La crisi della Corte costituzionale della Bosnia Erzegovina tra l’etnopolitica e il processo di integrazione europea

di Azra Šahman*

Fonte foto: rtrs.tv

Dal mese di maggio del 2023 la Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina si presenta senza alcun giudice rappresentativo del popolo costitutivo serbo. Al momento, il numero di giudici presenti nella Corte è infatti di sei sui nove previsti dalla Costituzione, portando uno dei massimi organi di garanzia costituzionale ad affrontare negli ultimi mesi una grave crisi istituzionale, la quale ha reso difficoltoso lo svolgimento delle funzioni della stessa. Il verificarsi di questa crisi si può ricondurre in parte alle decennali dinamiche e contrasti politici interni tra i diversi popoli costitutivi, e dall’altra all’ostilità dei rappresentanti della componente serba nei confronti dei soggetti internazionali presenti come elementi di garanzia nella democrazia consociativa della Bosnia Erzegovina (BiH).

La Corte costituzionale della BiH rappresenta uno degli elementi fondamentali del complesso sistema di organi che compone l’assetto bosniaco. Come le Corti costituzionali presenti nei differenti sistemi nazionali, anche la Corte della BiH svolge un ruolo essenziale di controllo sul rispetto della particolare Costituzione bosniaca, contenuta nell’accordo di Dayton del 1995, il quale pose fine al conflitto civile.

Il meccanismo di garanzia costituzionale, oltre a prevedere organi di controllo costituzionale a livello delle due Entità che compongono lo Stato (Republika Srpska o RS e Federazione croato-musulmana o FBiH), si presenta anch’esso come un organo in cui prevalgono i criteri di rappresentanza etnica di cui è intriso tutto il sistema istituzionale bosniaco. Questi criteri hanno un ruolo di una certa importanza nella democrazia consociativa che si vuole implementare; tuttavia, per un organo come la Corte costituzionale, si auspica che questa possa dar prova della massima indipendenza dalle possibili influenze politiche, e nel caso della BiH, dalla etno-politica.

 I giudici costituzionali vengono eletti sulla base del principio federale: quattro sono i giudici eletti dalla Camera dei Rappresentanti della FBiH e gli altri due vengono eletti dall’Assemblea Nazionale della RS. La Costituzione bosniaca all’articolo 6 comma 1 lettera a) prevede la presenza di ulteriori tre giudici di origine internazionale, ovverosia che non devono essere cittadini della BiH o di Stati confinanti. Tali tre giudici vengono eletti dal Presidente della Corte europea dei diritti umani (CEDU), previa consultazione con la Presidenza della BiH, fungendo da garanzia per una corretta implementazione della Costituzione di Dayton.

La finalità dell’istituzione dei giudici internazionali negli accordi di Dayton fu quella di sostenere le istituzioni della BiH nella costruzione del nuovo Stato multietnico grazie ad una garanzia esterna, senza prevedere una scadenza per il mandato dei giudici, a differenza di ciò che avvenne nella Corte costituzionale della FBiH, in cui i giudici internazionali si dimisero dopo il mandato previsto di cinque anni.

Tuttavia, è proprio questo ultimo punto ad essere l’origine delle recenti tensioni tra RS e organi centrali della BiH, in quanto dal 2023 non è presente alcun giudice proveniente dall’Entità serba all’interno della composizione della Corte costituzionale.

 L’élite politica serba sottolinea da più di un decennio come la presenza di giudici internazionali sia disfunzionale nell’assetto bosniaco, o meglio, viene vista come un’interferenza nell’esercizio della sovranità nazionale, in quanto i giudici non vengono designati sovranamente dalle istituzioni bosniache ma vengono, a loro dire, “imposti” dall’esterno. La contrarietà degli esponenti serbi si è manifestata in particolar modo nel 2015 con la decisione della Corte costituzionale BiH in cui venne dichiarata l’incostituzionalità del “Dan Republike Srpske” (giornata della RS) con ricorrenza il 9 gennaio, essendo tale data considerata come contraria al divieto di discriminazione nei confronti degli altri popoli costitutivi. Nonostante ciò, la RS continua a celebrare questa giornata violando la decisione della Corte.

