Etiopia: tra elezioni e guerra.

Ethiopia: between election and war.

di Matteo D’Avanzo[1]

Lo scorso 21 giugno si sono tenute le elezioni generali in Etiopia e la riconferma del presidente Abiy Ahmed Ali è parsa abbastanza scontata.  La galassia multipartitica riunita sotto le due forze di coalizione antagoniste ad Ahmed, il Partito dei cittadini etiopi per la giustizia sociale e il Movimento Nazionale Ahmara, hanno ottenuto nel complesso nove seggi nella Camera bassa del parlamento di Addis Abeba, mentre il Partito della prosperità del presidente uscente/riconfermato se ne è aggiudicato 410 sui 547 che la compongono. Tuttavia, la leadership del presidente etiope appare piuttosto precaria, giacché la consultazione elettorale non si è svolta nel 20% dei collegi[2]. I cittadini di parti dell’Oromia, del Benishangul-Gumuz e della regione Ahmara si recheranno alle urne il prossimo 6 settembre, mentre in Tigray, area al centro del recente conflitto, non sembra ancora possibile pianificare nuove votazioni. Il panorama politico ed etnico dell’Etiopia, piuttosto eterogeneo, merita un approfondimento, al fine di comprendere quali possano essere gli sviluppi futuri della situazione odierna. È bene, quindi, fare un passo indietro.

Oslo, Norvegia, 10 dicembre 2019. Il presidente etiope Abyi Ahmed viene insignito del Premio Nobel per la pace: “Per il suo contributo cruciale alla pace con l’Eritrea, gli sforzi prodotti per la costruzione della democrazia in Etiopia e, non da ultimo, l’apporto ai processi di riconciliazione in Africa orientale e nell’Africa del Nord-Est”. Queste sono le motivazioni addotte dal Comitato per il Nobel norvegese che hanno pesato sulla scelta di conferire l’ambito riconoscimento internazionale ad Abyi Ahmed. Analizziamo più nel dettaglio.  La disputa storica tra Eritrea ed Etiopia, durata circa 20 anni, è stata superata nel luglio 2018 con la pace di Gedda e i presidenti dei due paesi sono riusciti ad accordarsi per il cessate il fuoco e il ripristino delle relazioni diplomatiche.  “Un ringraziamento speciale va al presidente dell’Eritrea”: così nel suo discorso Ahmed ha rimarcato il sostegno al collega di Asmara, consapevole che la proposta di un solo candidato al Nobel per la pace, laddove, solitamente, la pace la si faccia almeno in due, avrebbe potuto causare una riapertura delle ostilità. D’altronde, il conferimento del Premio Nobel per la pace ad Isaias Afewerki, dittatore, che dal 1991 governa il Paese, non sarebbe parso in linea con lo spirito irenista del comitato. Aefwerki si è distinto, infatti, per la promozione di politiche di autarchia economica fallimentari, per il sostegno a gruppi jihadisti nella lotta contro l’Etiopia (subendo dal 2009 pesanti sanzioni da parte degli Stati Uniti) e per uno stretto e capillare controllo politico-sociale sulla popolazione. Attualmente in Eritrea non esistono spazi per manifestazioni di libertà e di espressione di alcun tipo, e l’opposizione politica viene repressa continuativamente dal governo di Asmara. Un impedimento, però, appare risolto: l’ostilità con l’Etiopia. L’amicizia tra i due leader politici tornerà presto utile ad Abyih Ahmed, che potrà tornare soddisfatto ad Addis Abeba con la medaglia d’oro, il diploma e il compenso dei regnanti norvegesi.  

