LA DESTITUZIONE DEI GIUDICI DELLA SALA CONSTITUCIONAL DELLA CORTE SUPREMA DI EL SALVADOR

di Christian Mosquera*

I recenti eventi che hanno coinvolto i vertici delle istituzioni hanno dimostrato come El Salvador sia ancora un paese con un basso livello di maturità democratica. Infatti, alcune istituzioni dello Stato si sono rivelate molto fragili e vi è la tendenza all’accentramento del potere nelle mani del Presidente. Come in altre esperienze autoritarie della regione, e non solo, il carismatico Presidente Nayib Bukele sta tentando di risolvere i principali problemi del suo paese, ma lo sta facendo anche a costo di minare i princìpi che stanno alla base dello Stato di diritto.

Nel 2018, il Presidente Bukele aveva fondato il partito conservatore di centro-destra Nuevas ideas (NI), per potersi presentare alle elezioni presidenziali del 2019, ma vi erano stati dei ritardi nella sua registrazione come partito politico e, poiché nel paese centroamericano è un requisito stabilito a livello costituzionale l’essere iscritti ad un partito legalmente riconosciuto per poter essere eletti alla carica di Presidente (art. 151 Cost.), Bukele aveva aderito temporaneamente ad una piccola formazione di centro-destra, la Gran Alianza por la Unidad Nacional (GANA), che aveva sostenuto la sua candidatura. Così Bukele è stato eletto nel febbraio 2019 e la sua vittoria ha determinato la fine dello storico bipartitismo che aveva caratterizzato il paese dalla fine della guerra civile (1980-1992). Infatti, da allora vi era stata un’alternanza al potere dei due maggiori partiti, ovvero, il partito di centro-sinistra Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN) e il partito conservatore di centro-destra Alianza Republicana Nacionalista (ARENA).

Durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali, Bukele si era definito come un “candidato antisistema”, aveva accusato i partiti tradizionali ARENA e FMLN di non aver saputo risolvere i gravi problemi del paese, cioè, la corruzione, la diseguaglianza economica, la povertà e, soprattutto, il grave problema della sicurezza provocato dalla violenza delle bande criminali, ed aveva promesso che avrebbe adottato tutte le misure necessarie per risolverli.

Come nella maggior parte dei paesi dell’America latina, la forma di governo presidenziale che la Costituzione salvadoregna sancisce è caratterizzata da una pronunciata preminenza del potere esecutivo rispetto al potere legislativo e a quello giudiziario. Perciò, per ridurre la possibilità che il Presidente controlli facilmente la maggioranza parlamentare, e quindi per evitare il rischio di concentrazione del potere, nell’ordinamento salvadoregno si è stabilito di non fare coincidere le elezioni presidenziali con quelle politiche. Infatti, la durata del mandato del Presidente è di cinque anni, mentre il Parlamento si rinnova ogni tre anni. Se entrambe le elezioni si tenessero contemporaneamente si potrebbe verificare che il partito del candidato vincitore alle presidenziali vincesse anche le elezioni politiche.

Nei primi due anni di governo, il Presidente non ha potuto contare su di un gruppo parlamentare maggioritario o una coalizione di partiti che sostenesse le sue iniziative in Parlamento­­. Alle elezioni politiche del 2018, infatti, sugli 84 seggi totali del Parlamento monocamerale, il partito ARENA ne aveva ottenuti 37, il partito FMLN 23, mentre GANA ne aveva conseguiti solamente 10. Alle elezioni legislative del 28 febbraio 2021 invece la composizione del Parlamento è cambiata radicalmente: il partito del Presidente NI si è fortemente imposto sugli altri partiti ottenendo il 66,46% dei voti, pari a 56 seggi.

La campagna elettorale di NI per le elezioni politiche si è incentrata sugli stessi temi promossi da Bukele durante la sua campagna per le presidenziali del 2019, ma a ciò si è aggiunta la promessa di “limpieza de la casa”, ovvero la necessità di rimuovere i presunti funzionari corrotti nominati durante la precedente legislatura.

L’ampio consenso ottenuto dal partito NI alle elezioni legislative del febbraio 2021 ha rafforzato enormemente il potere del Presidente che, potendo ora contare su una maggioranza qualificata di due terzi al Parlamento, non avrebbe bisogno di formare un’alleanza con altri partiti nemmeno, ad esempio, per modificare la Costituzione.

Forte di questa situazione, tra le prime misure adottate dal Presidente dopo le elezioni vi è stata la rimozione in blocco di tutti i componenti della Sala constitucional. Bisogna ricordare che, nell’ordinamento salvadoregno, la Sala constitucional è l’organo competente ad esercitare il controllo di costituzionalità delle leggi ed è una Sala autonoma all’interno della Corte suprema[1]. La promessa di limpieza de casa si è realizzata il 1° maggio 2021 durante la prima seduta del Parlamento che ha destituito il procuratore generale Raúl Melara e i cinque giudici della Sala constitucional[2] perché ritenuti ostili al Presidente Bukele. La sera dello stesso giorno, inoltre, senza discussione sulle candidature, l’organo legislativo ha nominato il nuovo procuratore generale e i nuovi giudici costituzionali.