Altresì nel 2021 la RS ha adottato una normativa relativa al trasferimento unilaterale di competenze dallo Stato centrale all’Entità serba, palesando l’intenzione di indebolire le istituzioni centrali al fine di rafforzare e allargare le competenze della RS. La Corte si è pronunciata sulla questione dichiarando la suddetta normativa incostituzionale. Nel 2022 si è riconfermata l’ostilità della RS nei riguardi della Corte, ignorando sia la pronuncia di incostituzionalità riguardante la normativa della RS sulla registrazione degli immobili sia la pronuncia sulla mancata attuazione nel 2023 della prima sentenza relativa alla dichiarazione di incostituzionalità del 2022 sopracitata, asserendo espressamente l’intenzione di non rispettare le sentenze emesse.

La crisi all’interno della Corte ebbe inizio con il pensionamento dei due giudici Miodrag Simić e Mato Tadić. La FBiH non è riuscita ad eleggere un giudice che sostituisca Tadić, mentre l’Assemblea Nazionale della RS non ha provveduto ad eleggere un nuovo giudice lasciando il seggio ricoperto da Simić vacante; ciò rese più difficoltoso il raggiungimento di una maggioranza nella sessione plenaria della Grande Camera avente compiti rilevanti e in particolare modo le decisioni sui casi inerenti ai diritti umani.

Nell’aprile del 2023, l’unico giudice serbo rimasto, il vicepresidente della Corte Zlatko Knežević, ha chiesto un congedo a seguito delle richieste di dimissioni dell’Assemblea Nazionale della RS, cosa che avrebbe di fatto significato la paralisi della Corte, rendendole impossibile operare in sessione plenaria dal maggio 2023. La Corte ha a sua volta deciso di destituire il giudice serbo dalle funzioni prima del termine del mandato, già abbreviato dopo la richiesta di accedere al pensionamento anticipato.

In risposta ai vertici della RS e affinché non si bloccassero i lavori della Corte il 19 giugno 2023 venne abrogato l’articolo 39 del regolamento della Corte stessa. La Costituzione BiH all’articolo 6 comma 2 lettera a) prevede che il quorum costitutivo (e la maggioranza decisionale) sia di cinque giudici indipendentemente dall’origine di questi; tuttavia, in aggiunta l’articolo abrogato del regolamento prevedeva quanto segue: La sessione plenaria della Corte Costituzionale, alla quale non partecipano almeno tre giudici eletti dalla Camera dei Rappresentanti del Parlamento della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e almeno un giudice eletto dall’Assemblea Nazionale della Republika Srpska, è rinviata fermo restando che, qualora si ripeta la medesima situazione senza giustificato motivo, la sessione verrà svolta regolarmente. Con il ritiro di Knežević, le sessioni sarebbero state rimandate e di fatto avrebbero bloccato le funzioni della Corte.

A distanza di breve tempo, l’organo legislativo della RS, opponendosi all’idea che le decisioni potessero essere prese in assenza di qualunque giudice serbo, ha adottato una delibera secondo cui le decisioni della Corte costituzionale della BiH non sarebbero entrate in vigore sul territorio della RS. In seguito, l’Assemblea Nazionale serba ha adottato un decreto  per stabilire che anche le decisioni dell’Alto Rappresentante non sarebbero entrate in vigore – dunque non applicate – nell’Entità serba. Inoltre, nella decisione sopracitata sulle pronunce della Corte costituzionale della BiH nella RS, all’articolo 3 viene riportato come i soggetti obbligati ad agire secondo le disposizioni di questa legge sono esentati dalla responsabilità penale prevista dalla legislazione della BiH, in relazione ad atti criminali legati all’esecuzione di questa legge e tali soggetti verranno protetti dalle istituzioni della RS. La ratio della decisione è quella di mettere pressione alle istituzioni centrali affinché queste adottino una normativa concernente la nuova composizione della Corte senza giudici internazionali. Nell’agosto del 2023 c’è stato un tentativo di soluzione attraverso la creazione di un gruppo di lavoro che ha coinvolto anche i partiti della FBiH  giungendo però ad esiti insoddisfacenti; le forze politiche non serbe si sono appellate alla Costituzione, la quale all’articolo 6 comma 1 lettera d) prevede la possibilità di revisionare i criteri di selezione dei giudici stranieri, ma non prevede l’instaurazione di una Corte completamente nazionale, come invece auspicherebbe il vertice serbo.

La critica proveniente sia dagli esponenti dei vertici politici serbi sia in parte da quelli croati, si fonda su un presunto sostegno dei giudici internazionali alle posizioni dei giudici bosgnacchi all’interno della Corte, facilitando in questo modo la posizione minoritaria della componente serba e croata in sede decisionale.

