IL QUINTO EMENDAMENTO ALLA COSTITUZIONE UNGHERESE: UNA MODIFICA ALLA MODIFICA

Di Cristiano Preiner

La legge che per la quinta volta ritocca la Costituzione ungherese e che è in vigore dal primo ottobre scorso è stata considerata dallo stesso sottosegretario alla Giustizia Róbert Répássy ”una modifica parziale al quarto emendamento”.

Quest’ultimo aveva generato giudizi piuttosto critici in patria come all’estero al punto da far esprimere allo stesso Presidente della Commissione Europea le proprie preoccupazioni in una missiva al Primo ministro Viktor Orbán. Sul piano interno la fase delle dispute sulla nuova Costituzione è ormai considerata chiusa dal governo. Lo si riconosce chiaramente dopo che la Corte Costituzionale ha respinto – con la sentenza 12/2013. (V.24.) – un ricorso presentato dal mediatore dei diritti fondamentali volto ad annullare diverse disposizioni contenute nella quarta modifica. Pertanto  l’obiettivo del quinto emendamento – come si legge nelle motivazioni generali al testo del progetto  – è proprio quello di raggiungere una tregua anche nei dibattiti internazionali  tenendo in considerazione le valutazioni di Commissione Europea e Commissione di Venezia per evitare che ”singole questioni costituzionali possano costituire un pretesto per ulteriori attacchi all’Ungheria”.  Il quinto emendamento – approvato il 16 settembre scorso con 260 voti favorevoli, 41 contrari e 35 astensioni – è stato presentato all’aula in due versioni differenti.  Il primo progetto sottoposto all’aula nel mese di giugno, il T/11545, contemplava tra gli argomenti trattati la fusione dell’Agenzia statale di vigilanza finanziaria con la Banca Nazionale Ungherese, una nuova proposta per far fronte ad obblighi pecuniari imposti non previsti e la revoca della discrezionalità precedentemente accordata  al presidente dell’Ufficio nazionale della magistratura nel riassegnare i procedimenti in corso a corti diverse. Il secondo progetto, il T/12015, che sarà poi quello definitivo, è datato agosto 2013 e viene integrato alla luce delle nuove norme sullo stato giuridico delle comunità religiose nonchè dell’estensione della diffusione dei messaggi politici in campagna elettorale. Di seguito presentiamo in maniera schematica tutte le novità apportate da questo ultimo emendamento.

 

–          Viene abrogato il sesto comma dell’articolo 37 della Legge fondamentale che introduceva nell’ordinamento magiaro la possibilità di emanare una tassa ad hoc nel caso lo stato incorresse ”nell’obbligo di pagare sanzioni pecuniarie derivanti da decisioni della Corte Costituzionale, della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di altre corti o organismi esecutivi”. L’eccezionalità dell’imposta era dovuta al verificarsi di due condizioni: debito pubblico oltre la metà del valore del PIL e soprattutto strumenti di copertura per le multe non inclusi specificamente nella legge di approvazione del bilancio. Il comma in oggetto,  dal quarto emendamento nella scorsa primavera, viene rimosso con la motivazione che le regole per la definizione delle coperture di obblighi non previsti gravanti sullo stato non richiedono necessariamente un livello costituzionale. Può bastare una legge cardinale o anche solo una legge votata a maggioranza semplice.

 

–          Con la modifica dell’ottobre scorso viene definitivamente rimossa l’Agenzia statale di vigilanza finanziaria (PSZÁF) attraverso l’abolizione dell’articolo 42 della Costituzione. Detto articolo demandava ad una legge organica la determinazione delle norme riguardanti l’Autorità garante del sistema di intermediazione finanziaria. Contestualmente si trasferisce con il nuovo secondo comma dell’articolo 41 la funzione di vigilanza finanziaria alla Banca Nazionale Ungherese (MNB). Al suo interno viene creato poi il Consiglio di stabilità finanziaria, come disposto dalla recente legge cardinale sulla MNB alla cui guida è posto proprio il presidente dell’istituto di emissione centrale.  Questo tipo di integrazione della PSZÁF nella Banca Nazionale ha incontrato il favore della Banca centrale europea. La questione della fusione dell’Agenzia statale di vigilanza finanziaria con la Banca Nazionale risale al primo gennaio 2012 data dell’entrata in vigore delle Disposizioni Transitorie alla nuova Costituzione che all’articolo 30 prevedevano la nascita di una nuova struttura con un presidente nominato dal Capo dello Stato. Questa, insieme ad altre novità inserite nel sistema normativo magiaro, era valsa all’Ungheria una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea secondo la quale non era un problema la fusione in sé quanto il fatto che il governatore della MNB sarebbe stato “declassato” a vice-presidente di questo nuovo organismo, una situazione di potenziale minaccia per la sua indipendenza. L’articolo 30 fu abrogato con la prima legge di modifica alla costituzione nel giugno dello stesso anno.

 

–          Il sesto articolo del quinto emendamento modifica ulteriormente i tempi entro i quali la Corte Costituzionale è chiamata ad esprimersi nei casi di controllo di compatibilità di una norma con la Legge Fondamentale sollevati da un giudice. Dal primo aprile scorso l’articolo 24 c.2 lettera b della Costituzione introduce un termine – sino ad allora non previsto – di trenta giorni pensato per ostacolare il prolungamento dei processi e nell’interesse della trasparenza delle procedure. Ora questo termine è stato elevato a novanta giorni onde garantire tempi ragionevoli per un giudizio di costituzionalità ponderato.

