Tra diplomazia e risorse: passato e presente delle relazioni tra Israele e Repubblica Democratica del Congo

Di Simone Liberti*

Sin dalla sua fondazione nel 1948, lo Stato d’Israele cercò di instaurare relazioni diplomatiche vantaggiose nell’Africa subsahariana per trovare legittimità internazionale, prima attraverso alcune missioni, poi in modo strutturato e più ufficiale, a seguito della creazione della Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) nel 1963; l’obiettivo primario dello Stato ebraico erano i Paesi musulmani non-arabi. Risale al 1956 il primo consolato israeliano in Africa, costruito ad Accra, in Ghana. La situazione cambiò notevolmente in seguito alla Guerra dei Sei giorni: la maggior parte dei Paesi africani, appena decolonizzati o in via di decolonizzazione, videro le occupazioni illegittime (Alture del Golan, Sinai, Cisgiordania e Gerusalemme est) e la sconfitta del leader del panarabismo Gamal Abdel Nasser come una condotta di stampo neocoloniale, conducendo a una rottura o almeno a un congelamento dei rapporti tra i Paesi dell’OUA e lo Stato ebraico. In particolare, dopo la guerra dello Yom Kippur del 1973, il cambiamento nei rapporti è testimoniato da una dichiarazione dell’OUA del 1975, che affermò l’equiparazione del sionismo e dell’occupazione in Palestina all’apartheid in Sudafrica e in Rodesia del Sud (oggi Zimbabwe). Tuttavia, gli accordi di Camp David (1978), il ritiro dalla penisola del Sinai (1982), gli accordi di Oslo (1993) e la pace stilata con la Giordania (1994) furono atti politici che, nel contesto dell’indebolimento dell’URSS e della fine della Guerra Fredda, ebbero come conseguenza la riapertura delle relazioni diplomatiche tra Israele e il continente africano, le quali non subirono più gravi interruzioni (a parte le rotture di Tunisia e Marocco durante la seconda Intifada e della Mauritania durante la prima guerra a Gaza del 2009), almeno fino al 7 ottobre 2023. Nonostante l’Unione Africana abbia dichiarato che la colpa dell’offensiva di Hamas sia da imputare alla permanente negazione dei diritti fondamentali ai palestinesi da parte di Israele, si sono formate tre divisioni all’interno dell’organizzazione: 1. i Paesi “pro-Palestina”: Sudafrica, Algeria, Sudan, Ciad, Tunisia, Namibia, Botswana, maggiormente interessati dalla questione palestinese, a livello storico e religioso; 2. i Paesi “pro-Israele”: Kenya, Ghana, R.D. Congo, Zambia, Cameroon, sono quelli meno coinvolti dalla questione palestinese, in cui è in crescita costante il cristianesimo evangelico e pentecostale; e, infine, i Paesi “non-allineati”: Nigeria, Uganda, Angola e Tanzania. Si tratta in realtà di una divisione nata almeno due anni prima, più implicitamente, quando l’Unione Africana garantì a Israele lo status di osservatore, decisione ritrattata pochi mesi dopo.

Tra i più affidabili alleati di Israele nel continente spicca la Repubblica Democratica del Congo, con cui intrattenne relazioni diplomatiche sin dal 1962, ovvero da subito dopo la destituzione violenta e l’uccisione del presidente Lumumba da parte dell’esercito belga e congolese, guidato dal generale Kasa-Vubu (supportato dalla CIA). I settori di maggior collaborazione furono l’agricoltura e la formazione tecnico-logistica dell’esercito tramite l’elargizione di finanziamenti gestiti dalla MASHAV, l’agenzia per lo sviluppo della cooperazione internazionale del ministero degli esteri israeliano. Come la quasi totalità dei Paesi africani, anche il Congo-K, all’epoca appena rinominato “Zaire” e guidato da Sese Seko Mobutu, ruppe le relazioni con Israele in occasione della guerra dello Yom Kippur, nel 1973. Tuttavia, Mobutu fu uno dei primi leader africani a riaprire il dialogo con lo Stato ebraico, all’inizio degli anni Ottanta, in particolare collaborando nella formazione dell’aeronautica militare, le Forces Armées Zaïroises (FAZ). Nel 1994, durante un periodo di considerevole instabilità per il regime di Mobutu, dovuta all’interruzione del passaggio al multipartitismo, furono inoltre ingaggiati circa 60 consulenti militari, soprattutto ex membri dell’IDF specializzati in intelligence militare.

