MEXICO ELECTS CLAUDIA SHEINBAUM AS ITS FIRST FEMALE PRESIDENT

di Roberto Cammarata[i] e José Ramón Narváez Hernández[ii]

Il 2 giugno in Messico si è tenuta una tornata elettorale che da molti è stata considerata storica per diversi motivi, a partire dalle dimensioni della stessa.

Più di 98 milioni di persone sono state chiamate al voto per eleggere il nuovo Presidente della Federazione, carica ricoperta fino ad ora dal popolarissimo Andrés Manuel López Obrador (detto Amlo), che ha iniziato la sua carriera politica diversi decenni fa nello storico PRI (Partido Revolucionario Insititucional), per poi divenire il leader del partito di sinistra PRD (Partido de la Revolución Democratica) e infine convertirsi in fondatore e guida del movimento populista di sinistra Morena (Movimiento de Regeneración Nacional), che in pochi anni è diventato letteralmente egemone nel panorama politico messicano.

Nella stessa data sono stati inoltre eletti 628 parlamentari federali e più di 20.000 altre cariche istituzionali, considerando i molti Stati della Federazione in cui si sono rinnovati governatori e assemblee, oltre che i municipi.

Alle elezioni presidenziali hanno partecipato poco più di 60 milioni di elettori, con un’affluenza superiore al 60% degli aventi diritto.

Al di là degli aspetti quantitativi, però, un altro motivo per cui questo voto è considerato storico è che per la prima volta il Messico avrà una Presidente donna. La vittoria, anzi è il caso di dire il trionfo viste le proporzioni della stessa, è andata a Claudia Sheinbaum Pardo, delfina del Presidente uscente e da lui ampiamente sostenuta in tutta la campagna elettorale. Anche la principale sfidante era una donna, Bertha Xóchitl Gálvez Ruiz, ed era sostenuta da una anomala ed eterogenea coalizione formata dai principali partiti di opposizione, il PRI, il PAN (Partido Acción Nacional) e il PRD (che per diverse decadi sono stati concorrenti alle elezioni). Un’alleanza, quest’ultima, che è però apparsa agli analisti e soprattutto agli elettori come difensiva di un assetto politico che ormai ha fatto il suo tempo, con pochi argomenti per contrastare l’avanzata populista e le risorse, economiche e mediatiche, messe in campo da Amlo, dal suo movimento e – aggiungono i critici e gli oppositori – dal governo stesso, a sostegno della continuità politica con la presidenza uscente (tanto da arrivare a parlare di “Elecciones de Estado”).

Veniamo ai numeri. Questi i dati finali resi noti dall’INE, l’Instituto Nacional Electoral:

  • Claudia Sheinbaum Pardo, candidata della coalizione “Sigamos Haciendo Historia”: 35.924.519 voti, pari al 59.76%;
  • Bertha Xóchitl Gálvez Ruiz, candidata della coalizione “Fuerza y Corazón por México”: 16.502.697 voti, pari al 27.45%;
  • Jorge Álvarez Máynez, candidato del partido “Movimiento Ciudadano”: 6.204.710 voti, pari al 10.32%.

Un risultato, questo, indubbiamente atteso in termini di ordine di arrivo dei candidati, ma non certo previsto con queste dimensioni a favore della candidata “oficialista” che ha di fatto più che doppiato il consenso della sua più diretta competitor.

La campagna elettorale si è distinta per essere forse la più violenta della propria storia (sono più di 30 i candidati assassinati e molti di più quelli che hanno subito attacchi e intimidazioni di vario tipo), anche grazie ad una infiltrazione massiccia dei cartelli del narcotraffico che hanno tentato in tutti i modi di influenzare l’esito elettorale, soprattutto a livello locale.

Nonostante le violenze e il clima particolarmente teso, il giorno delle elezioni si è svolto senza particolari intoppi e, come si dice in Messico, è stata una “fiesta democratica”. Lunghe code ai seggi nella capitale e non solo, perfino in quelli allestiti in numerose capitali e città straniere (dagli Stati Uniti all’Europa) per consentire il voto ai tanti messicani residenti all’estero. Le elezioni hanno avuto la più grande partecipazione di osservatori internazionali, assai pochi incidenti, la maggior parte avvenuti in Chiapas, dove in diversi casi non è stato possibile posizionare le cabine elettorali a causa del rischio di scontri.

Poi, alla chiusura delle urne e con l’arrivo dei primi dati ufficiali, grandi festeggiamenti nelle strade e nelle piazze da parti dei militanti e dei sostenitori di Morena, con uno Zocalo ribollente di entusiasmo e di sostegno alla nuova Presidenta.

Claudia Sheinbaum è ovviamente finita subito sulle prime pagine di tutti i giornali internazionali, ricevendo i complimenti dei principali leader mondiali. La copertura mediatica è stata impressionante. La tornata elettorale ha infatti attirato grandissima attenzione dei media internazionali. Il fatto che fosse praticamente certo che una donna sarebbe divenuta per la prima volta Presidente del Messico ha aggiunto un ingrediente in più.

Sebbene i sondaggi abbiano sempre dato in vantaggio Sheinbaum, il risultato è rimasto incerto fino all’ultimo perché l’opposizione è riuscita a mobilitare una parte significativa della popolazione attraverso cortei chiamati “la marea rosa” (dal colore scelto come distintivo della campagna di Xóchitl Gálvez). Tali manifestazioni sono state indette con parole d’ordine a difesa delle istituzioni e contro i progetti di riforma (a partire da quella costituzionale e da quella del potere giudiziario) voluti dal presidente López Obrador.

