Prime impressioni su alcuni punti del progetto della legge di emendamento della Costituzione della Russia “Sul perfezionamento della disciplina di singole questioni di organizzazione del potere pubblico”, approvato in prima lettura dalla Duma di Stato
di Mario Ganino*
Tale progetto appare decisamente più ampio dei pochi che lo hanno preceduto e che hanno completato il loro iter per la modifica di disposizioni contenute nei capitoli 3/8 della Costituzione. Si tratta infatti di tante “singole questioni” e questo apre qualche interrogativo sulle cause che hanno portato a questo risultato. La Costituzione del 1993 non era stata modificata sino al 2008, quando alla fine dell’anno furono firmate dal Presidente della Federazione ben due leggi di emendamento essendosi concluso l’iter richiesto dalla Costituzione, che prevede oltre al voto delle due camere parlamentari l’approvazione da parte delle assemblee legislative dei soggetti della Federazione. Addirittura due leggi, entrambe molto brevi e per questioni ben delimitate. Una allungava semplicemente il mandato rispettivamente del Presidente e della Duma, l’altra introduceva nella Costituzione meccanismi ulteriori di controllo della Duma sul Governo, tuttavia non particolarmente innovativi rispetto alla prassi del controllo attuata negli anni sulla base di quanto già stabilito nelle leggi e nelle pieghe della Costituzione, ma importante per le potenzialità. Le modifiche che ora si vogliono introdurre con la riforma del 2020 condividono in buona parte con la seconda legge la finalità di rendere più stabili e comunque di costituzionalizzare soluzioni già contenute nella legislazione o in altre fonti (leggi costituzionali, leggi ordinarie, editti (ukaz) presidenziali, decisioni della Corte costituzionale). Altre disposizioni appaiono portatrici di maggiori innovazioni, almeno potenzialmente.
In effetti la Costituzione della Russia nei tre lustri precedenti il 2008 aveva subito numerose modifiche “non formali” per adattarla ad un periodo più lungo rispetto alle contingenze che l’avevano generata, compreso lo scontro tra Presidente e Parlamento, portatori di visioni contrapposte circa l’esercizio dei supremi poteri statali. Vi avevano provveduto in particolare, senza modificare formalmente il testo della Costituzione e con gli atti ordinari della propria competenza, Presidente, Parlamento e Corte costituzionale. Si tratta di un fenomeno molto diffuso nell’esperienza costituzionale dei vari Paesi, quando attraverso determinati atti (ma anche con regole consuetudinarie o prassi) si determinano interpretazioni delle disposizioni costituzionali tali da comportare integrazioni o aggiunte ad esse o un loro significato decisamente nuovo, che possiamo anche chiamare “lettura evolutiva” dei testi costituzionali a seconda del tempo e delle situazioni. La stessa dizione di “legge di emendamento costituzionale” , per distinguerla dalle leggi costituzionali, non compresa nella Costituzione, è dovuta alla formulazione innovativa della Corte costituzionale nel 1995, e ciò rientra nella tendenza generale delle Corti costituzionali. Essa è stata poi ripresa dalla legge del 1998 che disciplina ulteriormente il procedimento di modifica della Costituzione.
Con la riforma in via di discussione si è evidentemente deciso di portare dentro la Costituzione un certo numero di queste modifiche non formali e quindi di formalizzarle, costituzionalizzarle, rendendole così più stabili.
Occorre ancora in via di premessa richiamare che, oltre al procedimento per la modificazione delle disposizioni contenute nei Capitoli da 3 a 8 della Costituzione, si prevede un procedimento super aggravato, detto di revisione, per mutare il contenuto dei Capitoli 1, 2 e 9, dando vita al termine di esso a una “nuova Costituzione”. La legge costituzionale per l’elezione dell’Assemblea costituzionale, punto nodale di questo meccanismo di revisione e che dovrà o potrà dare ulteriori indicazioni sulle relative modalità di revisione, non risulta ancora approvata. Non sono pertanto risolti i problemi legati al tipo di mutamento introdotto nelle disposizioni contenute nei Capitoli più
protetti: per es. se concordare sul fatto che non qualsiasi modifica richieda il procedimento super aggravato ma solo se venga intaccato il contenuto essenziale di un diritto, cosa che la stessa Corte costituzionale potrebbe chiarire. In mancanza di tutto ciò il timore di incorrere in modifiche non ammesse dal punto di vista della procedura ha probabilmente consigliato di aggiungere due commi all’art.75 Cost. – che si occupa nei suoi originari quattro commi di moneta, Banca centrale, imposte e titoli del debito – per introdurre, al fine di ottenerne il rafforzamento, innovazioni nella disciplina di importanti diritti sociali quali il salario minimo e le pensioni (e altre rilevanti provvidenze sociali), la cui disciplina appare tuttavia prevista rispettivamente negli articoli 37 e 39 della Costituzione, che fanno però parte del Capitolo 2 (Diritti e libertà dell’uomo e del cittadino), per le cui modifiche occorre la procedura super aggravata.
