggioranza; le prossime elezioni legislative sono previste per il 2022 e il governo sta dedicando un grande impegno all’ulteriore consolidamento del suo potere anche con disposizioni che come in passato possano spianargli la strada verso nuovi successi elettorali.

Le novità, però, non finiscono qui: ci sono infatti nuove iniziative di revisione costituzionale che pure destano preoccupazione. Una riguarda l’educazione dei giovani che, secondo gli autori della proposta vanno preservati dalle teorie di genere. Teorie pericolose, secondo il governo, soprattutto quelle legate alla condizione omosessuale che, sempre a parere dell’esecutivo, potrebbero incoraggiare tendenze che il paese non può permettersi data la sua non fiorente situazione demografica. L’altra, presentata di recente in Parlamento, mira a modificare il testo della Carta costituzionale in merito alla definizione di “denaro pubblico”. Così, se la proposta dovesse venire accolta e concretizzata, in futuro il patrimonio delle fondazioni e delle compagnie statali non verrebbe più considerato come tale. I critici fanno notare che in questo modo il sistema di potere creato e guidato da Orbán avrà modo di accumulare capitali consistenti in fondazioni senza dover rendere conto a nessuno del suo operato in questo campo. Secondo il deputato dell’opposizione Ákos Hadházy, Orbán ha così provveduto a inserire nella Costituzione “la libertà di rubare”. Da notare che l’accusatore è da tempo impegnato a denunciare la corruzione che, secondo gli avversari del premier, è pratica corrente dell’attuale governo ungherese.

Corruzione, favoritismi a figure e ambienti vicini al leader ungherese, potere esercitato attraverso oligarchie influenti e comunque controllate dal sistema, sono fatti denunciati da tempo da dossier di ONG e istituzioni internazionali.

Il caso emblematico, da questo punto di vista, è la relazione della Commissione europea sul rispetto dello stato di diritto nei paesi membri dell’UE. Nel caso dell’Ungheria, l’analisi ha rilevato, fra le altre cose, la carenza di meccanismi di controllo che favorisce, appunto, la corruzione, l’assenza di trasparenza e la scarsa qualità del processo legislativo, l’indebolimento delle istituzioni indipendenti e la situazione, notevolmente critica, del sistema mediatico.

Fatta questa precisazione, va aggiunto che, come in primavera, si ha la sensazione che il governo di Budapest stia strumentalizzando l’emergenza sanitaria per rafforzare il suo controllo sulla società e distogliere l’attenzione pubblica dalle manovre politiche. Il punto, però, è che neppure la gestione della crisi sanitaria appare eccellente, essa è anzi criticata in patria per l’insufficienza e l’inadeguatezza delle misure intraprese. Nel momento in cui questo articolo viene scritto, ristoranti, caffè, negozi, impianti sportivi e scuole sono aperti. Secondo il primo ministro “l’economia non va fermata, il paese deve continuare a funzionare”. Intanto, però, si rilevano problemi seri nel funzionamento degli ospedali. I casi di contagio aumentano, i decessi sono numerosi; questi aspetti assumono una valenza ben particolare, anche a livello europeo, soprattutto se considerati in rapporto ad una popolazione di meno di 10 milioni di abitanti.

L’emergenza sta mettendo in ginocchio un sistema sanitario già provato da carenze di personale e strutturali e prossimo al collasso, secondo diversi osservatori. Una situazione, quindi, di grande difficoltà che, secondo quanto affermato dal vicepresidente dell’Ordine dei Medici Ungheresi, Tamás Svéd, vede gli ospedali scarseggiare di letti e costringe anche psichiatri e dentisti a lavorare nei reparti di terapia intensiva perché il numero dei medici e degli infermieri specializzati non è sufficiente. A fronte del peggioramento della situazione, Orbán ha promesso il suo impegno per portare nel paese, a gennaio, i futuri vaccini russo o cinese. Impegno assicurato malgrado l’UE non sembra sia intenzionata a dare facilmente il via libera a questi prodotti la cui sperimentazione non è stata, tra l’altro, completata.

Infine, il primo ministro ungherese continua a porre ostacoli in sede di Recovery Fund. Il suo governo, infatti, ha posto insieme a quello polacco il veto all’approvazione del pacchetto di 1.800 miliardi di euro, comprendente i 750 miliardi per il Recovery Fund, in quanto rifiuta il compromesso raggiunto dal Parlamento europeo e dalla presidenza tedesca del Consiglio UE per vincolare l’erogazione dei fondi comunitari al rispetto dello stato di diritto. Orbán non accetta questa condizione che, sostiene “non faceva parte degli accordi di luglio” e quindi, a suo parere, “viola la certezza del diritto”. A parte questo, il primo ministro ungherese respinge il principio secondo il quale enti esterni possono valutare il rispetto dello stato di diritto in un paese terzo.

Vi è da ricordare che il Gruppo di Visegrád (V4) aveva da subito criticato il Recovery Fund. In particolare, l’Ungheria e la Repubblica Ceca si ritenevano svantaggiate dal meccanismo per sostenere i paesi colpiti dal Covid-19. Un meccanismo ingiusto, addirittura “perverso”, aveva detto Orbán, in quanto pensato per favorire i paesi occidentali dell’UE. La denuncia è tesa a sottolineare un’iniquità che, secondo il premier ungherese e i suoi collaboratori e sostenitori ungheresi e non, motiva a maggior ragione la presa di posizione del V4 per cambiare giochi ed equilibri all’interno dell’edificio comunitario europeo.

Contro questo veto è stata lanciata sui social una petizione che porta la firma dei leader dei principali partiti dell’opposizione ungherese. Non solo di quelli liberali e di centro-sinistra, tra essi figura infatti anche Jobbik che, nato come forza politica radicale di destra, si è impegnato negli ultimi anni a trasformarsi in un partito conservatore ma moderato. Questo processo, però, non ha fatto dimenticare, in Ungheria, le posizioni pubbliche da esso espresse un tempo nei confronti di rom ed ebrei.

Intitolato “Sorry Europa! Not in my name”, il documento si appella alle istituzioni comunitarie e ai paesi membri, perché trovino soluzioni atte a impedire a Orbán di ostacolare gli strumenti di sostegno concepiti dall’UE per aiutare i paesi membri colpiti dalla crisi dovuta al Covid-19. Una crisi sanitaria, sociale ed economica che contribuisce a sottolineare la crisi di coesione all’interno di questa sofferente famiglia europea.

FONTI

* Giornalista e studioso di geopolitica dell’Europa centro-orientale, curatore dell’OSME (Osservatorio Sociale Mitteleuropeo).

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