Nonostante il cambio di leadership nel Paese, la prassi del coinvolgimento di agenti in congedo delle forze armate israeliane è proseguita anche dopo l’esilio e la morte di Mobutu: secondo un’inchiesta dell’agenzia giornalistica israeliana UVDA, Joseph Kabila (in carica come presidente dal 2001 al 2019) ha incaricato un’azienda di raccolta informazioni, la Black Cube, di sorvegliare e intercettare i suoi oppositori politici. Questa azienda ha impiegato ex agenti del Mossad, stabilendoli in un hotel di Kinshasa, per spiare le riunioni degli avversari politici di Kabila quanto quelle dei suoi collaboratori, per monitorare la loro lealtà. La presenza israeliana in Congo non ha riguardato solo l’ambito politico-militare, ma anche quello economico: l’imprenditore israeliano Dan Gertler, arrivato nella RDC nel 1997 come commerciante di diamanti, ha accumulato un potere enorme nel settore minerario, soprattutto grazie a un rapporto personale instaurato con il presidente Laurent-Désiré Kabila, (appena eletto presidente) e, poi, con Joseph Kabila, il figlio che gli successe quando questi fu assassinato, nel 2001. Gertler ha così avuto accesso ad alcune delle risorse minerarie più redditizie del Paese: rame, diamanti e cobalto in primis e ha avviato collaborazioni con multinazionali come la anglo-svizzera Glencore e la kazaca ENRC. Nel 2013, lo UN Group of Experts (UNGoE, all’epoca guidato dall’ex Segretario dell’ONU Kofi Annan) evidenziava i rapporti stretti di Gertler con l’allora presidente della RDC, Joseph Kabila e denunciava alcune operazioni sospette, che permisero il trasferimento di alcune licenze per l’estrazione mineraria a compagnie sue e di suoi alleati a prezzi notevolmente inferiori al valore di mercato, generando enormi profitti e danneggiando l’economia del Congo. Israele ha istituito un consolato nella capitale congolese, a Kinshasa, nel 2012 e ha rinforzato la sua legittimità nel Paese attraverso i progetti umanitari delle ONG come “Africa 2030”. Quattro anni dopo la pubblicazione del report del UNGoE, il Dipartimento del tesoro statunitense ha sanzionato Gertler attraverso il Magnitsky Act: i suoi fondi nelle banche americane sono stati congelati, poiché accusato di aver accumulato la sua fortuna attraverso accordi opachi nel settore minerario e petrolifero in Congo e di aver usato il suo personale rapporto di amicizia con il presidente della RDC Joseph Kabila per agire come intermediario nella vendita di beni minerari.

Dall’elezione (truccata, secondo gli osservatori internazionali) del presidente Felix Tshisekedi nel 2019 i due Paesi hanno consolidato ancora di più il loro rapporto di collaborazione formale e strategica (il neopresidente frequentò la vita in un kibbutz in giovane età). Nei primi mesi del mandato presidenziale, la RDC e Israele hanno siglato l’ennesimo partenariato in campo militare, per il quale Israele avrebbe formato ed equipaggiato le divisioni dell’esercito congolese che combattevano le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo ribelle ugandese di matrice islamista apparentemente affiliato all’ISIS, che si è rifugiato nella regione congolese del Nord Kivu e dell’Ituri. Durante una visita a Washington nel 2020, Tshisekedi ha deciso di aprire una sezione commerciale speciale dell’ambasciata congolese in Israele, a Gerusalemme, anziché a Tel Aviv, in continuità con il piano dell’allora Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva spostato tre anni prima l’ambasciata americana nella Città Santa. Lo stesso Trump, negli ultimi giorni alla Casa Bianca, ha deciso di alleggerire le sanzioni su Gertler, senza annunciarlo pubblicamente. Tuttavia, subito dopo il burrascoso insediamento di Joe Biden, le sanzioni sono tornate alla severità originale, come richiesto dagli attivisti anticorruzione congolesi.

All’inizio del 2023, Tshisekedi ha ripetutamente contattato la Casa Bianca per intercedere in favore di una revisione o di un annullamento delle sanzioni imposte a Gertler, affermando che la RDC non avrebbe più ragione di manifestare alcuna rimostranza nei suoi confronti. A ogni modo, l’imprenditore ha avviato svariate azioni legali nei confronti di attivisti anticorruzione, informatori, giornalisti e ONG di tutela dell’ambiente; in particolare, due whistleblower impiegati presso Afriland First Bank di Kinshasa, sono dovuti fuggire dal Paese dopo aver denunciato un potenziale meccanismo di riciclaggio attraverso cui Gertler potrebbe essere riuscito ad aggirare le sanzioni.

Gli eventi del 7 ottobre 2023 e la successiva campagna militare israeliana nella Striscia di Gaza hanno avvicinato nuovamente i due governi. All’interno dell’Unione Africana (UA, succeduta all’OUA, nel 2002), la RDC è uno dei Paesi che si è schierato maggiormente dalla parte dello Stato ebraico. La convergenza massima tra i due Paesi è stata raggiunta a gennaio 2024, quando è emerso che il governo congolese si era reso disponibile ad accettare i palestinesi di Gaza che, per “migrazione volontaria”, si sarebbero voluti trasferire in territorio congolese. Questa politica è stata principalmente sostenuta dai ministri Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, ma lo stesso Netanyahu ha confermato di star intrattenendo dei colloqui con il governo congolese ed altri Stati africani non meglio precisati per pianificare i “trasferimenti”. La proposta è stata sospesa dopo le accuse di pulizia etnica e deportazione da parte di diplomatici delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea; il Dipartimento di Stato americano ha bollato la proposta come “provocatoria” e “irresponsabile”. La proposta di deportazione dei palestinesi gazawi in Congo è stata letta da alcuni osservatori come il tentativo di fornire manodopera a basso costo per il settore minerario, ma è stata bloccata sul nascere. Cionondimeno, è stata dimostrata la facilità di intesa tra i due Stati, anche nei riguardi di un piano palesemente illegale ai sensi del diritto internazionale umanitario e condannato immediatamente dalla comunità internazionale.