Con il conflitto apparentemente alle spalle, il presidente etiope ha potuto meglio dedicarsi alle questioni interne. Decise infatti nel dicembre 2019 di superare l’esperienza del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (EPRDF) e di inglobare i quattro partiti della coalizione all’interno del Partito della Prosperità. Il Movimento Democratico Nazionale Amhara, l’Organizzazione Democratica del Popolo Oromo e il Movimento Democratico dei Popoli del Sud Etiopia sono confluiti nel nuovo soggetto politico, mentre il Fronte di Liberazione del Tigray (TPFL), partito che ha dominato all’interno della coalizione sin dal 1991, si è rifiutato di unirsi al nuovo progetto. IL TPFL paventa il rischio di una soppressione delle singole specificità etniche e sospetta che il presidente Ahmed stia sollecitando una nuova/vecchia centralizzazione paventando le logiche del partito unico. È necessario sottolineare che l’élite tigrina è stata dominante per circa vent’anni nelle istituzioni di governo ad Addis Abeba e la leadership di Abyi Ahmed, di etnia oromo, ha segnato una marginalizzazione de facto del gruppo politico del Tigray. In un paese come l’Etiopia dove il particolarismo etnico tende a coincidere con le istanze politiche supportate dai gruppi partitici, l’acrimonia ingenerata dalla decisione di fondare un nuovo partito da parte di Abiy Ahmed non poteva che avere effetti catastrofici.

4 novembre 2020. Il mondo sta guardando a Washington. La competizione elettorale tra Joe Biden e Donald Trump sembra offuscare qualsiasi altro evento. Il Fronte di Liberazione del Tigray decide di colpire una base dell’esercito federale a Makallè, capitale del Tigray, scatenando la reazione delle forze governative. L’escalation di violenza nel paese è devastante e gli strascichi sono tutt’ora visibili. Quali sono le motivazioni che hanno condotto il TPFL a commettere un atto di tale gravità? Oltre alla già citata acredine tra i partiti, costantemente richiamata dai media, ciò che è apparso meno evidente è come lo scorso agosto 2020 l’Etiopia abbia conosciuto una crisi politica di ampia portata. L’evoluzione della pandemia ha condotto il presidente della Repubblica a posticipare di un anno le elezioni generali (consapevole anche del crescente malcontento nei confronti del governo), causando proteste in tutto il paese. Tuttavia, il casus belli si pensa possa essere stato l’omicidio del popolare cantante ed attivista di etnia oromo, Hachalu Hundessa, avvenuto lo scorso 29 giugno. Sono iniziate numerose proteste appoggiate dal principale rivale del presidente e magnate dei media etiopi, anch’esso oromo, Jawar Mohammed[3], che ha incitato la popolazione alla rivolta sostenendo che il delitto della popstar fosse solo l’epifenomeno di una continua lotta compiuta dai gruppi amhara, ostili agli oromo. I giorni seguenti hanno registrato una serie di rivolte e proteste, tragicamente terminate con una strage di circa 200 persone. Il governo ha accusato Jawar Mohammed di esserne il responsabile, soprattutto per il suo attivismo tramite l’emittente Oromo Media Network, di cui il governo ha disposto la sospensione temporanea delle attività. Nelle settimane seguenti, il finanziere etiope è stato raggiunto da accuse di terrorismo e sedizione. A settembre, il Fronte di Liberazione del Tigray si è convinto che il proposito del presidente Ahmed fosse quello di riproporre una dittatura e di imporre una stretta sorveglianza sulle attività politiche e ha quindi indetto le elezioni. Alle votazioni del 9 settembre il TPFL ha ottenuto il 97% dei consensi, ma la tornata elettorale non è stata riconosciuta dal governo centrale. Queste, dunque, sembrano essere le ragioni che lo scorso novembre hanno spinto le forze tigrine a promuovere un conflitto aperto contro le forze governative.

