The future of the Eastern Partnership

di Angela Di Gregorio

Nel vertice di Riga del 22 maggio scorso l’Unione europea ha riaffermato il suo impegno a sviluppare i legami politici ed economici con i sei paesi del Partenariato orientale, ossia Armenia, Azerbajdzan, Bielorussia, Georgia, Moldova ed Ucraina. I partecipanti al summit hanno ribadito il loro impegno a lavorare insieme per rafforzare la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani e le libertà fondamentali. Considerando il continuo confronto con la Russia, la UE dal canto suo ha confermato il suo supporto all’integrità territoriale, all’indipendenza ed alla sovranità di tutti i suoi partner[1].

Ricordiamo che la Eastern Partnership è una derivazione della European Neighbourhood Policy (ENP), lanciata nel 2004 per tranquillizzare i paesi del vicinato orientale al momento dell’ingresso nell’UE dei paesi Baltici e di altri paesi ex comunisti, ed inoltre per “garantire un’area di sicurezza e prosperità alle frontiere”[2]. Attualmente la ENP si applica a paesi che condividono una frontiera comune con l’UE, che si affacciano sullo stesso mare, o che sono altrimenti inclusi per motivi politici. La Russia era inizialmente parte della ENP, ma poi decise di uscirne. Le attività dell’UE riguardano due macro regioni ossia l’Unione per il mediterraneo e la Eastern Partnership (una terza, la Sinergia per il Mar Nero, ha prospettive più limitate).

Il concetto di prosperità e il principio di buon vicinato sono stati posti alla base della ENP. Specifiche iniziative sono state attuate all’interno tramite Action Plans, Bilateral Agreements, Association Agreements. L’assistenza finanziaria è stata condizionata all’impegno di realizzare una democrazia stabile e duratura con un doppio target: “sviluppo economico, democrazia, buon governo e sicurezza” e la risoluzione delle dispute confinarie, per migliorare la sicurezza regionale. Inoltre, la Commissione europea ha condizionato la firma dei trattati bilaterali al rispetto di criteri politici come “democrazia, stato di diritto e diritti umani” ed alla cooperazione col Consiglio d’Europa, l’OSCE e le istituzioni ONU per la tutela dei diritti umani[3]. L’obiettivo è fornire ai paesi vicini “un accesso privilegiato al mercato commune” (c.d. everything but institutions) ed assistenza finanziaria, in cambio di riforme politiche ed economiche atte a garantire la sicurezza regionale. I paesi più diligenti nell’attuazione delle riforme richieste beneficieranno di relazioni più strette con l’UE, tramite un meccanismo ad incentivi (more for more).

La condizionalità democratica è stata riaffermata ed incoraggiata, come pure la richiesta di una mutua sicurezza energetica. L’obiettivo della sicurezza richiede la soluzione pacifica di una serie di situazioni conflittuali nella regione (Nagorno-Karabach, Caucaso meridionale, Transdniestria). Grande attenzione è data alle questioni migratorie. Le riforme saranno finanziate attraverso l’European Neighbourhood Instrument, per il periodo 2014-2020.

Come si evince dalle dichiarazioni dei nuovi organi politici dell’Unione (si vedano le dichiarazioni di Federica Mogherini e Johannes Hahn, del 4 marzo 2015[4]) la politica europea verso l’Europa orientale sarà tra le priorità dell’Unione per i prossimi anni. Ciò si spiega non solo per la crisi ucraina (per non menzionare altre potenziali situazioni conflittuali in Moldova, Armenia e Georgia) ma anche per la necessità di migliorare la sicurezza energetica e l’espansione dei mercati.

Ma si deve considerare la situazione geopolitica della regione, essendo i paesi in questione geograficamente collocati nella sfera di influenza russa mentre dal punto di vista culturale ed economico si sentono tra la dimensione europea e quella eurasiatica. Dopo il crollo del regime comunista la regione dell’ex URSS, eccetto i paesi Baltici ora parte dell’UE, è stata caratterizzata da un livello di sviluppo economico ed istituzionale diverso da quello degli ex satelliti dell’URSS. Nonostante l’ingresso nel Consiglio d’Europa (e un riconoscimento di diritti e libertà formalmente in linea con gli standard europei), il quadro costituzionale generale esprime una introduzione limitata della separazione dei poteri. Il periodico tentativo di introdurre meccanismi istituzionali per garantire il pluralismo e i diritti dell’opposizione non ha mai realmente messo in pericolo l’equilibrio di potere esistente, nonostante situazioni ibride come quella di Ucraina e Georgia.

