HIRAK BEHIND CLOSED DOORS. THE EVOLUTION OF ALGERIAN PROTEST MOVEMENT WHILE FACING CORONAVIRUS

L’HIRAK “A PORTE CHIUSE”. L’EVOLUZIONE DEL MOVIMENTO DI PROTESTA ALGERINO DI FRONTE AL CORONAVIRUS

Di Sara Zanotta1

“A huis clos !” – “A porte chiuse!” – è con queste parole condivise da un manifestante algerino sui social network che si può descrivere la recente evoluzione dell’hirak, il movimento di protesta che ha caratterizzato l’Algeria per tutto il 2019, chiedendo un cambiamento in senso democratico del paese. Per 56 venerdì consecutivi dal 16 febbraio 2019, giorno che segna ufficialmente la nascita dell’hirak, per tredici mesi, ogni settimana grandi folle di manifestanti hanno percorso pacificamente le strade algerine. E avrebbero continuato se solo non avessero trovato lungo il loro tragitto un grande ostacolo, la diffusione della pandemia causata dal SARS-CoV-2. L’Algeria, che al momento della scrittura di questo articolo (18/04/2020) conta 2418 casi confermati, è uno dei paesi più colpiti d’Africa e, di fronte a questa grave situazione, il governo, seguendo la linea di numerosi altri paesi, sia democratici che non, ha dovuto adottare una serie di misure che limitassero al minimo gli assembramenti. Di conseguenza, anche l’hirak ha dovuto trovare un modo per reinventarsi, in maniera tale da non correre il rischio di estinguersi e al tempo stesso per cercare di sfruttare questo ostacolo a proprio vantaggio, con lo sviluppo di una crisi sanitaria ed economica che potrebbe ulteriormente indebolire il regime.

Il 13 marzo, per il cinquantaseiesimo venerdì consecutivo, la popolazione aveva scelto di dimostrare, nonostante le richieste dalle autorità di non farlo. In migliaia, infatti, avevano rifiutato di seguire quegli avvertimenti, considerandoli solo un modo per fermare il movimento. Solo la settimana successiva, grazie all’intervento di artisti, influencer, giornalisti, attivisti e intellettuali la dimostrazione è stata cancellata. Così, a partire dal 20 marzo, il cinquantasettesimo venerdì di hirak, non c’era nessuno, se non la polizia, per le strade di Algeri. Non c’erano manifestanti, slogan e bandiere, o almeno non erano lì, ma erano altrove, nelle loro case, tenendo comunque in vita il movimento. Difatti, secondo il presidente della Lega Algerina dei Diritti dell’Uomo, Saïd Salhi, la rabbia sarebbe più grande che mai, poiché, nonostante si chieda alla popolazione di restare a casa, non vi è un programma a livello sociale capace di sostenerli. Al tempo stesso, dallo scoppio della pandemia il numero di arresti di oppositori politici è aumentato e tra loro si troverebbero anche un giornalista e degli attivisti, che mostravano il loro dissenso tramite i social network.

LE MISURE GOVERNATIVE

Il governo algerino il 12 marzo ha ordinato la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, delle università e degli istituti di formazione professionale fino al 5 aprile, misura poi successivamente prorogata fino al 19 aprile. A questo si aggiungeva la sospensione della preghiera del venerdì, la chiusura delle moschee e delle frontiere terrestri con i paesi vicini, oltre che la sospensione immediata dei voli da e verso l’Algeria. Si chiedeva alla popolazione di evitare gli assembramenti, senza però, almeno fino a quel momento, prevedere un esplicito di divieto di manifestazione. Difatti, il giorno successivo, il 13 marzo, si è tenuta comunque la protesta del venerdì, in cui i manifestanti hanno ignorato le norme governative riguardanti il distanziamento sociale e le richieste di restare a casa. Il timore era che si trattasse solo di una mossa del governo per diffondere la paura del virus ed evitare che le proteste avessero luogo. Infatti, quando il 17 marzo il presidente Tebboune ha annunciato il divieto di manifestazioni, i social media hanno visto la diffusione sia di idee legate ad una decisione del regime di voler far sembrare più grave la malattia solo per fermare il movimento di protesta, sia di teorie del complotto, che supponevano addirittura che fosse stato lo stesso regime algerino a creare il virus. Tuttavia, è stato fatto anche buon uso di questi mezzi, rendendo la protesta virtuale e utilizzando l’hirak anche come modo per far conoscere le tecniche per evitare di contrarre il virus.

LA TRASFORMAZIONE DELL’HIRAK

Gli attivisti dell’hirak hanno quindi provato a trarre un vantaggio dalla situazione, mostrando la decisione di attenersi al distanziamento sociale come dimostrazione del loro patriottismo e senso civico. Ad esempio, hanno scattato dei selfie con cartelli con scritti messaggi in cui si chiedeva di cooperare restando a casa.