Sino a che non si risolveranno i problemi legati alle modifiche degli articoli dei Capitoli 1, 2 e 9 Cost., andrebbe forse valutato se le modifiche prospettate possano o meno essere affidate, pur con minore effetto, alla legislazione ordinaria.
Problema solo in parte simile si riscontra con la proposta di emendamento dell’art. 132 Cost. mediante l’aggiunta di un comma 3 che nella sua prima parte stabilisce l’appartenenza degli organi dell’autogoverno locale al sistema unitario del potere pubblico. Ora è noto che secondo l’art.12, posto nel cap. 1 Cost. (Basi dell’ordinamento costituzionale), quindi tra i principi fondamentali, “Gli organi dell’autogoverno locale non fanno parte del sistema degli organi del potere statale”. È del pari noto che tale norma fu introdotta per garantire l’autogoverno locale da ingerenze dovute a un’eccessiva attuazione della verticale esecutiva, cosa che non fu capita a livello di Consiglio d’Europa. Infatti il Congresso dei poteri locali e regionali dell’Europa inviò alla Russia delle osservazioni critiche circa la ritenuta debolezza che sarebbe derivata all’auto governo locale se i suoi organi non fossero ricompresi nel sistema statale o governativo, cioè nell’amministrazione pubblica, comunque in piena autonomia. L’organismo europeo ha pertanto accolto con favore la conclusione, favorita dalla Corte costituzionale della Russia, di considerali come “poteri pubblici” cioè di porli in una categoria unica che comprende pure gli organi del potere statale, soluzione che anche la dottrina russa ha ritenuto realisticamente accettabile. Tale classificazione e’ stata ripresa pure dalla Commissione Kozak.
L’art. 132 fa parte del Capitolo 8, integralmente dedicato all’Autogoverno locale e quindi la modifica trova una sede già dedicata a tale Autogoverno, come precisazione ulteriore della sua natura indicata invece solo in negativo in quell’inciso contenuto nell’art.12 Cost. Si può tuttavia osservare che tale precisazione non è stata collocata nel corpo dell’art. 12 probabilmente per gli stessi problemi ricordati già per salario minimo e pensioni. La soluzione alternativa anche qui sarebbe stata quella di lasciare nel frattempo la materia alle modifiche non formali della Costituzione, anche su questo punto già in atto.
Tra le modifiche più significative vengono generalmente indicate quelle riguardanti la forma di governo, vale a dire i rapporti tra Presidente, Governo e Parlamento.
Dopo avere ribadito severe limitazioni alla candidatura alla carica di Presidente della Federazione, aumentando peraltro fortemente gli anni richiesti di residenza continuativa in patria, una modifica importante introdotta (nell’art. 81) è quella che impedisce per il futuro il “tandem”, fissando in due mandati per ciascun presidente la durata in carica: innovazione che si può giudicare favorevolmente.
Il progetto di riforma prevede che la Duma, invece del consenso, approvi la proposta di nomina del Presidente del Governo. La stampa internazionale ha interpretato questa modifica come un significativo trasferimento di attribuzioni al riguardo dal Presidente alla Duma.
A partire dalle riforme costituzionali gorbacioviane in realtà si è agito su tali due termini rappresentativi rispettivamente di una maggiore o minore attrazione del Governo nell’orbita presidenziale, segnalata appunto dal “consenso” a un atto che resta nella sostanza del Presidente. Ma se si osserva la prassi intervenuta dopo l’ adozione della Costituzione del 1993, nonché la legge sul Governo e soprattutto il regolamento della Duma, si può notare come si sia trattato di una votazione che viene dopo la presentazione del programma di governo da parte del candidato e a un pur breve dibattito. Dopo la votazione seguiva la nomina da parte del Presidente della Federazione. Ne consegue che “l’approvazione”, invece del consenso, difficilmente muterà sostanzialmente tale procedura di investitura. Il cambiamento sembra soprattutto simbolico, ma comunque vuole probabilmente sottolineare che il ruolo della Duma potrebbe essere più attivo di una mera adesione alla scelta del Presidente, ma questo si vedrà, non essendo ciò automatico. Più coinvolta appare la Duma circa la nomina dei Ministri non direttamente dipendenti dal Presidente federale, che avviene non più dopo la relativa proposta del Presidente del Governo al Presidente federale, ma richiede anche l’approvazione della stessa Duma e in tale caso il Presidente federale deve procedere alla nomina, non potendosi rifiutare di farlo. Non è tuttavia chiaro cosa succeda nel caso in cui la Duma non dia la sua approvazione.
