Reznik v. Russia: la Corte EDU ritorna sul bilanciamento della libertà di espressione.

di Francesca Romana Dau

La sentenza del 4 aprile 2013 (Ricorso n. 4977/05), anche se non ancora definitiva, ha visto i giudici di Strasburgo condannare la Russia in maniera unanime per la violazione dell’art. 10 della Convenzione sulla libertà di espressione.

Cuore della tutela dei diritti fondamentali, la libertà di espressione, che individua una sfera di autonomia del singolo a manifestare liberamente e spontaneamente le proprie opinioni nelle sedi ritenute più appropriate senza che vi possa essere un’indebita e illegittima interferenza delle autorità pubbliche, deve trovare secondo la Corte un adeguato bilanciamento con la protezione della dignità e della reputazione di terzi. Le misure restrittive della libertà descritta all’art. 10, inoltre, si devono confrontare con la tutela della sicurezza nazionale, dell’integrità territoriale, dell’ordine pubblico, con la prevenzione dei reati, con la segretezza di talune informazioni.

Il caso in questione, nello specifico, concerne il bilanciamento tra la libertà di espressione e i diritti altrui alla reputazione e alla dignità personale. Il ricorrente, il dr. Reznik, è un cittadino russo di professione avvocato e Presidente dell’Ordine degli avvocati di Mosca noto per la sua militanza a favore del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Nel dicembre 2003, Reznik era stato contattato da una televisione nazionale, la NTV Channel, per discutere con il direttore del Dipartimento moscovita del Ministero della giustizia di una vicenda per lo meno contraddittoria, avvenuta poche settimane prima e che aveva coinvolto una delle professioniste associate all’Ordine. La sig.ra A., avvocato difensore dell’uomo d’affari Chodorkovskij, durante una delle visite al suo assistito era stata oggetto di una perquisizione e accusata di portare con sé materiale non autorizzato ricevuto da Chodorkovskij (§ 8). A seguito di questo fatto, il Ministero della giustizia aveva chiesto all’Ordine di espellere la sig.ra A dall’ordine per violazione della legge e del Codice di condotta degli avvocati, dal momento che uno dei documenti riteneva presuntamente istruzioni rivolte a interferire con le indagini. Durante il talk show televisivo, Reznik aveva criticato l’atteggiamento delle autorità pubbliche russe sostenendo che non vi fosse stato nessun tentativo di portare al di fuori della sede carceraria documenti scomodi e che le autorità pubbliche avessero indebitamente fatto intrusione nella sfera dell’autonomia privata svolgendo una vera e propria “perquisizione” nei confronti della sig.ra A. Tra l’altro, la legge russa impone che le perquisizioni vengano fatte da agenti dello stesso sesso del perquisito e di fronte ad un testimone anch’esso dello stesso sesso, mentre gli agenti che si erano presentati alla sig.ra A erano di sesso maschile.

Di fronte a simili dichiarazioni, il Governo russo chiamava in causa Reznik per diffamazione: parlare pubblicamente, durante un programma in onda non solo sul territorio russo ma diffuso anche in Europa, di “indagine” invece che di “controllo” dei visitatori all’ingresso avrebbe significato manifestare delle accuse non supportate da prove. Inoltre, tenuto anche conto della “tradizionale diffidenza del pubblico russo nei confronti delle autorità pubbliche e dei loro rappresentanti” (§29), gli ascoltatori sarebbero stati più inclini a credere alle parole di un noto avvocato che a quelle di un direttore del Dipartimento del Ministero della giustizia e, al contempo, un operatore del diritto del livello di Reznik non avrebbe dovuto permettersi una simile confusione di termini.

Nel merito della decisione, la Corte doveva valutare se l’interferenza fosse stata “necessaria in una società democratica”, tenuto conto del fatto che tale affermazione era stata resa nel corso di un dibattito televisivo che aveva visto anche la presenza del direttore del Dipartimento del Ministero della giustizia, con tempi e modi per controbattere e confutare le dichiarazioni rese. Per definire il limite concreto della libertà di espressione di fronte alla protezione della reputazione di terzi, la Corte ha reiterato un test già consolidato nella precedente giurisprudenza. Per bilanciare e rendere il limite proporzionale, il requisito essenziale è l’esistenza di un legame oggettivo tra le dichiarazioni contestate e la persona chiamata in giudizio (§ 45). Mere ipotesi personali o percezioni soggettive che fanno percepire una dichiarazione pubblica come diffamatoria, non sarebbero sufficienti a far stabilire che una persona è stata direttamente bersaglio di un tentativo di diffamazione. Inoltre, le prove addotte dalle autorità nazionali non erano riuscite a dimostrare l’esistenza di un effettivo legame tra le dichiarazioni in oggetto e le lamentele addotte per diffamazione. La Corte europea ha richiamato il c.d. “effetto congelamento”, che la paura per le sanzioni esercita sull’esercizio della libertà di espressione, ricordando che questo effetto opera a detrimento della società nel suo complesso e concerne direttamente il parametro della proporzionalità.

Sulla base di tali argomentazioni, dunque, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto all’unanimità che il comportamento delle autorità russe fosse stato palesemente in contrasto con il contenuto dell’art. 10 della CEDU e non strettamente necessario e conforme ai parametri di una società libera e democratica, condannando Mosca al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente.

 

Riferimenti

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Case of Reznik v. Russia, Ricorso n. 4977/05, 4 aprile 2013, http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-118040#{%22itemid%22:[%22001-118040%22]}

R. Zaccaria, La libertà di espressione e giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Relazione al Convegno su “La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e influenza del diritto interno”, 25-26 settembre 2009, Università di Camerino.

Judges back Russian lawyer in “Khodorkovskiy” defamation case, 4 aprile 2013, www.humanrightseurope.org.

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