Parliamentary and presidential elections in the Ukrainian Republic of Donetsk and Lugansk

Le elezioni del “Parlamento” e del “Presidente” nelle Repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk

di Melania Petruzza

Domenica 11 novembre 2018 si sono tenute nella Regione del Donbass nell’Ucraina Orientale le elezioni per la carica di “Capo di Stato” e per i rappresentanti del “Parlamento” nelle Repubbliche Popolari di Donetsk (Doneckaja Narodnaja Respublik – DNR) e Lugansk (Luganskaja Narodnaja Respublika LNR), occupate già da 4 anni da forze separatiste filorusse. Le due Repubbliche si erano autoproclamate indipendenti dall’Ucraina dopo il referendum popolare del 12 maggio del 2014, atto unilaterale non riconosciuto da Kiev, dalle organizzazioni internazionali quali l’ONU, l’OSCE e l’UE e dalla comunità internazionale. Secondo la legislazione vigente, infatti, solo una consultazione a livello nazionale può avere legittimità e apportare modifiche all’integrità territoriale. A tale aspetto si aggiunga anche l’assenza di un quorum prefissato per la validità del referendum, l’impiego di registri elettorali non ufficiali risalenti al 2012 e, in alcuni casi, addirittura al 2004, nonché il mancato monitoraggio del corretto svolgimento del voto da parte di osservatori internazionali. In un contesto di questo tipo, è inevitabile sospettare manipolazioni elettorali, brogli, voti multipli e considerare invalidi i risultati forniti dagli organizzatori locali: il 75% di affluenza nella Regione di Donetsk e l’81% in quella di Lugansk, con il 90% di voti espressi in favore dell’indipendenza dall’Ucraina.

Per ciò che concerne il voto nelle due regioni dello scorso 11 novembre, esso ha riguardato l’elezione dei rappresentati del “Parlamento” e la carica di “Capo di Stato”. Le Costituzioni provvisorie e non riconosciute dal governo centrale adottate il 14 maggio del 2014 dalla Repubblica Popolare di Donetsk e, quattro giorni dopo da quella di Lugansk, stabiliscono per entrambe una forma di governo semipresidenziale nella quale il potere legislativo è esercitato da un “Parlamento” unicamerale (il Consiglio del Popolo) eletto a suffragio universale, costituito da 50 deputati nel caso di Lugansk e da 100 deputati nel caso di Donetsk, per un mandato di cinque anni in ciascun territorio. L’esecutivo, invece, viene affidato al “Governo” e al “Capo dello Stato”, quest’ultimo, eletto direttamente dal popolo, a sua volta nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su sua proposta, i ministri. Fin dall’inizio tali governi locali sono stati guidati da esponenti separatisti filorussi che si sono di volta in volta succeduti.

I candidati alla carica di “Presidente” della DNR sono stati ben cinque: Denis Pushilin, Elena Shishkina, Roman Khramenkov, Vladimir Medvedev e Roman Evstifeyev, mentre nella LNR hanno partecipato 4 candidati. Sulla base del sistema elettorale e prevedendo un unico turno, sarebbe stato eletto il candidato con il maggior numero di voti.

Come riportato dai presidenti delle commissioni elettorali delle due regioni, l’affluenza alla chiusura delle urne è arrivata all’80,1% nella Repubblica di Donetsk e al 77% nella Repubblica di Lugansk. Per quanto riguarda i risultati, il voto ha confermato a Lugansk il già presidente pro tempore Leonid Pasechnik, con il 68,4% dei voti, ex ministro per la Sicurezza della regione e ancora prima capo di dipartimento del Servizio di sicurezza ucraino, nonché leader della formazione politica “Pace per Lugansk”, che ha vinto le elezioni parlamentari raggiungendo il 74,12% dei voti, seguita con il 25,16% da “Unione Economica di Lugansk”. Anche a Donetsk, in linea con i pronostici fatti alla vigilia del voto, è stato confermato con il 60,4% il presidente in carica e presidente del Parlamento nel 2014 e dal 2015 al 2018, Denis Pushilin. Il suo partito “Repubblica di Donetsk” ha, inoltre, ottenuto la maggioranza in Parlamento con il 72,5% dei voti sulla seconda forza politica, ovvero il movimento “Donbass Libero” che ha ottenuto il 26% dei suffragi.

