ACUERDO DE ESCAZÚ: THE FIRST LATIN AMERICAN COVENANT ON THE PROTECTION OF ENVIRONMENT

ACUERDO DE ESCAZÚ: IL PRIMO TRATTATO SULL’AMBIENTE IN VIGORE IN AMERICA LATINA

di Marzia Rosti*

Il 22 aprile 2021, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, è entrato in vigore fra gli undici Stati dell’America Latina che lo hanno ratificato[1] l’Acuerdo Regional sobre el Acceso a la Información, la Participación Pública y el Acceso a la Justicia en Asuntos Ambiental en América Latina y el Caribe, più noto come Acuerdo de Escazú, dalla località in Costa Rica dove è stato firmato il 4 marzo 2018 (https://www.cepal.org/es/acuerdodeescazu).

Il documento costituisce a livello regionale il primo trattato sull’ambiente, in quanto si propone di realizzare i tre pilastri del Principio 10 della Dichiarazione di Rio sull’Ambiente del 1992[2], cioè informazione, partecipazione e giustizia ambientale, ed è il primo documento giuridicamente vincolante nato dalla successiva Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile del 2012, più nota come Conferenza Rio+20, che contiene disposizioni sia sui difensori dei diritti umani impegnati nella tutela dell’ambiente (o difensori dell’ambiente) sia sui popoli indigeni.

L’Acuerdo è stato promosso dalla CEPAL-Comisión Económica para América Latina y el Caribe ed è stato redatto dal 3 marzo 2012 al 4 marzo 2018, ovvero da quando, in occasione della Conferenza Rio+20, i paesi latinoamericani si sono impegnati con grande entusiasmo a realizzare il citato Principio 10 con la redazione di un documento specifico, la cui stesura si è conclusa nel marzo 2018, quando poi è stato adottato dai ventiquattro Stati dell’area. Il successivo processo di ratifica previsto dal settembre 2018 al settembre 2020 non ha invece registrato la grande partecipazione dei governi, in quanto le undici ratifiche necessarie, perché potesse entrare in vigore sono state raggiunte oltre la scadenza, cioè solo nel novembre 2020, consentendo comunque all’Acuerdo di entrare in vigore il 22 aprile 2021.

L’articolo 1 dell’Acuerdo de Escazú enuncia il suo obiettivo, cioè «garantizar la implementación plena y efectiva en América Latina y el Caribe de los derechos de acceso a la información ambiental, participación pública en los procesos de toma de decisiones ambientales y acceso a la justicia en asuntos ambientales, así como la creación y el fortalecimiento de las capacidades y la cooperación, contribuyendo a la protección del derecho de cada persona, de las generaciones presentes y futuras, a vivir en un medio ambiente sano y al desarrollo sostenible».

L’articolo 9 è dedicato ai Defensores de los derechos humanos en asuntos ambientales e prevede che ciascun Stato membro debba garantire un «entorno seguro y propicio en el que las personas, grupos y organizaciones que promueven y defienden los derechos humanos en asuntos ambientales puedan actuar sin amenazas, restricciones e inseguridad» e che debba adottare sia le misure adeguate ed efficaci per riconoscere, proteggere e promuovere i diritti dei difensori dell’ambiente sia promuovere le misure appropriate, efficaci e opportune per prevenire, indagare e sanzionare gli attacchi, le minacce e le intimidazioni che ricevono o potrebbero ricevere.

L’Acuerdo specifica poi che ciascuna parte firmataria dovrà assicurare «a las personas o grupos en situación de vulnerabilidad […] incluidos los pueblos indígenas y grupos étnicos» sia l’accesso alle informazioni di carattere ambientale sia l’assistenza necessaria «para formular sus peticiones y obtener respuesta». I popoli indigeni vengono inoltre menzionati nell’articolo 7 (Participación pública en los procesos de toma de decisiones ambientales), che specifica al punto 15 che «En la implementación del presente Acuerdo, cada Parte garantizará el respeto de su legislación nacional y de sus obligaciones internacionales relativas a los derechos de los pueblos indígenas y comunidades locales».

Mai come in questi ultimi anni è emersa la necessità di tutelare i difensori dei diritti umani e, in particolare, coloro che sono impegnati nella difesa dell’ambiente e dei popoli indigeni e forse l’Acuerdo de Escazú costituisce un primo passo in questa direzione, soprattutto in America Latina, che risulta essere per loro la regione più pericolosa. Infatti, i dati più recenti forniti del Relatrice Speciale per i Difensori dei Diritti Umani delle Nazioni Unite Mary Lawlor indicano che, dal 2015 al 2019, sono stati assassinati 1.323 difensori in almeno 64 paesi, cioè in un terzo degli Stati membri delle Nazioni Unite, e che l’America Latina è l’area geografica più interessata dal fenomeno con 933 omicidi. Nel solo 2019 in 35 paesi si è registrato almeno l’omicidio di un difensore per un totale di 281 vittime, cui si aggiunge il clima intimidatorio in cui essi vivono con le loro famiglie e la mancanza di efficacia dei meccanismi per la loro protezione, benché siano stati creati in alcune nazioni (Brasile, Colombia, Honduras, Guatemala e Messico).