Considerando quanto accaduto nel 2014, il futuro della EaP nella sua attuale configurazione è escluso. Questo è chiaro a tutti gli attori in gioco. Mentre il vertice di Riga appare come un ennesimo fallimento politico (tre dei partecipanti, Bielorussia, Armenia ed Azerbaidjan, si sono rifiutati di sottoscrivere la dichiarazione che condannava l’annessione della Crimea alla Russia) gli scenari che si profilano non appaiono dei più sensati.

C’è chi auspica, e sono soprattutto i polacchi[5] (la loro posizione è comprensibile ma allo stesso tempo sono stati i maggiori sostenitori della EaP), una nuova politica a due velocità: da un lato Ucraina, Moldova e Georgia, che hanno sottoscritto accordi di associazione e sono più intenzionate a distanziarsi dall’influenza russa, e dall’altro gli altri paesi, di cui due coinvolti nell’Unione euroasiatica che viene vista come inconciliabile con l’integrazione europea.

Dunque Bielorussia, Armenia ed Azerbajdan sarebbero per il momento esclusi da ogni reale avvicinamento, come pure la Russia, fino a che non finirà l’era Putin e dunque non nel breve periodo. Il progetto di integrazione europea e quello di integrazione eurasiatico sono in questa visione irrimediabilmente inconciliabili (ma tale inconciliabilità è tra le cause principali della crisi ucraina)[6].

Altri ritengono che si debba ritornare ad una generica Politica di vicinato o passare da un approccio multilaterale ad uno bilaterale. Altri ancora (e sono soprattutto gli ucraini) che si dovrebbe addirittura perfezionare l’associazione trasformandola in un progetto di pre-adesione. Pochissime le voci a favore di un confronto di minore intensità con la Russia[7].

Una EaP a due velocità rischia tuttavia di essere pericolosa. E sicuramente segnerebbe la fine della EaP per dar vita a qualcosa di diverso e non più così geograficamente e culturalmente connotato. La riflessione si impone e riguarda sia il valore effettivo della condizionalità democratica europea (troppo blanda, considerando la mancata prospettiva di ingresso) sia la presenza di interconnessioni regionali e culturali che queste politiche rifiutano di vedere.

Se la storia può essere superata nonostante le ferite che si porta appresso, lo stesso non si può dire per la geografia e per la lacerazione etnico-culturale che certe scelte possono comportare.



[1] www.europarl.europa.eu/thinktank. Vedi COM(2003)104 def., A Wider Europe – Proximity: a new context for the relations with our Southern and Eastern Neighbours,www.europarl.europa.eu. Anche A. Paul, The Eastern Partnership Riga Summit should not be a non-event, in European Policy Centre www.epc.eu, 20 May 2015.

[2] Si veda il sito ufficiale della European Neighbourhood Policy: http://eeas.europa.eu/enp/index_en.htm#.

[3] Communication from the Commission to the European Parliament and the Council – Eastern Partnership, COM(2008)823.

[4]European Commission – Press release, Towards a new European Neighbourhood Policy: the EU launches a consultation on the future of its relations with neighbouring countries, in http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-4548_en.htm. Per la prima volta l’Alto rappresentante UE Mogherini ha ammesso che “Anche noi dobbiamo conoscere meglio le aspirazioni, i valori e gli interessi dei nostri partner”. Inoltre, i nuovi organi hanno sottolineato la necessità di “promuovere una partnership con le società insieme alle relazioni coi governi”. Bisogna anche ricordare che il Regolamento No. 232/2014 del Parlamento europeo e del Ponsiglio dell’11 marzo 2014 ha stabilito un European Neighbourhood Instrument. In questo documento, adottato dopo la crisi ucraina, si è riaffermata la necessità di rafforzare la ENP, basandosi sulla condizionalità democratica, il coinvolgimento delle organizzazioni locali e della società civile. Allo stesso tempo, “questo Regolamento riconosce lo status specifico della Federazione di Russia, come vicino dell’Unione e partner strategico nella regione” (punto 7). Inoltre “il sostegno dell’Unione ai sensi del presente regolamento deve essere in via di principio allineato alle corrispondenti strategie e misure nazionali o locali dei partner e, se rilevanti, anche a quelle della Federazione di Russia” (punto 17).

[5] Si veda il rapporto del direttorato generale per le politiche esterne dell’UE dal titolo The Eastern Partnership after five years: time for deep rethinking, del polacco G. Gromadzki, Institute of Public Affairs, Poland, 2015.

[6] Che l’incompatibilità sia un errore, perlomeno dal punto di vista commerciale, è sostenuto dallo studio di P. De Micco per il parlamento europeo: When choosing means losing. The Eastern partners, the EU and the Eurasian Economic Union, March 2015.

[7] Cfr. K.O. Lang, B. Lippert, EU options on Russia and the Eastern Partners, in SWP Comments, 32, May 2015.

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