IL CILE DOPO LE ELEZIONI DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE. VERSO UNA NUOVA CONFIGURAZIONE POLITICA DEL PAESE.
di Laura Abbruzzese[1]
Sono trascorse tre settimane dalla grande tornata elettorale che il paese sudamericano ha affrontato lo scorso 15 e 16 maggio; giorni in cui le cilene e i cileni sono stati chiamati alle urne per eleggere, da un lato, i membri dell’Assemblea Costituente, dall’altro, i sindaci, i consiglieri comunali e, per la prima volta dopo la riforma del 2018 (legge n°21073), i governatori regionali. I risultati elettorali sono stati sorprendenti, tanto da agitare ulteriormente la nuova stagione politica che il Cile sta attraversando, il cui inizio possiamo far risalire al “lungo” ottobre 2019, quando le proteste massive bloccarono l’intero paese per la richiesta di maggiori diritti, più uguaglianza e sicurezza sociale[2]. Le mobilitazioni furono tali da far cedere il Governo e una parte dell’opposizione alla stipula di un accordo che sancisse l’apertura di un inedito processo costituente per il paese. Il 15 novembre 2019 venne firmato El Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución[3].
La richiesta di una nuova Costituzione che sostituisse quella promulgata nel 1980 nel contesto della dittatura civico militare guidata da Augusto Pinochet – e modificata solo marginalmente durante la presidenza di Riccardo Lagos (2000-2006) -, si era imposta fin dall’inizio degli anni Novanta negli ambienti della sinistra extraparlamentare, ma solo con l’arrivo del nuovo millennio quest’esigenza cominciò a farsi spazio tra l’opinione pubblica e infatti, nel 2013, la candidata presidenziale Michelle Bachelet, annoverò la proposta di una nuova Costituzione tra le principali promesse della sua campagna elettorale. Davanti però all’ennesima promessa disattesa, l’ adozione di una nuova costituzione si è poi imposta prepotentemente tra le richieste nate con le mobilitazioni dell’Ottobre 2019.
Nel dicembre successivo alla firma dell’Accordo, quindi, si stabilì un calendario elettorale caratterizzato da tre momenti: un primo referendum in cui si sarebbe chiesto se sostituire o meno la Costituzione vigente, e che tipo di organo avrebbe dovuto eventualmente redigere la nuova Carta; le elezioni dei membri costituenti e un referendum conclusivo per la ratifica del nuovo testo.
Il risultato elettorale del referendum del 25 ottobre 2020 fu inequivocabile, il 78% della popolazione votò a favore dell’elaborazione, tramite Convenzione Costituente, di una nuova Magna Carta. Si sancì così il desiderio del paese e delle sue nuove generazioni di emanciparsi dall’eredità – politica, economica e culturale – lasciata tanto dalla dittatura quanto delle forme politiche che caratterizzarono la sua transizione alla democrazia, e cioè quella “transición pactada” che significò un cambio di regime avvenuto all’interno dell’itinerario istituzionale stabilito dalla dittatura stessa, caratterizzata da accordi tra le élite del paese con l’esclusione dei movimenti sociali che quella transizione l’avevano resa possibile. Il risultato fu il consolidamento di una democrazia a bassa intensità che ha progressivamente rivelato la grande vittoria della dittatura, cioè imporre all’opposizione un sistema politico che permettesse la proiezione in democrazia del modello neoliberista. Sintomo delle numerose continuità tra la dittatura civico-militare ed il regime democratico che seguì, fu proprio il mantenimento della stessa Carta Costituzionale che, insieme alle Leyes Organicas Constitucionales, ad un potentissimo Tribunale Costituzionale e al sistema elettorale binominale vigente fino al 2017, sono stati tra i principali impedimenti al superamento dei limiti di quello Stato Sussidiario e quella “democrazia protetta” imperanti dalla dittatura.
Tornando alle elezioni appena celebrate, il primo dato da analizzare è quello dell’affluenza che si è attestata intorno al 43%. Molto meno di quanto si sperasse. La partecipazione è stata, infatti, più bassa rispetto al referendum costituzionale di Ottobre ma più alta delle elezioni municipali precedenti. Nonostante le mobilitazioni politiche iniziate nell’ormai incredibilmente lontano 2019 abbiano ridato alla politica un appeal inusitato, riportando le persone per le strade, il dibattito politico nelle piazze- quelle reali e quelle virtuali- la partecipazione è stata ancora bassa e possiamo rintracciare quattro cause principali: in primo luogo, il ruolo giocato dalla pandemia; in secondo luogo, la scelta di una parte della popolazione (non particolarmente rilevante dal punto di vista numerico) di boicottare questo processo costituente, considerando illegittima la sua genesi; in terzo luogo, la complessità di queste elezioni multiple, caratterizzate inoltre dalla presenza di numerose liste e moltissimi candidati, qualcosa che richiedeva un importante livello di informazione; infine, un astensionismo strutturale che da vent’anni lascia al margine del processo elettorale la metà della popolazione. Questa volta, però, la giustificazione non può essere stata la scarsa offerta di candidati, essendocene stati 1.373 in 91 liste, l’offerta più ampia dal ritorno alla democrazia.
