The fragile political equilibrium in the Czech Republic after the resignation of the Government

di Laura Alessandra Nocera

Political situation in the Czech Republic seems to be quietly compromised after the Prime Minister Andrej Babiš resigned on January 17th because of a no-confidence vote by the Chamber of Deputies
Dopo la vittoria alle elezioni parlamentari del 20-21 ottobre 2017 del movimento centrista-populista ANO (Azione dei cittadini insoddisfatti – Akce nespokojených občanů), guidato dall’ex tycoon dei media Andrej Babiš, non c’è ancora pace per la situazione politica della Repubblica ceca. Infatti, malgrado i procedimenti che lo vedevano indagato per malversazione ed evasione fiscale e che lo hanno costretto alle dimissioni da Ministro delle Finanze nel maggio 2017, Babiš ha ricevuto l’incarico come primo ministro il 6 dicembre 2017 ed è entrato in carica con il suo esecutivo, a quasi esclusiva rappresentanza ANO con l’inserimento di qualche indipendente, il 13 dicembre successivo.
Secondo quanto previsto dalla Costituzione (art. 71), il nuovo Governo si è presentato dinanzi alla Camera bassa (Poslanecká sněmovna) il 16 gennaio 2018, ma non ha ottenuto la fiducia: la mancanza di un accordo di coalizione con altri partiti ha portato a soli 78 voti favorevoli alla fiducia su un totale di 200 deputati, costringendo Babiš a rassegnare le dimissioni da Primo Ministro il giorno successivo (art.72, II co., Cost.). La mancata fiducia ha rimesso in discussione la possibilità di togliere l’immunità parlamentare al primo ministro dimissionario relativamente ai procedimenti giudiziari a suo carico, su cui la Camera bassa è intervenuta immediatamente il 19 gennaio: 111 deputati (sui 180 presenti) hanno votato per la revoca dell’immunità parlamentare al premier Babiš e al suo vice Jaroslav Faltynek, anch’egli esponente di ANO, entrambi indagati per malversazione nell’utilizzo illegittimo dei fondi europei – circa due milioni di euro – per la costruzione di un wellness resort di lusso (conosciuto con il nome “Nido della Cicogna” – Capi hnizdo).
Tuttavia, Babiš è rimasto in carica per il disbrigo degli affari di ordinaria amministrazione fino alla nomina di un nuovo esecutivo, condizionata anche dalla pendenza simultanea delle elezioni presidenziali, che si sono svolte, in due turni, il 12-13 gennaio 2018 e il 26-27 gennaio 2018 e che hanno visto la vittoria, al ballottaggio, del Presidente uscente Miloš Zeman.
Zeman, favorito già ai sondaggi pre-elettorali, non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta al primo turno, passando tuttavia, con quasi il 39% delle preferenze, al secondo turno di ballottaggio contro l’indipendente Jiri Drahos, ex presidente dell’Accademia delle Scienze, che aveva ottenuto oltre il 26% delle preferenze. Molto distanziati, invece, sono risultati gli altri candidati più temibili – l’ex ambasciatore ceco in Francia Pavel Fischer e i politici indipendenti Michal Horáček e Marek Hilšer – , assestatisi intorno al 9-10% (sui dati delle elezioni presidenziali ceche, si rinvia ai risultati già indicati nell’articolo “Presidential elections in the Czech Republic”, pubblicato da DIPEO il 30 gennaio 2018; fonte: www.volby.cz). Il ballottaggio del 26-27 gennaio, al quale si è recato alle urne circa il 67% dei cittadini cechi, cifra al di sopra delle medie, ha confermato il secondo mandato del Presidente Zeman, con un consenso di quasi il 52% contro il 48% dello sfidante.
