AES: UN’ALTERNATIVA PER IL SAHEL?

di Cristiana Fiamingo[1]

L’evoluzione è completa. Il processo che ha portato Mali, Niger e Burkina Faso ad allontanarsi dal G5 Sahel, lasciando Mauritania e Chad al loro destino, e tagliando definitivamente i rapporti con la Francia e gli Stati Uniti, i sostenitori tradizionali di quella coalizione, realizzando infine l’Alliance des Pays du Sahel (AES), si è concluso lo scorso 6 luglio 2024. Dopo aver siglato un patto di mutua difesa, la Liptako-Gourma Charter, il 16 settembre 2023, prefiggendosi di sconfiggere assieme il terrorismo una volta per tutte, i capi di Stato delle tre giunte golpiste del Mali (Col. Assimi Goita), del Niger (Gen. Abdrahamane Tiani) e del Burkina Faso (Cap. Ibrahim Traoré) si sono incontrati a Niamey, capitale del Niger, nel primo vertice dei capi di Stato e di Governo dell’Alleanza che copre l’area transfrontaliera della regione del Liptako-Gourma.

Si è trattato di un vertice di grande rilevanza: con l’approvazione dell’atto istitutivo dell’AES, concordato a metà maggio tra i tre rispettivi ministri degli affari esteri, l’AES si è costituito come un nuovo organismo regionale che si pone in alternativa all’ECOWAS (Economic Community of West African States) dalla quale i tre stati si sono svincolati definitivamente il gennaio scorso, non lesinando accuse di dipendenza dell’ECOWAS dalle forze occidentali, pressati dalle sanzioni a seguito dei colpi di stato che li hanno portati al potere. Loro scopo dichiarato è quello di unire sforzi, risorse ed eserciti per combattere l’insicurezza della regione che nessuno, né l’ECOWAS, né le forze occidentali presenti da decenni nella regione hanno saputo assicurare – motivo della fine della fallimentare Operazione Barkhane (1 agosto 2014 – 9 novembre 2022). Ulteriore scopo dell’AES è quello di promuovere lo sviluppo socio-economico nell’area, nella consapevolezza di dover ricostruire tutta quella rete commerciale che era prima garantita dall‘ECOWAS. A tale scopo, si è prevista la creazione della AES Investment Bank e del Fondo di stabilizzazione, mirati alla realizzazione di progetti congiunti con l’obiettivo di assicurare alle popolazioni la sicurezza alimentare, garantire accesso a terra, acqua e sanità, ma anche istruzione e formazione professionale finalizzata all’occupazione e dal punto di vista più strettamente economico e ravvicinato: controllare risorse minerarie ed energetiche, garantire industrializzazione e commercializzazione dei prodotti anche rafforzando le infrastrutture e i trasporti oltre alle comunicazioni e alle telecomunicazioni. Un tanto, nella consapevolezza di dover aprire i rispettivi confini alla libera circolazione delle persone e delle merci. Che un processo decoloniale sia in atto sembra dimostrarlo di fatto il Niger che, il giorno precedente il vertice del 6 luglio, ha proceduto alla nazionalizzazione delle miniere d’uranio di Madaouela, espropriando di fatto la compagnia canadese GoviEx che vi ha fatto investimenti miliardari.
Dal canto loro, le popolazioni, almeno inizialmente, sembrano aver riposto grande speranza in questa nuova istituzione, sfibrate da decenni di povertà, disordine politico e una annichilente insicurezza: i sostanziali moventi delle bande del terrore che attanagliano la regione. Da questo circolo vizioso che oltre a circa 8000 morti e indicibile violenza, ha prodotto oltre 6 milioni di IDPs (Internally displaced persons) il Sahel non sembra uscire. Per questo, almeno apparentemente, il rischio di un simile accordo tra i tre regimi autoritari sembra preferibile alle popolazioni al continuare a sopravvivere alla giornata in un costante regime di paura, anche se non mancano voci dissidenti e colme di preoccupazione per l’assenza sostanziale di un dialogo delle nuove leadership con le altre forze politiche, di fatto, congelate e per il bavaglio imposto alla stampa. Questa nuova “contagion kaki” non sembra aver nulla, ma proprio nulla a che fare con l’analogo fenomeno che aveva preso piede tra gli anni ‘70 e ‘80 in Africa, laddove i regimi militari congelavano la situazione di stress politico-economico, per rimettere il potere nelle mani di un governo eletto. I golpisti saheliani programmano apertamente permanenze pluriennali al potere, sebbene ne dichiarino una data di scadenza.