Il dato che sicuramente ha accomunato le elezioni municipali, amministrative e quelle per la Costituente, è la débâcle elettorale delle forze di centro-destra (riunite nella coalizione Chile Vamos, guidata dal Presidente Sebastián Piñera) che ha perso consensi in Regioni, Comuni e Municipalità strategici, come lo snodo portuale di Valparaíso, la cui regione passa a Rodrigo Mundaca, sessant’anni, ingegnere agronomo, attivista e portavoce nazionale del movimento ecologista MODATIMA, Movimiento de Defensa del Agua, la Tierra y la Protección del Medioambiente.
Le forze di centro-destra hanno perso anche nella capitale, la municipalità di Santiago va alla giovane Iracì Hassler, trent’anni, ingegnere, militante del Partido Comunista (PC), femminista, ex dirigente del movimento studentesco ed ex consigliera comunale. Ma soprattutto il Centro Destra ottiene solo 37 seggi su 155 nell’Assemblea Costituente, non raggiunge quindi l’agognata soglia di un terzo, necessaria por poter esprimere il veto in fase di approvazione degli articoli.
Continuando con una panoramica tra i seggi della Costituente, sul fronte dei partiti tradizionali, emerge un’altra schiacciate sconfitta: le forze di centro-sinistra, unite nella lista Apruebo, conquistano 25 seggi. Diversamente, la lista Apruebo Dignidad nella quale figurano il Partido Comunista (PC) insieme a partiti piuttosto giovani come il Frente Amplio (FA)- nato dall’esperienza delle mobilitazioni studentesche del 2011 e che ha poi debuttato con successo alle elezioni parlamentari del 2017-, ottiene un discreto risultato, conquistando 28 seggi.
I seggi restanti sono stati assegnati ai candidati indipendenti, che hanno dato vita a liste nate dalla riarticolazione dei vari settori dei movimenti sociali, molti dei quali con un forte legame politico con i territori, ed esperienze di nuova o antica militanza. Questi ultimi sembrano essere stati i veri vincitori di queste elezioni. Un nuovo attore che risponde ad una vecchia esigenza, quella di formare una terza forza alternativa al duopolio composto dalle coalizioni di centro destra e centro sinistra costituitesi dopo la Transizione.
Non ultimo per importanza è il dato dei 17 rappresentanti dei popoli indigeni: Mapuche, Aymara, Rapa Nui, Quechua, Lican Antay, Diaguita, Colla, Kawashkar, Chango e Yagán. Il numero maggiore di seggi è andato ai mapuche, il popolo indigeno più numeroso del paese. Tra questi spiccano nomi di alto calibro, legati al movimento autonomista, come Adolfo Millabur, storico sindaco di Tirua; Natividad Llanquileo, avvocatessa con una lunga esperienza nella difesa dei diritti umani e alleata costante dei prigionieri politici mapuche; la Machi Francisca Linconao, autorità spirituale e politica, con alle spalle molti anni di persecuzione e per questo simbolo della storica criminalizzazione subita dal movimento mapuche da parte dello Stato cileno.
Da un lato assistiamo, quindi, ad un’importante perdita di consensi del centro destra e alla sua possibile riorganizzazione lontano dalla figura del presedente Piñera che, secondo gli ultimi dati forniti dal Cadem[4] gode oggi di un consenso irrisorio vicino al 9%. Dall’altro lato, risulta altrettanto interessante vedere come si sia progressivamente rafforzato un diffuso sentimento anti-concertazionista[5] che ha prodotto uno spostamento dell’elettorato a sinistra dell’ex Concertación. Un immaginario quasi rivoluzionario sembra farsi spazio, spiegando in parte anche il punto di inflessione che vive il Partido Comunista (PC), il cui risultato elettorale stupisce chi conosce lo spirito anticomunista che storicamente attraversa il paese.
A partire da questa composizione dell’Assemblea Costituente e alla luce dei programmi politici dei vari membri, si possono quindi cominciare a delineare le istanze che si faranno spazio durante la stesura della Carta. Tra queste, emergono in particolare una possibile riduzione dei poteri del Presidente della Repubblica o addirittura una trasformazione della forma di governo, dal presidenzialismo al semi presidenzialismo; un incremento del decentramento del paese con maggiore autonomia alle regioni; la riforma del Tribunale Costituzionale; importanti trasformazioni dal punto di vista dei diritti, guardando a questi da una prospettiva di genere nella prima assemblea costituente al mondo composta per metà da donne. In particolare: maggiore sicurezza sociale; diritto alla casa, alla salute e all’educazione; protezione, accesso e distribuzione dell’acqua in un paese che l’ha completamente privatizzata; la denominazione di Stato Plurinazionale e tutele per i popoli indigeni.