Quali sono e saranno le conseguenze? Un proverbio africano dice: “Quando gli elefanti si fanno la guerra, è l’erba a rimanere schiacciata” e la parola guerra ne richiama sempre un’altra: rifugiati. Già dai primi giorni del conflitto, i gruppi militari hanno compiuto delle vere e proprie carneficine. Tra il 9 e il 10 novembre, a Mai Kadra, un massacro di 700 civili è stato compiuto dai giovani delle forze del Samri legati al TPFL e, nonostante il periodo trascorso senza rilievi da parte dei media, la violenza sembra perdurare, come attestato da Amnesty International. Lo scorso 24 giugno le forze governative hanno lanciato un bombardamento aereo sul mercato di Togoga, sempre nel Tigray, giustificando la misura come necessaria per eliminare specifici obiettivi legati al Fronte tigrino. Inoltre, il governo può contare sull’appoggio di forze militari provenienti dall’Eritrea (il sodalizio con Afewerki sembra, quindi, continuare). Asmara, infatti, è storicamente avversa ai gruppi del Tigray, regione confinaria con l’Eritrea: i gruppi tigrini hanno, da sempre, rappresentato un elemento di disturbo nelle zone confinarie e la storica animosità ha acuito le forme di violenza perpetrate ai danni degli abitanti dell’area. La popolazione del Tigray ha iniziato un esodo di massa verso il confinante stato del Sudan: nei campi di Al-Tanideba e Umm Rakouba vengono ospitati circa 40.000 dei 75.000 rifugiati etiopi presenti nel paese, in precarie condizioni igienico-sanitarie. Inoltre, circa 4,5 milioni di cittadini del Tigray si stanno rifugiando all’interno della stessa Etiopia. Gli Stati Uniti e l’intera comunità internazionale (le Nazioni Unite, in particolare) sollecitano ripetutamente l’Eritrea ad abbandonare l’area, temendo che il conflitto civile possa diventare una guerra regionale e premono, come di prammatica, affinché la violenza cessi in breve tempo. Tuttavia, eccetto l’invio di alcuni aiuti umanitari, non sono state adottate misure né tempestive, né diplomaticamente incisive.

 Fonti:

Blinken A. J., Building a stronger democracy in Ethiopia, Press Statement, U.S. Department of State, 25 giugno 2021.

Burke J., Scores killed in Ethiopian airstrike on Tigray market, The Guardian, 24 Giugno 2021.

Eritrea tops CPJ list of worst countries for press censorship, Al Jazeera News, 10 settembre 2019.

Gebrehiwot Berhe M., F. Habtetsion Gebresilassie, Nationalism and self-determination incontemporary Ethiopia, Nations and Nationalism, Vol. 27, Issue 1, pp. 96-111.

Gebrekiros Temare G., A joint Ethiopia-UN inquiry into Tigray atrocities is not a good solution, The Africa Report, 15 aprile 2021.

Gedamu Y., Hachalu Hundessa’s death exposed an unlikely anti-Abiy alliance, Al Jazeera, 28 luglio 2020.

Lambruschi P., Etiopia e Abiy. La guerra non più oscurata del Nobel errato, Avvenire.it, 28 marzo 2021.

Mahdawi D., Tigray: aumentano i casi di Epatite E tra i rifugiati nei campi in Sudan, medicisenzafrontiere.it, 30 luglio 2021.

Naranjo J., Amnistía Internacional denuncia una “masacre” en Tigray, donde más de 10.000 etíopes huyen de la guerra, El Pais, 12 Novembre 2020

Olj, À Mai-Kadra, un massacre terrifiant et de nombreuses questions, L’Orient-Le Jour, 26 novembre 2020.

Puddu L., La pace fra Etiopia ed Eritrea cambia il Corno d’Africa, Limes, 23 luglio 2018.

Puddu L., La questione etnica in Etiopia, in Corno d’Africa e Africa Meridionale, Osservatorio Strategico (Ministero della Difesa), Anno XX, n III.

Shaban A. R. A., Eritrean ‘support’ for Al-Shabaab baseless, U.N. experts want sanctions lifted, Africanews., 10 Novembre 2017

The Nobel Peace Prize for 2019, 11 ottobre 2019.

Tsehaye V., Opinion: Abiy Ahmed’s Nobel Peace Prize win is a flawed decision, CNN, 10 dicembre 2019

Valerani A., Eritrea e Etiopia a due anni dagli accordi di pace, ISPI online, 8 luglio 2020. Link: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/eritrea-e-etiopia-due-anni-dagli-accordi-di-pace-28205

 

Si consiglia la visione dei seguenti video:

Which way for Ethiopia? Abiy cracks down on regional revolts ahead of elections – The Debate (france24.com)

[1] Allievo del Corso di Perfezionamento in Storia presso la Scuola Superiore Normale di Pisa e Cultore della Materia in Diritto Costituzionale Comparato presso l’Università degli studi di Milano.

[2] Anche il Dipartimento di Stato USA ha sottolineato come sia necessario esprimere un sostegno ampio e solido all’unità e alla sovranità dell’Etiopia.

[3] È stato beneficiario delle politiche di scarcerazione e amnistia di Abyi Ahmed, che hanno contribuito alla decisione di assegnargli il Nobel.

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