La riforma pare indebolire la primazia del Presidente del Governo verso i Ministri, tanto che le dimissioni di questo Presidente non comportano la caduta dell’intero governo, la cui compagine può proseguire con un altro Primo ministro. D’altra parte appare cancellata la proposta da parte del Presidente del Governo di revoca dei Ministri. Se la ribadita esistenza di ministri guidati direttamente dal Presidente Federale comporta una costituzionalizzazione di quanto già previsto sia dall’ Ukaz del 1994 sia, soprattutto, dalla legge costituzionale sul Governo (il loro numero appare aumentato di una unità rispetto al presente con l’aggiunta del ministro per la sicurezza sociale) e quindi la riconferma di un indebolimento del Presidente del Governo anche sotto questo profilo, il progetto di riforma ora precisa meglio il procedimento di nomina di tali ministri (e più in generale dei dirigenti degli organi federali del potere esecutivo che si occupano delle questioni di cui si è detto), con la previsione di una consultazione preventiva del Consiglio della Federazione e di un maggiore attivismo dello stesso al riguardo. Non appare tuttavia chiaro se tale consultazione sia richiesta anche nel caso di loro revoca. In realtà non sembra neppure detto se nel caso di revoca degli altri ministri sia richiesta l’approvazione della Duma e se la stessa sia dovuta per l’esonero da parte del Presidente federale del Presidente del Governo, in casi diversi dalle dimissioni volontarie o in seguito a un voto di sfiducia, nei quali casi rimane la precedente disciplina.
Dunque, come si è annotato, viene confermata la presenza nel Governo di due gruppi distinti di ministri scelti (proposti nel caso del Presidente del Governo) e diretti rispettivamente dai due Presidenti (ma tutti coordinati dal Governo) e la constatazione che anche con la riforma il Governo nasce, rimane in vita e muore soprattutto per volontà del Presidente federale, che è la chiave di volta di tutto il sistema politico costituzionale della Russia. Si tratta in effetti di un “Presidente governante” che è il depositario di una antica funzione di unificazione del potere e integrità del Paese e per il quale non valgono classificazioni proprie della dottrina occidentale, come regime presidenziale o semipresidenziale, trattandosi dello sviluppo di uno specifico sistema autoctono di governo.
Un punto ancora merita una pur frettolosa considerazione. Si tratta del Consiglio di Stato, che attualmente è un organo consultivo non previsto dalla Costituzione, ma presente nell’ordinamento con la funzione di favorire l’attività di coordinamento del Presidente federale. Secondo la proposta di emendamento del 2020. Il Consiglio di Stato, formato dal Presidente, ha la finalità di garantire, tra l’altro, il funzionamento coordinato e l’interazione tra gli organi del potere statale e di definire gli indirizzi fondamentali di politica interna e estera della Federazione di Russia. Si tratta a ben vedere di funzioni attribuite con la medesima formulazione al Presidente federale rispettivamente nei commi 2 e 3 dell’art. 80 della Costituzione. È pur vero che si rinvia alla legge per la sua attuazione, ma, non tanto per la mancata qualifica di organo consultivo, che può apparire implicita in un organo formato e verosimilmente presieduto dal Presidente federale – anche se tale natura andrebbe specificata- quanto piuttosto per l’attribuzione a un organo collegiale di funzioni che sono quelle presidenziali (anche se con tutta probabilità si tratterà unicamente di uno strumento utile al Presidente per l’esercizio di tali sue funzioni essenziali) possono avanzarsi timori per il pericolo, anche se remoto, che si possa dare vita a un dualismo di poteri.
Manca nei tempi utili per queste brevi note la possibilità di proseguire oltre in questa sede nella disanima del progetto di riforma, cosa che si continuerà a fare nel nostro Dipartimento universitario in particolare con i colleghi di Diritto pubblico comparato, ma una pur veloce lettura consente di ritrovare anche in diversi altri punti l’accentuazione della funzione di coordinamento e indirizzo in capo al Presidente della Federazione di Russia.
*Già professore ordinario (full professor) di Diritto Pubblico Comparato presso l’Università degli Studi di Milano