Le relazioni tra il procuratore generale Melara e il Presidente Bukele erano iniziate a deteriorarsi, nel settembre del 2020, quando Melara aveva avviato un’indagine contro il governo del Presidente per negoziati segreti con le bande criminali del paese, al fine di ridurre il tasso di omicidi che è tra i più alti al mondo. Melara, nel novembre 2020, inoltre, aveva avviato un’altra indagine nei confronti di alcuni ministri del governo di Bukele, tra cui quello della salute, per irregolarità nell’utilizzo di denaro pubblico durante la gestione della pandemia da coronavirus.

Per quanto riguarda i giudici costituzionali, invece, i problemi con il Presidente erano iniziati soprattutto a partire dall’8 giugno 2020, quando la Sala constitucional aveva deciso di annullare alcuni provvedimenti emergenziali adottati dall’esecutivo e dal legislativo nell’ambito della gestione della pandemia da coronavirus. Da allora Bukele aveva continuato ad accusare pubblicamente i giudici della Sala constitucional di volerlo ostacolare nella gestione della pandemia.

Le argomentazioni a fondamento della decisione dei parlamentari di rimuovere il procuratore generale Melara si sono basate sulla presunta “mancanza di imparzialità” nello svolgimento delle sue funzioni perché avrebbe avuto legami con il partito ARENA. Le motivazioni della destituzione dei giudici costituzionali, invece, hanno coinciso con le accuse che Bukele aveva fatto alla Sala constitucional, ovvero, di aver abusato del loro potere annullando alcune misure emergenziali adottate dall’esecutivo e dal legislativo.

La rimozione dei giudici si è basata sulla prerogativa parlamentare stabilita all’art. 186, c. 1, Cost., che prevede che i giudici della Corte suprema, compresi anche quelli della Sala constitucional, possano essere destituiti dal Parlamento «per cause specifiche, previamente stabilite dalla legge» e con il voto della maggioranza qualificata dei due terzi dei deputati. Tuttavia, bisogna ricordare che nel paese centroamericano non vi sono norme che stabiliscano tali cause specifiche per la  rimozione dei giudici della Corte suprema.

Il giorno della destituzione, i giudici della Sala constitucional hanno tentato, come ultima risorsa per evitare la propria rimozione, di dichiarare incostituzionale la decisione del Parlamento per violazione dell’art 85 Cost., relativo alla forma di governo repubblicana, democratica e rappresentativa, e dell’art 172, c. 3 Cost., riguardante l’indipendenza del potere giudiziario. Tale dichiarazione di incostituzionalità, tuttavia, non poteva produrre effetti in quanto era una dichiarazione emessa da giudici destituiti e ha assunto solamente il valore di un atto di protesta non vincolante e, inoltre, i nuovi giudici erano già stati nominati.

Nel suo pronunciamento “simbolico e di protesta”, la Sala constitucional ha sostenuto che la destituzione dei giudici costituzionali abbia rappresentato «un intento por eliminar los controles reales al ejercicio del poder conferido al Ejecutivo, porque así se tendría en apariencia a una sala que ejerce el control de constitucionalidad sobre los órganos Legislativo y Ejecutivo, pero en la práctica sería un órgano inoperante».

A livello internazionale, è giunta la condanna di diversi Stati e organismi internazionali, tra questi, l’Organizzazione degli Stati Americani, la cui Segreteria Generale il 2 maggio ha comunicato di essere preoccupata per la situazione in El Salvador e ha sostenuto che tutte le azioni che minacciano lo stato di diritto, tra queste, l’indebolimento del potere giudiziario, possono portare solamente ad avere una società ingiusta, basata sull’impunità e sulle persecuzioni politiche.

Bukele comunque non è nuovo a scontri con le istituzioni, basti ricordare quando aveva accusato i deputati dei partiti di opposizione di avere legami con le bande criminali. Ma l’episodio più grave si è verificato nel febbraio 2020, quando il Parlamento non era ancora composto dai suoi fedeli e il Presidente aveva sfidato i legislatori facendovi irruzione circondato da alcuni militari per indurre i deputati ad approvare un finanziamento di 109 milioni di dollari destinato al piano per la sicurezza nazionale.

FONTI:

* Dottorando in Diritto e scienze umane presso l’Università degli Studi dell’Insubria.

[1] Per un approfondimento sulle caratteristiche generali della giustizia costituzionale in America latina: J. F. Palomino, Los orígenes de los tribunales constitucionales en Iberoamérica, in E. Ferrer Mac-Gregor (coord.), Derecho procesal constitucional, México, 2003; H. Nogueira, Los tribunales constitucionales de Sudamérica a principios del siglo XXI, in Ius et praxis, n. 2, 2003, pp. 59 e ss.

[2] Trattasi dei giudici costituzionali José Óscar Armando Pineda Navas, Aldo Enrique Cáder Camilot, Carlos Sergio Avilés Velásquez, Carlos Ernesto Sánchez Escobar e Marina de Jesús Marenco de Torrento.

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