Ad ogni modo, a maggio del 2024, è emersa la volontà da parte del Dipartimento del Tesoro di diminuire progressivamente le sanzioni su Gertler, attraverso un accordo che vedrebbe il magnate israeliano abbandonare definitivamente la RDC in cambio di una somma di denaro per compensare le royalties milionarie che perderebbe. Questo “patto di buonuscita” è stato criticato da alcune ONG e da quattro parlamentari americani, sia democratici che repubblicani, i quali sostengono che, se si dovesse percorre questa opzione, gli Stati Uniti perderebbero credibilità nella lotta alla corruzione visto che Gertler riceverebbe un rimborso economico legale per aver perso una fonte di reddito ottenuta illegalmente.

A meno di due giorni dalla proposta del Dipartimento del Tesoro, è stato tentato il più recente dei golpe che hanno coinvolto la RDC, organizzato da Christian Malanga, un cittadino statunitense di origine congolese, insieme a un commando formato da circa 40 uomini. Nonostante la natura di questo golpe non sia stata ancora chiarita del tutto, sono emersi alcuni elementi che potrebbero ricollegarlo alle tensioni e ai mutamenti in atto nel settore minerario che coinvolgono Gertler. Tra i tre cittadini statunitensi coinvolti, spicca Benjamin Zalman-Polun, un uomo d’affari di origine ebraica che lavora nel settore minerario, della cannabis e dei liquidi delle sigarette elettroniche, principalmente in Mozambico e, appunto, in RDC. Egli è stato fotografato nel 2022 insieme a Malanga a Tel Aviv, davanti ad un negozio di dispositivi di sicurezza. Il 13 settembre si è concluso il processo ai golpisti, risolvendosi nella comminazione di 37 condanne a morte (tra cui Malanga, Zalman-Polun e tutti gli imputati con passaporto occidentale) e 14 assoluzioni. Il Dipartimento di Stato americano ha deciso di non mettere pressione sul governo di Kinshasa per bloccare le esecuzioni dei suoi tre cittadini condannati.

Una ipotesi plausibile è che il tentato golpe possa inserirsi anche nel contesto della guerra commerciale USA-Cina, i Paesi che hanno il maggior interesse nel garantirsi forniture di minerali cruciali dalla RDC; la ridistribuzione delle licenze minerarie post-Gertler, infatti, rappresenta una fase chiave per definire chi avrà accesso a queste risorse strategiche nel prossimo futuro, soprattutto per quanto riguarda la transizione energetica. Israele ha tutto l’interesse nello schierarsi dalla parte del vincitore in questo scontro per le risorse presenti nel suolo congolese, poiché il suo settore industriale high-tech dipende principalmente dalle forniture di cobalto e rame congolesi; questa necessità coincide con la pressione americana su Israele affinché tagli i legami commerciali con la Cina, intensificatasi soprattutto da ottobre 2023. L’uscita di scena di Gertler potrebbe non essere la soluzione definitiva alla corruzione dilagante nelle licenze minerarie congolesi e al sistema di sfruttamento di stampo neocoloniale che le caratterizza, ma sarebbe sicuramente un inquietante precedente di impunità se avvenisse nelle modalità proposte dal Dipartimento del Tesoro.

In definitiva, le relazioni tra Israele e la Repubblica Democratica del Congo nacquero per una convenienza reciproca, concretizzatasi nell’estrazione predatoria ed il commercio corrotto di materie prime, in cambio di finanziamenti nel settore tecnico-infrastrutturale, nel settore agricolo e di supporto nella formazione del personale di sicurezza, tanto nella lotta al terrorismo quanto nella repressione del dissenso e nello spionaggio. Questa relazione speciale nasce e si perpetra nel contesto di un forte interesse israeliano ad ampliare la sua legittimità internazionale e rendere i Paesi africani antisraeliani una minoranza. Nonostante la narrazione che vorrebbe Israele sempre più isolato dall’intera comunità internazionale per i crimini di guerra commessi a Gaza e in Libano, è probabile che le relazioni politiche ed economiche con alcuni degli Stati africani rimangano intatte o addirittura si intensifichino, come nel caso della RDC.

Fonti

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Yacobi, H. (2016) Israel and Africa. A Genealogy of Moral Geography, Routledge.

* Dottore in Scienze sociali per la globalizzazione e Studente di Scienze politiche e di governo presso l’Università degli Studi di Milano.

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