Quindi, l’hirak non è scomparso, ha solo mutato i metodi di protesta, diventando un hirak à huis clos, sfruttando a suo vantaggio le opportunità che i social network possono offrire per una mobilitazione virtuale, andando incontro ad un’evoluzione della propria strategia, basata non più sull’occupazione dello spazio pubblico, ma sull’uso degli spazi privati, protestando dal balcone, dalla finestra o dal giardino di casa.

Una piattaforma largamente utilizzata è Wersh Derna, un sito internet indipendente fondato nel 2017 dal giovane farmacista Riadh Touat. Inizialmente creata con l’obiettivo di combattere gli stereotipi negativi legati ai giovani algerini, a partire dal 22 febbraio 2019 aveva iniziato a documentare l’Hirak. È così diventato un nodo centrale per la diffusione della nuova protesta a porte chiuse attraverso lo sviluppo di due diverse campagne: una in collaborazione con artisti e giornalisti per chiedere alla popolazione di rimanere a casa e un’altra per promuovere contatti via Internet con giovani medici, in modo tale da ridurre le visite in ospedale quando non necessarie e, conseguentemente, l’esposizione al virus.

Inoltre, alla mobilizzazione virtuale si sono uniti anche numerosi esponenti della diaspora algerina. Tra questi troviamo gli editorialisti algerini sparsi per tutto il mondo che collaborano con l’emittente Radio Corona Internationale, fondata proprio per far fronte all’evoluzione delle proteste di fronte alla minaccia del COVID-19. Si tratta di un’emittente online sulla quale si tiene un programma della durata di un’ora e mezza due volte a settimana, il martedì e il venerdì, per coincidere con i giorni in cui si sarebbero dovute tenere le manifestazioni di piazza.

IL FUTURO DELL’HIRAK

Quale sarà quindi il futuro dell’hirak? Saranno sufficienti questi metodi alternativi per mantenere vive le istanze di democratizzazione? Riuscirà a resistere lontano dalle piazze e ad ottenere risultati tangibili una volta terminata la pandemia? Il futuro del movimento, ovviamente, è incerto e vi sono tre possibili scenari che potrebbero realizzarsi, nessuno dei quali può al momento essere escluso.

Il primo vede l’affievolirsi del movimento di protesta, che essendo nato e avendo mostrato la propria forza proprio nelle contestazioni di piazza potrebbe trovare forti limiti nell’uso di mezzi meno concreti come la comunicazione attraverso i social network, essendosi trasformata quest’ultima da metodo ausiliario ad unico canale per mostrare la propria dissidenza. Al tempo stesso, il regime algerino potrebbe trarre vantaggio dalle restrizioni attualmente in vigore, attuando misure sempre più restrittive. Ad esempio, il 17 marzo il presidente ha annunciato che la pubblicazione di informazioni false e ingannevoli per diffondere ansia e paura tra la popolazione sarà duramente sanzionata. Alcuni attivisti parlano anche di “guerra sui media”, perché continua la campagna della stampa algerina per destabilizzare il movimento, ad esempio basandosi su una delle caratteristiche più eclatanti dell’Hirak: la mancanza di una leadership.

Il secondo scenario, opposto al primo, vede un acuirsi delle tensioni tra le autorità e la popolazione, rafforzando le istanze di cambiamento. Questo dipenderà dalla capacità del governo di gestire la crisi sia a livello sanitario sia a livello economico. Il regime non gode di grande fiducia da parte della popolazione e qualsiasi decisione presa (o non presa) potrebbe ulteriormente intensificare le tensioni. Le risorse finanziare sono limitate e il calo del prezzo del petrolio potrebbe avere effetti disastrosi, a cui si aggiungerebbero le crescenti difficoltà economiche vissute dalla popolazione, sia per l’alto tasso di disoccupazione sia, per chi ha un lavoro, la riduzione del potere d’acquisto. Il fallimento del sistema sanitario algerino e l’incapacità del regime di gestire l’attuale complicata situazione potranno aprire nuove opportunità all’hirak per portare ad una vera democratizzazione del paese.

Infine, il terzo scenario è quello di una continuazione, come per inerzia, della situazione che abbiamo visto nell’ultimo anno: una convivenza tra un movimento di protesta pacifico e un establishment che ha dato solo dei vaghi e limitati segni di cambiamento, nonostante le dimissioni dello storico presidente Bouteflika.

Solo l’evoluzione della crisi nei prossimi mesi sarà capace di dare indicazioni più precise su cosa porterà per l’Algeria il ritorno alla “normalità”. Al momento, infatti, qualsiasi previsione che indichi con certezza la vittoria di uno o dell’altro attore sarebbe affrettata. È indubbio però che, almeno fino ad oggi, l’hirak ha continuato a dare prova di grande resilienza e flessibilità, riuscendo a trasformarsi da movimento di piazza a un movimento “a porte chiuse”.

FONTI

1 Studentessa di Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Milano.

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