Altro aspetto da sottolineare è che tali elezioni anticipate si sono rese necessarie nella Repubblica popolare di Lugansk dopo il vuoto di potere creatosi a causa dei dissidi con il precedente capo di Stato Igor Plontitsky, destituito nel novembre del 2017 in favore proprio di Pasechnik. Nella Repubblica Popolare di Donetsk, invece, le elezioni sono state indette a seguito dell’uccisione il 31 agosto del Presidente e Capo del Governo Alexander Zakharchenko, l’uomo forte della regione e simbolo della lotta per l’indipendenza.

Mancato riconoscimento delle elezioni e critiche alla loro democraticità

Ucraina, Stati Uniti e Unione Europea hanno condannato il voto, non riconoscendo come legittime le elezioni nella Regione del Donbass dell’11 novembre. Secondo gli osservatori internazionali la popolazione si sarebbe recata alle urne al grido “con la Russia nel cuore” (uno dei principali slogan della campagna elettorale) e, soprattutto, sotto la minaccia delle truppe russe nei territori occupati. Inoltre, molte autorità locali per persuadere gli elettori hanno istituito banchetti vicino ai seggi elettorali, dove venivano regalati biglietti della lotteria, ricariche telefoniche, voucher e buoni sconto.

Lo stesso Presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko ha affermato che queste votazioni non saranno mai legittimate da nessuno, in quanto non rispettano la legge dello Stato centrale. Tale legge, infatti, prescrive di non considerare valide elezioni organizzate da istituzioni non riconosciute e fuori dalla supervisione governativa, in cui sono totalmente assenti i controlli della polizia ucraina o di una Commissione elettorale centrale, e che non permettono a forze politiche filo ucraine di candidarsi.

Come si può leggere in una dichiarazione elaborata al termine della seduta speciale del Consiglio Permanente dell’OSCE del 12 novembre 2018, le elezioni nelle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk devono ritenersi nulle perché contrastano con lo spirito degli accordi di Minsk, firmati da Ucraina, Russia, DNR e LNR, sotto la supervisione dell’OSCE il 5 settembre del 2014. Il Protocollo di Minsk costituito da 12 punti, prevede, oltre il cessate il fuoco e il divieto di persecuzione delle persone coinvolte negli eventi che hanno avuto luogo in queste aree, anche la garanzia di una maggiore autonomia delle due regioni. Nello specifico, l’accordo sancisce una decentralizzazione del potere attraverso l’adozione di una legge sullo statuto speciale per le autorità locali e lo svolgimento di elezioni che non pregiudichino l’integrità territoriale e la sovranità dello Stato centrale, nel rispetto degli standard di democraticità dell’OSCE, sotto il suo monitoraggio e in conformità con la legislazione e la Costituzione Ucraina.

Sulla base di quanto stabilito nel documento, il 16 settembre 2014 è stata infatti approvata la legge ucraina sulla procedura speciale di autogoverno in alcuni distretti di Donetsk e Lugansk e modificata ad aprile dello scorso anno, prorogando tale status speciale fino al 31 dicembre del 2019, con la speranza che ciò possa agevolare il ripristino delle condizioni necessarie per una soluzione pacifica del conflitto nell’Ucraina Orientale.

Inoltre, nonostante l’adozione l’11 Febbraio 2015 di un ulteriore pacchetto di misure contenute nell’accordo di Minsk II dopo il vertice tra Ucraina, Russia, Francia e Germania per dare nuovo slancio al protocollo rimasto nei fatti inattuato, quello che si può sottolineare ad oggi è la mancanza di una revisione della Costituzione Ucraina che garantisca una reale autonomia politica alle (autoproclamate) Repubbliche di Donetsk e Lugansk. La Costituzione, infatti, pur riconoscendo già una forma di decentramento (ma solo amministrativo) e la divisione del territorio in 24 oblast (regioni), tra cui due città a statuto speciale Kiev e Sebastopoli (persa nel 2014 dopo la dichiarazione di indipendenza della Crimea), 490 distretti, insediamenti, città, paesi e villaggi (Sezioni IX e XI della Costituzione), continua comunque a mantenere fede ai principi e alla difesa dell’integrità e della sovranità territoriale sanciti dagli artt. 2, 17, 37, 102 e 104.

Fonti

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