 

–          La quinta modifica interviene nel revocare una prerogativa significativa che il precedente emendamento alla Legge Fondamentale aveva attribuito al presidente dell’Ufficio nazionale della magistratura (Országos Bírósági Hivatal – OBH), organo sino ad allora non contemplato dalla nuova costituzione, quello cioè di assegnare discrezionalmente un processo ad un’altra corte di pari competenza.  Tale trasferimento, come si legge in quello che era un nuovo comma (il quarto) dell’articolo 27,  avrebbe così difeso  il diritto fondamentale alla ragionevole durata dei processi oltre che garantito l’equilibrio del carico di lavoro delle corti. Con l’abolizione del sudetto comma al presidente dell’Ufficio, eletto per nove anni dal parlamento a maggioranza di due terzi su proposta del Capo dello stato, resta l’esecuzione dei compiti centrali di amministrazione delle corti (art.25 c.5). Con l’emendamento in vigore dallo scorso primo ottobre viene elevato a rango costituzionale il già esistente Consiglio giudiziario nazionale (Országos Bírói Tanács – OBT) investito dell’attivitá di controllo sull’amministrazione centrale delle corti (art.25 c.5). Tra i membri del Consiglio, eletti dai magistrati sulla base di una legge cardinale, figura anche il presidente della Corte suprema (Kúria) (art.25 c.6).

 

–          Nella seconda versione del testo proposto come quinto emendamento alla Legge Fondamentale viene aggiunta la revisione della disciplina del riconoscimento delle chiese e del loro rapporto con lo stato. Tutto sommato viene fotografata la situazione attuale, si fa propria la nuova normativa in materia in vigore dallo scorso luglio (legge CXXXIII) e si ammorbidisce il testo della Costituzione così come rivisto dalla quarta modifica. Acquista ora rango costituzionale la nuova espressione di ”comunità religiosa” (vallási közösség) che comprende le due fattispecie di ”chiesa” e di ”organizzazione avente finalità religiosa” (vallási tevékenységet végző szervezet), con quest’ultima forma conferita dal Tribunale della capitale (Fővárosi Törvényszék). Adesso tutte le comunità religiose possono considerarsi ”chiesa” in senso lato e lo status non è più condizione necessaria per l’esercizio di pratiche e culti di fede (art. VII. c.2), il Parlamento si pronuncia direttamente solo sullo stato giuridico di ”chiesa riconosciuta” (bevett egyház) ovvero il Governo decide comunque con quale comunità religiosa cooperare nell’interesse del ”raggiungimento di obiettivi comuni” (art. VII c.4). La tipologia di ”comunità religiosa” è una cavillosa ma efficace soluzione ad un lungo contenzioso con la Corte costituzionale nato da un principio che il Governo ha difeso strenuamente fino a renderlo parte della Costituzione attraverso le Disposizioni Transitorie prima e con il quarto emendamento poi: il trasferimanto della competenza del conferimento dello status di chiesa dalle corti al Parlamento. Il primo atto in questo senso, risalente all’estate 2011, è stata la nuova legge ”sulla libertà religiosa e le confessioni”  annullata dalla Corte insieme – ma solo parzialmente – a quella approvata pochi mesi dopo ma de facto inalterata. Elementi che soddisfano in buona parte le esigenze espresse e sollecitate a più riprese dei togati costituzionali sono contenuti solo nella già citata recente legge CXXXIII:  la definizione di procedure di riconoscimento dello status di chiesa trasparenti, con determinati limiti temporali e possibilità di ricorso nei casi di rigetto delle richieste. Tutti espedienti volti a depoliticizzare per quanto possibile una decisione presa dall’istituzione politica per eccellenza, il Parlamento, che resta il principale organo preposto a pronunciarsi sulla materia.

 

–          Col quinto emendamento viene corretta anche la regolamentazione delle campagne elettorali nella parte relativa all’utilizzo e alla pubblicazione dei messaggi politici sui media. Ora, anche per rispondere a diverse note provenienti da Bruxelles, il terzo comma dell’articolo IX dispone che ”la pubblicità politica sia comunicata sui servizi di media senza alcun tipo di contropartita”. Viene a cadere dunque quella esclusività del servizio pubblico introdotta lo scorso aprile dalla quarta modifica alla Costituzione. Il citato paragrafo prevedeva infatti che per assicurare l’eguaglianza di opportunità e per porre un argine alle spese destinate alle campagne, le inserzioni e gli annunci politici potessero trovare posto in forma gratuita solo su canali e network del servizio pubblico. Su quest’ultima norma, insieme ad altre contenute nella nuova legge sul procedimento  elettorale risalente al novembre 2012, si era già pronunciata la Corte Costituzionale che, su iniziativa del Presidente della repubblica János Áder, ne aveva accertato l’incostituzionalità per “una sproporzionata limitazione delle libertà di espressione e di stampa”. Tuttavia la rimozione di questo ”monopolio” del servizio pubblico nella comunicazione politica ed il coinvolgimento delle reti commerciali  non ha del tutto placato le critiche interne.  Il mantenimento della gratuità delle prestazioni – si sostiene – condizionerebbe infatti le scelte editoriali di chi, non traendo alcun profitto dai messaggi elettorali, potrebbe non considerarne la diffusione alimentando così prassi discriminatorie.

 

FONTI:

www.mkogy.hu sito del Parlamento ungherese

www.mkab.hu sito della Corte Costituzionale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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