Le elezioni presidenziali sono state vissute come un vero e proprio referendum nel Paese. Infatti, il risultato è frutto di un’odierna spaccatura nel Paese tra forze pro-europeiste, particolarmente rappresentate nelle grandi città, e gruppi euro-scettici e filo-russi, che ben si riconoscono nella figura dell’attuale Presidente. Miloš Zeman, ex Primo Ministro social-democratico, fondatore di SPO (Partito dei Diritti Civili – Strana Práv Občanů) nel 2009 e Presidente della Repubblica dal 2013, si è presentato sempre come una figura sui generis, capace di dividere l’opinione pubblica e di mostrarsi particolarmente scontroso nei confronti della stampa. Negli ultimi anni del suo primo mandato, non ha mai nascosto la sua ammirazione per la politica russa e il suo scetticismo nei confronti dell’Europa e della NATO, soprattutto in riferimento alle politiche migratorie europee e alle questioni estere. I flussi migratori sono diventati il vero e proprio discrimine anche nella campagna elettorale, durante la quale il Presidente Zeman ha più volte ribadito la sua vicinanza ai politici polacco Jaroslaw Kaczynski e magiaro Viktor Orbán, con il chiaro intento di rafforzare la linea del cosiddetto “gruppo di Viségard” (a cui appartengono, accanto alla Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria) contro una politica europea a trazione franco-tedesca. Quest’atteggiamento del Presidente rischia di compromettere e condizionare notevolmente i rapporti della Repubblica ceca all’interno dell’Unione Europea, visto anche i diversi episodi in cui lo stesso Zeman ha respinto le critiche provenienti dalla Commissione Europea sui valori costitutivi dello stato di diritto.
Inoltre, la rielezione di Zeman potrebbe cambiare l’equilibrio tra le forze politiche proprio in riferimento alla questione Babiš e alla sua perdita dell’immunità parlamentare. L’attuale Presidente della Repubblica, infatti, ha spesso espresso il suo sostegno per il leader di ANO, nominandolo premier in dicembre, malgrado la gravità della sua posizione giudiziaria, e confrontandosi duramente con l’ex Primo Ministro Sobotka nel maggio dell’anno scorso, quando Babiš fu costretto alle dimissioni dal governo.
La situazione attuale risulta piuttosto fragile e con poche certezze. Sicuramente, il Governo Babiš rimarrà in carica fino alla nomina di un nuovo esecutivo e l’insediamento del Presidente permetterà ora l’avvio delle consultazioni per la sua formazione. Considerando la composizione odierna della Camera bassa (Poslanecká sněmovna), difficilmente i partiti di opposizione, che insieme contano 122 seggi, potrebbero formare un governo di coalizione, viste le troppo marcate differenze politiche fra di essi. È più probabile, invece, la formazione di una coalizione più limitata, magari di centro-destra, che potrebbe includere il partito liberal-conservatore dell’ex Presidente della Repubblica Václav Klaus ODS (Partito Civico Democratico – Občanská demokratická strana), secondo partito più votato alle elezioni del 20-21 ottobre, forte di 25 seggi parlamentari, ma anche la presenza di ANO senza il suo leader storico. Infatti, i due partiti insieme riuscirebbero a raggiungere la maggioranza dei seggi parlamentari, necessari per la formazione di un governo di coalizione (ANO è risultato il partito più votato alle elezioni parlamentari, ottenendo ben 78 seggi). La coalizione, però, potrebbe aprirsi anche al composito panorama di forze politiche di tendenza liberal-conservatrice presenti alla Camera bassa. In base al risultato delle urne di ottobre, infatti, sono 10 i seggi parlamentari ottenuti dai cristiano-democratici di KDU-ČSL, guidati da Pavel Bělobrádek, 7 i seggi dei liberali pro-europeisti di TOP09, guidati dall’ex Ministro Miroslav Kalousek, e 6 i seggi del movimento dei sindaci STAN, new entry in Parlamento e guidato da Jan Farský. Sembra difficile, invece, un sostegno all’esecutivo da parte del partito social-democratico dell’ex premier Bohuslav Sobotka, che alle elezioni di ottobre ha subito una drastica riduzione dei consensi, perdendo ben 35 seggi dei 50 ottenuti nel 2013 (sui dati delle elezioni parlamentari ceche, si rinvia ai risultati già indicati nell’articolo “Parliamentary elections in Czech Republic”, pubblicato da DIPEO il 25 ottobre 2018).

Fonti:

 www.visegradgroup.eu
 www.volby.cz
 www.bbc.com/news/world
 www.ilpost.it
 www.economist.com
 www.radio.cz
 www.nytimes.com
 www.reuters.com
 www.washingtonpost.com
 www.ansa.it

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