In realtà, la funzione dei giudici internazionali si può intendere come funzione moderatrice. Difatti, i giudici stranieri partecipano a un numero limitato di casi (prevalentemente per le decisioni inerenti alla revisione costituzionale) e diversi sono stati i casi in cui di fronte a decisioni altamente sensibili come, ad esempio, la questione della giornata celebrativa della RS sopracitata, la maggioranza costituita si è presentata variegata comprendendo il voto di tutti i  giudici stranieri, di tre giudici dalla FBiH, mentre i due giudici serbi furono messi in minoranza e un giudice era assente. Un altro esempio è quello inerente alle decisioni demaniali sopracitate, dove la maggioranza è stata costituita dai giudici internazionali e da cinque giudici nazionali su sei. In altre parole, i giudici internazionali non possono decidere senza i giudici nazionali e dai dati osservati circa il 60 % delle delibere di revisione costituzionale decise dalla Corte dal 2010 al 2021 sono state prese all’unanimità, mentre il 40% circa a maggioranza.

Le dinamiche a cui è soggetta la Corte e le relazioni tra Entità e Stato centrale spiegano il perché la presenza dei giudici internazionali risulta ancora necessaria. Alla luce degli eventi non si può pensare che i giudici nazionali siano del tutto indifferenti di fronte alle pressioni politiche che i partiti etno-nazionalisti esercitano su di essi, e ciò non è emerso soltanto recentemente con il caso Knežević. Si ricorda per l’appunto il caso del giudice serbo Krstan Simić, che nel 2010 venne rimosso dall’incarico a causa delle dichiarazioni relative all’allora premier della RS, Milorad Dodik, al quale si riferì usando la parola “capo”, andando contro il proprio dovere di indipendenza dalla sfera politica asserito all’articolo 2 parte I del regolamento sul funzionamento della Corte.

Nella propria dichiarazione del 27 aprile 2023 la Corte costituzionale ha condannato espressamente le azioni incostituzionali della RS. La Corte ritiene di essere indipendente e la funzione principale che le spetta è quella di fungere da custode della Costituzione, del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Infatti, ogni membro prima di assumere la carica deve prestare giuramento sulla difesa della Costituzione durante l’esercizio delle proprie funzioni.

L’organo opera attraverso un meccanismo “correttivo” dei tre poteri istituzionali; tuttavia, non è obbligato a rendere conto né tantomeno a sottomettersi a questi poteri. Questo punto è fondamentale in virtù del rispetto del principio dello stato di diritto, requisito fondamentale per l’avanzamento del processo di adesione all’Unione Europea, iniziato per la BiH nel 2022. Tuttavia, i recenti avvenimenti, oltre a minare l’integrità e l’effettivo funzionamento dello stato, e dunque a procrastinare l’introduzione di una Corte esclusivamente nazionale, fanno notare come l’idea di uno stato unitario sia molto debole almeno per la componente serba e in parte per quella croata, senza aggiungere le ulteriori problematiche che affliggono il paese (tra cui povertà, disoccupazione, bassa natalità, fuga di cervelli). Questo dato, oltre a mantenere in perenne contrapposizione le istituzioni centrali e il conflitto come un esito non improbabile, rischia di compromettere l’avvicinamento della BiH alle istituzioni europee, a dispetto degli impegni profusi in questa direzione.

Nonostante ciò, la BiH non si mostra del tutto disfunzionale di fronte ai criteri indicati dall’Unione Europea in sede di candidatura del paese. Difatti, nella sessione plenaria del Parlamento europeo del 12 marzo 2024, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha sottolineato come la BiH abbia  compiuto grandi passi in avanti a tal punto da rendere possibile un avanzamento del processo di adesione. Gli sviluppi che hanno convinto la Commissione europea a raccomandare i negoziati sono stati principalmente l’allineamento alla politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea in aggiunta alle riforme in materia di prevenzione del conflitto di interessi, la normativa antiriciclaggio, il contrasto al terrorismo finanziario, la lotta contro la corruzione e contro il crimine organizzato.

Sebbene la Commissione sottolinei la necessità di ampliare il numero di riforme anche dal punto di vista qualitativo, intervenendo nelle materie di maggiore criticità come il sistema giudiziario e la legge elettorale, la capacità di raggiungere livelli soddisfacenti dei criteri prestabiliti apre uno spiraglio di luce in relazione alle vicende di politica interna che, come detto, rischiano di vanificare i cambiamenti intrapresi verso l’adeguamento ai requisiti dell’Unione Europea.

*Laureata in Scienze Politiche e dell’Amministrazione presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università di Trieste.

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