THE CONFLICT IN NAGORNO-KARABAKH: WHEN SPECTATORS WIN THE GAME

IL CONFLITTO IN NAGORNO-KARABAKH: QUANDO A VINCERE SONO GLI SPETTATORI 

di Shawn Guidi*

Il 9 novembre il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha annunciato alla nazione il raggiungimento di un accordo con l’Azerbaijan, un vero e proprio armistizio che non ha semplicemente posto fine a settimane di sanguinosi combattimenti, ma anche apparentemente risolto, almeno sulla carta, una disputa territoriale trentennale.

Il conflitto in Nagorno-Karabakh ha le sue radici nel 1921, quando le autorità dell’Unione Sovietica decisero di unire il territorio, abitato prevalentemente da una popolazione armena, alla Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan. In seguito alla caduta dell’URSS nel 1991, la regione indisse un referendum per ottenere l’indipendenza. Visto il boicottaggio da parte degli abitanti azeri, le neonate milizie separatiste, supportate dall’Armenia, iniziarono una guerra per l’indipendenza, arrivando dopo migliaia di morti e sfollati alla proclamazione della Repubblica dell’Artsakh. La situazione risultò da subito estremamente sensibile, la neonata Repubblica non era riconosciuta dalla comunità internazionale. L’Armenia si limitò a supportare l’indipendenza del territorio, difendendo la volontà delle popolazioni di etnia armena di non riconoscersi come parte dell’Azerbaijan. L’armistizio del 1994 mediato da Russia, Stati Uniti e Francia creò un equilibrio di apparente pace destinato a rompersi più volte durante gli anni successivi. Prima della resa dei conti a cui abbiamo assistito in queste settimane, il caso più eclatante sono stati certamente gli scontri del 2016 in cui persero la vita 200 persone, polarizzando ulteriormente le posizioni dei due contendenti.

Visto il passato di Repubbliche Socialiste di Armenia e Azerbajian e la posizione strategica nel crocevia del Caucaso, l’interessamento della Federazione Russa fu inevitabile. Entrambi i paesi aderirono nel 1994 all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), una sorta di “NATO” dei paesi ex sovietici. L’Azerbaijan non rinnovò la sua partecipazione nel 1999, a differenza dell’Armenia che è anche parte dell’Unione economica eurasiatica. Di conseguenza, la Russia si è posta come principale garante della posizione strategica armena. Dall’altro lato, le comuni radici etniche e l’affinità religiosa hanno posto progressivamente l’Azerbaijan nella sfera di influenza turca. Il riaccendersi del conflitto in Nagorno-Karabakh ha messo inizialmente la Russia in una situazione spiacevole. Infatti i rapporto con la Turchia erano tornati ad essere buoni, grazie anche ad alcuni accordi chiave in Libia e Siria. L’allargarsi del conflitto avrebbe potuto vanificare i traguardi raggiunti, soprattutto nel caso di prolungate schermaglie in prossimità del territorio armeno.

L’apparente passività di Mosca andava di pari passo con gli inviti ad evitare una escalation, un atteggiamento che faceva presagire disinteresse nei confronti dell’enclave armena. L’alleanza difensiva riguarda infatti solamente i territori ufficialmente riconosciuti. La Turchia invece ha deciso di comportarsi in modo totalmente opposto, inviando mercenari dalla Siria e fornendo equipaggiamenti all’Azerbajian. Quest’ultimo paese, grazie ad una situazione economica più felice (è uno dei maggiori produttori di petrolio della regione) ha potuto investire nella difesa negli anni scorsi riuscendo ad ottenere un vantaggio militare sull’Armenia. Tra l’altro gli azeri hanno usufruito di armamenti sofisticati provenienti dalla Turchia, tra cui i droni. Questi elementi, uniti all’interdizione del corridoio di Lachin ed alla conquista della città di Shushi, hanno consentito l’arretramento continuo delle forze filo armene.

Visto l’esito del conflitto ormai certo, Putin si è inserito come mediatore per arrivare ad un cessate il fuoco. L’accordo, definito dal primo ministro armeno come “molto doloroso”, prevede il mantenimento dei territori conquistati dall’Azerbaijan (si tratta, tra l’altro, di una serie di zone cuscinetto intorno all’enclave che erano state conquistate in passato dalle truppe armene e dalle quali era stata espulsa la popolazione azera), il ritiro delle truppe armene dai distretti vicini all’enclave e la costituzione di un contingente di pace russo. Per rinvigorire l’accordo, la Russia ha inviato 1960 uomini, 90 mezzi corazzati da trasporto e 389 veicoli appartenenti alla 15esima Brigata di fanteria motorizzata, diretta da un tenente generale proveniente dal Daghestan, Rustam Muradov. Il piano di peacekeeping si compone di 23 posti d’osservazione divisi in due diverse zone di responsabilità, quella Nord con base a Martakert e quella Sud con centro a Stepanakert. Quest’ultima ospita anche il quartier generale delle operazioni. Il coinvolgimento della Russia durerà per un minimo di 5 anni, con la possibilità di proroghe.

L’accordo sembra una evidente vittoria dei russi. Nonostante le conquiste militari degli azeri supportati dai turchi, la risoluzione del conflitto ha ribadito che Mosca ha ancora l’ultima parola nel Caucaso, ponendosi in una posizione di mediazione utile per i propri interessi. L’iniziale atteggiamento passivo della Russia ha permesso di evitare lo scontro diretto con la Turchia, attore che si può comunque ritenere soddisfatto degli esiti del conflitto, godendo di una più ampia sfera di influenza e della possibilità di migliorare i rapporti economici con gli azeri.

Il Nagorno-Karabakh non può essere considerata una vera e propria proxy war, ma una interessante arena per la realpolitik delle potenze regionali, un match in cui il dopo partita è più importante della partita stessa.

Fonti:

*Studente di Scienze Politiche e di Governo, Università degli Studi di Milano.

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