A confermare la pericolosità dell’America Latina si aggiungono i dati forniti da alcune ONG. Dal rapporto Defender el mañana di Global Witness (https://www.globalwitness.org/es/defending-tomorrow-es/) del luglio 2020 risulta che, nel 2019, siano stati uccisi 212 difensori dei diritti umani ed emergono inoltre alcuni aspetti importanti.

In primo luogo, che più dei due terzi degli omicidi siano avvenuti in America Latina: infatti, 8 paesi dell’area figurano tra i primi dieci per numero di vittime, con la Colombia come prima nazione, seguita dalle Filippine e poi dal Brasile, Messico, Honduras, Guatemala, Venezuela, India e Nicaragua. In secondo luogo, Colombia e Honduras sono le due nazioni in cui l’incremento degli omicidi è stato considerevole: la Colombia è passata da 24 nel 2018 a 64 nel 2019, 14 dei quali sono riconducibili al tema della sostituzione delle coltivazioni illegali nel quadro dell’attuazione degli Accordi di pace del 2016, e l’Honduras, che negli anni ha favorito gli investimenti per sfruttare le risorse naturali senza tenere in considerazione le ricadute sull’ambiente e sulla popolazione, è passato da 4 vittime del 2018 a 14 nel 2019. Il caso più noto è l’omicidio di Berta Cáceres che risale al 2 marzo 2016, in quanto leader del popolo Lenca che si era opposta al progetto Agua Zarca, che prevedeva la costruzione di una diga idroelettrica sul fiume sacro Gualcarque, e che per il suo impegno aveva ricevuto nel marzo 2015 il Premio Goldman, cioè il Premio più prestigioso assegnato annualmente agli attivisti per l’ambiente. Il notevole incremento delle vittime in Honduras ha fatto sì che risulti essere il paese più pericoloso per i difensori dei diritti, avendo registrato più omicidi pro capite[3], seguito da Colombia, Nicaragua, Guatemala e Filippine.

Un terzo aspetto da considerare è il profilo delle vittime che operavano soprattutto nella difesa della terra e dell’ambiente contro l’espansione della «minería e industrias extractivas» (50 vittime), molte erano donne (più di 1 su 10 vittime) e il 40% apparteneva a comunità indigene. Su quest’ultimo punto emerge che – fra il 2015 e il 2019 – più di un terzo degli attacchi fatali siano stati rivolti proprio contro i popoli indigeni e i loro leader, benché essi rappresentino solo il 5% della popolazione mondiale. A ciò si aggiunge un quarto aspetto che è la criminalizzazione e la diffamazione di cui sono vittime i difensori stessi e che li rende più vulnerabili e, infine, l’impunità e la corruzione diffuse, che ostacolano l’identificazione sia degli esecutori materiali sia dei mandanti degli omicidi, delle intimidazioni e delle violenze di cui sono vittime[4].

Il quadro è stato confermato alla fine del 2020 da Front Line Defenders che nel suo rapporto (https://www.frontlinedefenders.org/sites/default/files/fld_global_analysis_2020.pdf) evidenzia come 263 dei 331 omicidi, cioè l’80%, siano stati commessi in America Latina[5] e che fra i primi sei Paesi al mondo per numero di morti, cinque appartengano a quest’area: Colombia (177), Honduras (20), Messico (19), Brasile (16) e Guatemala (15). Inoltre, il 69% delle 331 vittime complessive e il 40% delle 263 vittime latinoamericane era impegnato nella difesa della terra, dell’ambiente e dei popoli indigeni.

Occorre ricordare, infine, come la condizione dei difensori dei diritti umani in America Latina sia peggiorata nel 2020 con la diffusione del Covid-19. Nel contesto della pandemia infatti, da un lato, i difensori dei diritti umani hanno spesso colmato il vuoto lasciato dalle istituzioni, informando le popolazioni locali sul rischio rappresentato dal virus e fornendo loro cibo, dispositivi medico-sanitari e assistenza. Dall’altro lato, però, la pandemia li ha indeboliti, poiché hanno dovuto fronteggiare non solo il pericolo del contagio, ma anche un aumento della violenza sia nei loro confronti, perché privi dei meccanismi di difesa e di protezione, sia nei confronti delle popolazioni che avrebbero dovuto difendere. L’emanazione di leggi restrittive della libertà personale e la dichiarazione dello stato di emergenza in alcuni paesi hanno poi limitato i loro spostamenti e la loro attività, mentre ha consentito a governi, a imprese e anche alla criminalità organizzata di sgomberare a volte con la violenza gli abitanti di alcuni territori strategici per le risorse naturali o per i traffici illeciti (Front Line Defenders, Global Analysis 2020, pp. 21-22, https://www.frontlinedefenders.org/sites/default/files/fld_global_analysis_2020.pdf).

FONTI

[1] È stato ratificato da Argentina, Bolivia, Ecuador, Messico, Nicaragua, Panama, Uruguay, Antigua e Barbuda, Guyana, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Bahamas.

[2] «Principio 10: Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. Al livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nelle comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo».

[3] 1 ogni milione di abitanti.

[4] Global Witness ritiene di aver individuato la responsabilità delle «fuerzas estatales» in 37 omicidi e di sospettare la «participación de actores privados como sicarios, bandas criminales y guardias de seguridad privados».

[5] Sarebbero 264 nel continente Americano, suddivisi in 263 in America Latina e 1 in Canada.

* Professore Associato di Storia e Istituzioni delle Americhe presso l’Università degli Studi di Milano.

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