Non è mancata un po’ di ansia dei mercati finanziari nei primi momenti dopo il voto quando, da un lato, alcuni leader dei partiti di opposizione (a partire dal Presidente del PAN) hanno annunciato ricorsi contro la gestione delle elezioni, segnalando violazioni e chiedendo riconteggi delle schede e, dall’altro lato, diversi parlamentari vincitori hanno minacciato di riprendere immediatamente il percorso delle riforme volute da Amlo. Quelle riforme che dovrebbero portare a compimento la cosiddetta “Cuarta Transformación” (CT), ossia la meta politica presentata in modo fortemente propagandistico in tutta la campagna elettorale. Secondo la retorica di López Obrador, infatti, le riforme da lui promosse (e che dovrebbero trovare compimento in questa nuova legislatura grazie alla vittoria della sua Delfina e del suo movimento politico) sarebbero di una tale portata da concretizzare la quarta tappa della trasformazione del Paese, dopo le tre storiche precedenti: la Guerra d’Indipendenza del 1810 guidata dal Miguel Hidalgo y Costilla contro il dominio della corona spagnola; la ‘Guerra della Riforma’, quando il Paese divenne uno Stato laico, sotto l’impulso di Benito Juárez; e la Rivoluzione Messicana del 1910 contro la dittatura di Porfirio Díaz, quella di Emiliano Zapata, Venustiano Carranza e Francisco “Pancho” Villa, che portò alla Costituzione politica degli Stati Uniti Messicani del 1917, ancora oggi vigente.

Le uscite nel senso di una accelerazione di tale processo da parte di alcuni parlamentari di maggioranza sono parse un tentativo un po’ maldestro di forzare le cose alla luce di un risultato che consentirebbe, visti i numeri della maggioranza nei due rami del Parlamento, di portare a casa una riforma costituzionale con i soli propri voti, senza dover aprire un tavolo politico con le minoranze.

La Presidente eletta ha però invitato alla moderazione e alla pazienza, assicurando dialogo e nessuna intenzione di forzare le regole democratiche e l’unità politica del Paese e questo (insieme alle dichiarazioni di accettazione del risultato elettorale da parte dei partiti sconfitti nelle urne) ha non solo calmato i mercati, ma ha dato una prima prova di capacità di esercitare la leadership e l’autonomia da parte di Sheinbaum. Leadership e autonomia che non pochi ancora mettono in discussione, considerando la nuova Presidente poco più che un burattino nelle mani del vero leader politico del Paese, Amlo. Il quale, peraltro, fa ben poco per dimostrare il contrario, come quando ha deciso di uscire con una video-dichiarazione, ad urne appena chiuse e con risultati ancora parziali, anticipando di fatto la prima dichiarazione alla stampa della Presidente neo-eletta.

Infine, non si può non fare qualche considerazione sulle ricadute internazionali in termini geopolitici di queste elezioni messicane, in un anno in cui tra l’altro andrà alle elezioni anche il vicino di casa del nord, gli Stati Uniti, con un risultato, questo sì, ancora molto incerto tra la ri-elezione di Biden o la ri-elezione di Trump.

In termini regionali, considerando il contesto latinoamericano, l’elezione di Sheinbaum va a rafforzare l’asse di sinistra (sebbene con differente tasso di populismo) che accomuna tre dei maggiori paesi latinoamericani, Messico, Brasile e Venezuela, e che si presenta come contraltare continentale al populismo di destra rappresentato in modo particolarmente colorito dall’anarco-liberista Milei in Argentina.

Rispetto ai rapporti con gli Stati Uniti, queste elezioni messicane non hanno di fatto cambiato nulla. E probabilmente poco cambieranno anche quelle statunitensi del prossimo autunno. In un contesto globale di conflitti (anche armati) crescenti e di rapporti sempre più tesi tra USA e Cina, con ripercussioni economiche che vedono proprio nel Messico una nuova terra promessa della crescita economica capace di ospitare delocalizzazioni produttive dal nord America e triangolazioni in grado di bypassare dazi, sanzioni e politiche di ritorsione tra le grandi potenze in conflitto, i due paesi – come hanno sottolineato diversi commentatori – sono “destinati a collaborare”.

Da questa collaborazione necessaria e dagli accordi che entrambi i paesi, con i rispettivi nuovi Presidenti, raggiungeranno al termine di questa lunga tornata elettorale continentale, dipenderà anche l’esito della lotta contro i cartelli della droga, il traffico di armi, la criminalità organizzata e il controllo dei flussi migratori dal centro e sud America, che anche qui sta assumendo sempre più la forma di un vero e proprio traffico di esseri umani.

Tutte cose di cui il nuovo Messico a guida Claudia Sheinbaum, che per il momento assomiglia ancora tanto a quello di ieri, non potrà non occuparsi.

FONTI

[i] Roberto Cammarata è professore associato di Filosofia Politica presso il Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici dell’Università degli studi di Milano.

[ii] José Ramón Narváez Hernández è professore di Filosofia del diritto presso la Escuela Judicial Electoral del Tribunal Electoral del Poder Judicial de la Federación, México.

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