La prossima tappa elettorale prevista dal calendario è quella delle elezioni primarie per la selezione dei candidati alla Presidenza della Repubblica. Le elezioni presidenziali e parlamentari del prossimo Novembre sembrano oggi piuttosto vicine e risulta inevitabile chiedersi quali saranno le conseguenze dell’ultima tornata elettorale sul prossimo futuro. Se, da un lato, l’accordo tra il Partido Comunista e il Frente Amplio sembra consolidarsi con successo, dall’altro, bisogna stare a vedere che succederà tra le forze di centro destra e centro sinistra. Per quanto riguarda le prime, sarà interessante guardare a che tipo di alleanze metteranno in piedi per non rischiare ulteriori sconfitte e, inoltre, se all’articolazione di un discorso “quasi- rivoluzionario”, risponderanno con l’alimentazione di un immaginario di segno opposto. Tra le seconde, invece, osserviamo probabilmente l’estinzione del Partido por la Democracia (PPD) che, per ammissione del suo stesso presidente, Heraldo Muñoz, si trova al termine del suo ciclo vitale; altrettanto complessa è la situazione tanto dello sconfittissimo Partido Demócrata Cristiano (PDC), quanto del Partido Socialista (PS) che si trova davanti alla sfida di chiarire il suo progetto politico, anche alla luce dell’ingombrante eredità dell’allendismo. Infine, si attende intrepidi un’eventuale candidatura alla Presidenza della Repubblica proveniente dalle liste di indipendenti, come la Lista del Pueblo.
Che dire? Gli inaspettati risultati elettorali hanno dimostrato che la partita è aperta, facendo ritornare dosi di entusiasmo che il clima pandemico aveva in parte affievolito. Ma soprattutto fanno pensare che i meccanismi di controllo della classe politica sul processo costituente – sanciti nell’Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución del 15 novembre 2019 – sono più sfidabili di quanto si credesse. Senza dubbio resta ancora molto da fare, prima di tutto sul fronte del rispetto dei diritti umani, messi a dura prova dal ricorso alla violenza del governo di Sebastian Piñera. I manifestanti in carcere da più di un anno, arrestati senza prove e in attesa di giudizio, restano ancora troppi. Troppo grande ancora è l’impunità di chi, con inaudita repressione, ha causato migliaia di vittime dall’ottobre 2019 ad oggi.
Fonti:
- Carrillo A. et all, Dossier Chile Despertó, Tinta Limon Ed, Buenos Aires, 2021.
- Casals M., La creación de la amenaza roja. Del surgimiento del anticomunismo en Chile a la campaña del terror de 1964, Lom, Santiago, 2016.
- Drake P., Jaksic I. (ed), El modelo chileno. Democracia y desarrollo en los noventas, Lom, Santiago, 1999.
- Garcés M., El despertar de la sociedad. Los movimientos sociales en America Latina y Chile, Lom, Santiago, 2012.
- Garretón M., Neoliberalismo corregido y progresismo limitado. Los gobiernos de la Concertación en Chile, 1990-2010, ARCIS/CLACSO, Santiago de Chile, 2012.
- Moulian T., Chile actual. Anatomía de un mito, LOM, Santiago, 2002.
- Pairican F., Malón. La rebellion del movimiento mapuche 1990-2013, Pehuen, Santiago, 2014.
- Pinto J. (ed), Las largas sombras de la dictadura: a 30 años del plebiscito, Lom, Santiago, 2019, p. 27.
- “Asì piensa la nueva constitución”, La Tercera, 18/05/2021, (in linea, https://www.latercera.com/investigacion-y-datos/asi-piensa-la-nueva-convencion/)
- https://www.cadem.cl/encuestas/
[1] Dottore di Ricerca in Studi Internazionali.
[2] Processo che in Cile è stato comunemente battezzato “estallido social”. Un termine largamente utilizzato ma che attribuisce al fenomeno un carattere estemporaneo, tendendo quindi a nascondere un processo sotterraneo di lunga durata e la temporalità tipica dei movimenti sociali.
[3] A non firmare l’accordo sono stati il Partido Comunista (PC), il Partido Progresista (PRO), la Federación Regionalista Verde Social (FRVS), il Partido Humanista (PH) e Convergencia Social (CS).
[4] Azienda cilena che svolge analisi di mercato e sondaggi sull’opinione pubblica.
[5] La Concertación de Partidos por la democracia è stata un’amplia coalizione di centro-sinistra che ha governato nel paese dal 1990 al 2010, anno in cui passò all’opposizione del primo governo Piñera. Successivamente, gli stessi partiti formarono un’altra coalizione chiamata Nueva Mayoría che tornò al governo dal 2014 al 2018.