I GIORNALISTI IN MAROCCO: REPRESSIONI ALL’OMBRA DEL CORONAVIRUS
Traduzione a cura di Sara Zanotta[1]
(Articolo di Hans-Christian Rößler, pubblicato sul sito del Frankfurter Allgemeine Zeitung)
Testo originale reperibile in: https://www.faz.net/2.1677/wie-marokko-in-der-pandemie-gegen-kritiker-vorgeht-16886949.html
I numeri ancora una volta stanno improvvisamente crescendo. Venerdì in Marocco sono stati annunciati 1063 nuovi casi di Coronavirus. Non ce n’erano ancora stati così tanti in un solo giorno nel paese nordafricano, che credeva che il peggio fosse passato. Le autorità hanno in gran parte sigillato Tangeri, Casablanca, Marrakech e altre città. Durante i primi mesi il governo, sotto la guida del re Mohamed VI, è riuscito a tenere il virus sotto controllo. Il duro intervento del regime a Rabat è percepito in maniera sempre più forte anche dai suoi critici.
Più di cento giornalisti hanno promosso a luglio in un manifesto congiunto la fine delle campagne diffamatorie contro coloro che criticano persone vicine all’apparato di potere. Non appena le autorità hanno preso provvedimenti contro tali voci, sono seguite diffamazioni e insulti in parte della stampa, come nel caso di Omar Radi: il premiato giornalista investigativo, che lavora per il sito di informazione Le Desk, è in custodia cautelare dal 29 luglio a causa delle accuse di spionaggio e stupro.
In precedenza, Radi era stato interrogato una dozzina di volte e una volta era stato trattenuto per un breve periodo. Al tempo stesso, i media, che secondo i difensori dei diritti umani marocchini sono vicini ai servizi di sicurezza, l’hanno diffamato. A marzo era già stato condannato a cinque mesi di reclusione, che è stata sospesa con condizionale: Radi aveva definito sul social network Twitter «boia» un giudice che aveva condannato a lunghe pene detentive i membri del movimento di protesta nelle montagne del Rif. Ora si indaga su Radi anche per l’accusa di aver accettato denaro da servizi segreti stranieri.
Le accuse di stupro dovrebbero essere esaminate completamente , chiede Eric Goldstein, che è responsabile della regione presso lo Human Rights Watch. Ma lui sarebbe preoccupato «che entrambe le accuse contro Omar Radi, in un contesto di crescenti attacchi alla libertà di parola in Marocco, possano rappresentare una eclatante manipolazione del sistema giuridico per mettere a tacere un giornalista critico». Radi non è il solo giornalista che è entrato in conflitto con le autorità. Ma lui aveva causato un particolare scalpore a giugno quando Amnesty International ha annunciato che il suo cellulare sarebbe stato hackerato con l’aiuto del software di spionaggio Pegasus dell’azienda tecnologica israeliana NSO Group. L’azienda israeliana sostiene di vendere il programma ai governi solo per la lotta al terrorismo e alla criminalità. Poco dopo, il portale online marocchino Chouf-TV aveva pubblicato i movimenti sul conto di Radi, definito una «spia», così come i dettagli delle conversazioni confidenziali via chat con stranieri.
Presso il think tank americano Carnegie Endowment for International Peace si ritiene che il Marocco sia di fronte ad una contraddizione. Il re Mohamed VI, che nel corso degli anni ha aperto e modernizzato con prudenza il paese, ha convinto molti marocchini con la sua efficiente gestione della crisi durante la pandemia. «Tuttavia, politicamente la crisi sanitaria ha rafforzato l’autoritarismo del regime. La crescente digitalizzazione, che ha sostenuto il lockdown, rispecchia una tendenza ad un maggiore controllo statale», osservano le due esperte di Nord Africa, Intissar Fakir e Isabelle Werenfels. Ma le riforme, che diventeranno necessarie come conseguenza del Coronavirus, potrebbero avere successo solo se fosse anche possibile criticarle.
[1] Studentessa di Relazioni Internazionali e assistente del corso di Storia e Istituzioni dei Paesi Islamici all’Università degli Studi di Milano