Russia and the Council of Europe: risk for divorce

di Giovanna De Maio

 

Nell’occhio del ciclone dal 2014 per l’annessione della penisola di Crimea, la Russia ha subìto pressioni internazionali in numerose sedi. Tra queste, il Consiglio d’Europa (CoE).

Alla luce dei fatti di Crimea e del Donbass, il Consiglio ha adottato provvedimenti molto severi come la sospensione del diritto di voto della Russia in seno all’Assemblea parlamentare (PACE) – come già precedentemente avvenuto tra il 2000 e il 2001 a seguito del conflitto in Cecenia –  e l’esclusione dalle missioni di monitoraggio elettorale (10 aprile 2014).

Di rimando, dopo aver sostenuto che i suoi delegati fossero stati oggetto di “persecuzioni” per i fatti di Crimea, la Russia ha sospeso il pagamento delle quote di partecipazione all’organizzazione relative al 2017 finché i diritti della delegazione russa alla PACE non saranno ripristinati.

Stando così le cose, la rappresentanza della Russia rischia di essere esclusa anche dalle riunioni del Comitato dei ministri (art. 9 dello statuto), non potendo così partecipare all’elezione dei nuovi giudici della Corte EDU e alti funzionari previste nell’arco dei prossimi due anni.

 

Segni di cedimento

Stando alle dichiarazioni del segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjørn Jagland, la Russia continua a bloccare in maniera “totalmente inaccettabile” le visite di monitoraggio del Commissario per i diritti umani nella penisola di Crimea – dossier sul quale la Russia continua a sostenere di aver eseguito la volontà popolare espressa tramite referendum.

Poco più di un anno fa, inoltre, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato una controversa legge concernente la priorità del diritto interno su sull’obbligo di conformarsi alle sentenze di corti internazionali. Tra le principali conseguenze dell’approvazione di questa legge, c’è chiaramente la limitazione dell’efficacia delle sentenze della Corte EDU con riguardo ai casi in cui è coinvolta la Federazione russa.

Negli anni recenti sono stati presentati sempre più ricorsi alla Corte EDU che denunciavano la violazione della Carta europea dei diritti dell’uomo. Secondo un documento della Corte EDU aggiornato al 1 luglio 2017, sono 9215 i ricorsi pendenti indirizzati contro la Russia; inoltre, è interessante notare che contro Mosca sia stato avanzato il maggior numero di ricorsi interstatali.

L’uscita della Russia comporterebbe di fatto la perdita della possibilità di ricorrere alla Corte EDU da parte dei cittadini russi, dopo aver esaurito i rimedi interni.

 

L’importanza dell’organizzazione

In un momento storico in cui il cammino della diplomazia è intralciato da ostacoli sempre più alti – come evidenziano i recenti trascorsi tra Stati Uniti e Russia, tra espulsione di diplomatici e chiusura delle sedi – si impone sempre più urgente il bisogno di tenere aperti canali di comunicazione e di confronto.

Una organizzazione internazionale come il Consiglio d’Europa in cui emergono le istanze di Russia e Ucraina come Stati membri e degli Stati Uniti come osservatori è fondamentale per mantenere quel minimo di contatto non soltanto sulle questioni di reciproco attrito ma anche in risposta alle diverse crisi diverse dove è necessario trovare un terreno di collaborazione.

La stessa esistenza della Corte EDU insieme alla possibilità per i cittadini degli Stati che ne hanno ratificato lo statuto, di presentare ricorsi contro il proprio Stato rappresenta un successo importante per la tutela dei diritti della persona umana, non più considerata come mera pertinenza dello Stato. Per questo motivo, un passo indietro della Russia – ma anche degli altri paesi – dal tandem Consiglio d’Europa-Corte EDU rappresenta una sconfitta non solo diplomatica ma anche per i cittadini russi che hanno creduto nelle garanzie di quest’organizzazione.

 

Che fare?

Da tempo il Cremlino ha elaborato una retorica ben strutturata che accusa l’Occidente di non riconoscere alla Russia il ruolo che le compete sul piano delle relazioni internazionali e di nascondersi dietro la protezione dei diritti umani per intromettersi nei suoi affari interni.

Un’eventuale sospensione della rappresentanza russa rientrerebbe perfettamente in questo tipo di retorica e forse non arrecherebbe ulteriori danni alla reputazione della Russia, ormai già compromessa.

E’ indubbio che finora le pressioni all’interno del CoE non abbiano avuto un impatto significativo, anche se negli anni scorsi, ed a partire dall’adesione della Russia, la soft law del Consiglio d’Europa e l’assistenza qualificata della Commissione di Venezia, hanno favorito l’adozione di riforme importanti, ad esempio nel campo dell’amministrazione della giustizia. Si pone dunque l’interrogativo se continuare su questa strada nella speranza di un risveglio della società civile o di un cambiamento di rotta, oppure tentare strade alternative.

Alla luce dell’urgenza imposta dalle attuali dinamiche della guerra del Donbass e di altri scenari di crisi, è probabilmente giunto il momento il momento di pensare fuori dagli schemi e trovare un bilanciamento tra le esigenze di tutela dei princìpi dell’organizzazione e la necessità realistica di una mediazione.

 

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