LE ELEZIONI PRESIDENZIALI IN SIRIA: UNA CONTESTATA RICERCA DI LEGITTIMITÀ PER ASSAD

di Sara Zanotta[1]

Il 26 maggio 2021, si sono tenute in Siria le seconde elezioni presidenziali dall’inizio della guerra civile. Dei 51 potenziali candidati iniziali, solo tre sono stati autorizzati a prendere parte alla corsa alla presidenza: l’attuale presidente Bashar al-Assad, in carica dal 2000, Abdallah Salloum Abdallah, ex ministro, e Mahmoud Marei, esponente della parte di opposizione tollerata dal regime. Tuttavia, la presenza di altri candidati non indicava una reale competizione. Serviva piuttosto per dare una parvenza di legittimità alla rielezione di Assad, in linea con quanto avvenuto in occasione delle ultime elezioni presidenziali, nel 2014. Anche quell’anno il presidente si era scontrato, in maniera meramente simbolica, con altri due candidati e i risultati delle elezioni lo avevano dato per vincitore con circa il 90% dei voti. C’era ragione di credere, quindi, che anche quest’anno si ripetesse un simile scenario, e così è stato: il presidente siriano è stato riconfermato con una percentuale di voti ancora più alta, il 95,1%, con un tasso di partecipazione del 78,66%.

Intanto, la situazione nel paese continua ad essere estremamente critica da un punto di vista umanitario, economico e sociale. Durante i dieci anni di guerra civile più della metà della popolazione siriana ha dovuto lasciare le proprie case. 6,6 milioni di persone, di cui oltre un terzo bambini, sono sfollati interni, il dato più alto al mondo, a cui bisogna aggiungere i siriani che hanno lasciato il paese, 5,6 milioni di persone. A tale situazione si sono affiancate la rottura del tessuto sociale e una gravissima crisi economica, favorita dalle sanzioni internazionali, che, insieme all’insicurezza derivante dal conflitto, crea un circolo vizioso di ulteriori migrazioni. Sempre a causa del conflitto, inoltre, una parte di siriani non ha potuto votare, da un lato poiché Assad non è riuscito a rimettere sotto il suo controllo l’intero territorio, dall’altro perché coloro che si trovavano all’estero potevano votare il 20 maggio recandosi nelle ambasciate siriane e presentando un passaporto valido e indicante il timbro d’uscita dal territorio siriano, ma una simile pratica ha escluso tutti coloro che hanno lasciato il paese tramite canali non ufficiali.

Considerati questi fattori, in vista delle elezioni Assad aveva adottato alcune misure per accrescere il consenso popolare. Si era trattato sia di misure a livello economico, tra cui l’aumento degli stipendi statali, che di mosse meramente cosmetiche come la liberazione di oltre 400 persone, detenute per aver violato la legge sul crimine informatico che, a dispetto del nome, punisce per aver espresso critiche nei confronti della difficile situazione in cui versa il paese. Tali misure sembravano rappresentare una semplice strategia elettorale, in quella che agli occhi dell’opposizione e dei paesi occidentali appariva come una farsa per perpetuare l’esistenza del regime. Difatti, solo ad aprile, il Network Siriano per i Diritti Umani aveva registrato 147 casi di detenzione arbitraria.

Focalizzandosi sul piano internazionale, invece, i risultati delle elezioni non favoriranno una più rapida ed efficace risoluzione della crisi siriana. Infatti, già nei giorni prima del voto erano emerse posizioni divergenti. L’Unione Europea, gli Stati Uniti e la Turchia le ritenevano illegittime, in quanto in contrasto con la Risoluzione 2254 delle Nazioni Unite che richiede elezioni libere e giuste dopo la promulgazione di una nuova costituzione. Tale posizione è stata però considerata inaccettabile dalla Russia, mentre l’Iran ha fatto sapere tramite il ministro degli Esteri Zarif, dopo un incontro con il suo omologo siriano, che i due paesi ribadiscono l’importanza di queste elezioni per il mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità nel paese. Il fatto che il regime abbia scelto di procedere con le elezioni, portando ad una così ampia maggioranza di suffragi in suo favore, potrebbe quindi, segnalando il disprezzo di Assad per la Risoluzione 2254 e confermando il sostegno di Russia e Iran, rendere ancora più difficoltoso il processo di pace.

BIBLIOGRAFIA

[1] Laureanda in Relazioni Internazionali e cultrice della materia in Storia e Istituzioni dei Paesi Islamici all’Università degli Studi di Milano. Research fellow presso theSquare – Mediterranean Centre for Revolutionary Studies

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