La liberazione di Kidal (Mali) dai combattenti del Mouvement national pour la libération de l’Azawad (MNLA) e della più estesa confederazione del Cadre stratégique Permanente (CSP), movimenti di lotta tuareg, a fine 2023, è stato il primo risultato della collaborazione tra esercito maliano, la Forza Unificata degli Stati del Sahel e il Wagner group, nota PMC (Private Military Company) russa, trasformatasi nel frattempo nell’Africa Corps. E un tanto è valso il primo turno di presidenza della coalizione al Mali. Dal canto loro, i tuareg si sono alleati nel Cadre stratégique pour la défense du peuple de l’Azawad (CSP-DPA), guidato da Bilal Ag Acherif, facendo intendere di non aver intenzione di mollare la presa. Le nuove alleanze dell’AES, con Russia, Turchia e Iran, destano preoccupazione anche fra i vicini. Il 7 luglio anche l’ECOWAS si è riunita, confermando peraltro la Presidenza di Tinubu, Presidente della Nigeria il cui mandato era in scadenza. In quest’occasione, questi ha richiamato tutti gli stati membri ad un maggiore impegno, anche finanziario, contro il terrorismo islamista nella regione. Nel corso dello stesso vertice, Omar Alieu Touray, Presidente della Commissione ECOWAS, ha brandito lo spettro dell’“isolamento politico” che aleggerebbe sull’AES nel proseguire lungo questa linea, non mancando tuttavia di prefigurare le ricadute del danno economico sull’ECOWAS e l’indebolimento della stessa forza regionale. La Commissione ECOWAS aveva infatti richiesto la creazione un contingente di 5.000 soldati per un costo di circa 2,6 miliardi di dollari all’anno da rafforzarsi progressivamente a partire da un piccolo esercito di 1500 truppe. Di fronte a una simile lentezza di reazione nel tentare di colmare lo “scoperto” lasciato dalle forze francesi sin dal ‘22, non si può non guardare con nostalgia ai tempi dell’ECOMOG – ovvero alla forza armata multilaterale dell’ECOWAS che, basata su un accordo formale di collaborazione tra eserciti nazionali separati, nel corso degli anni ’90 si è adoperata per contenere i conflitti in Sierra Leone e Liberia. Per quanto efficace, il debole mandato legale e lo squilibrio nella sua composizione costituivano un problema: era soprattutto sostenuta dal personale e dalle risorse delle Forze armate nigeriane, mentre ridotti contingenti degli altri paesi dell’ECOWAS davano il loro supporto. Tuttavia, a dispetto delle debolezze, la capacità di attrezzare in tempi rapidi delle forze militari efficaci per sedare e contenere i problemi interni alla comunità regionale è evidentemente andata perduta, proprio per l’assenza di quella volontà politica coesa richiamata da Bola Tinubu che, in definitiva, è la vera causa di questa scissione.

L’atteggiamento dell’ECOWAS non è dunque cambiato, eppure, il rischio che gli altri stati golpisti in Africa occidentale, come il Togo (in cui, si è di fatto compiuto un “colpo di stato costituzionale” la scorsa primavera), il Chad e la Guinea, si associno all’AES non è peregrino. Già gli eserciti di Togo e Chad si sono uniti alla Forza Unificata degli Stati del Sahel e, nei mesi scorsi, hanno condotto esercitazioni congiunte nell’Operazione Tarhanakale (letteralmente, “amor di patria”, in tamajek) nel centro d’addestramento di Tillia in Niger, mentre il contingente italiano di stanza in Niger ha addestrato un gruppo di 57 paracadutisti nigerini, in una collaborazione innegabile tra un Paese democratico e un regime golpista. Decisamente si apre un’era nuova.

[Ousmane Makaveli/AFP]

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Per saperne di più:

“AES 1st Summit: Burkina Faso President Captain Ibrahim Traoré Delivers Historic Speech”, Internationalist 360°, 7 July 2024.

“Mali, Niger, Burkina Faso: How a triumvirate of military leaders are redrawing West Africa’s map”, France24, 12 July 2024.

“Niger: la missione bilaterale italiana brevetta nuovi paracadutisti nigerini”, Ministero della Difesa italiano, Difesa.it, Niamey, 30 giugno 2024.

“Primo storico vertice delle giunte golpiste di Mali, Burkina Faso e Niger a Niamey”, Africa rivista online, 5 luglio 2024.

“Togo and Chad join forces against terrorism with AES”, Ecofin Agency, 28 May 2024.

“Tre giunte golpiste del Sahel riunite a Niamey, Ecowas chiama all’unità”, Africa rivista online, 8 Luglio 2024.

“Tuareg Coalition Threatens Continued Instability in Northern Mali”, ADF (African Defence Forum) Daily News, 21 May 2024.

Adekaiyaoja A., “Alliance of Sahel States (AES): Yet Another Regional Bloc in West Africa”, CDD West Africa, 25 March 2024.

Booty N. e Negoce N., “Togo constitution: Parliament passes reforms likened to coup”, BBC News, 20 April 2024

Casola C. (a cura di), Unraveling the Sahel: State, Politics and Armed Violence, ISPI DOSSIER March 2021.

Casola C., Sahel. Conflitti, migrazioni e instabilità a sud del Sahara, Il Mulino UPM, 2022.

Chiara E. (Centro studi AMIStaDeS APS), “Quali conseguenze dopo l’uscita dall’Ecowas dell’Alleanza degli Stati del Sahel?” Africa Rivista – Quaderni Africani, 30 Marzo 2024.

Friedrich-Ebert-Stiftung Peace and Security Centre of Competence Sub-Saharan Africa, The AES Countries’ Exit from ECOWAS and the Building of Regional Security, PSCC Analytical note, 23 May 2024.

Iocchi A., Resistenti, ribelli e terroristi nel Sahel. Dall’occupazione coloniale alle crisi contemporanee (1897-2022), Carocci 2023.

Mazzantini U., “La disintegrazione della Cedeao e l’uranio del Sahel: I governi militari di Burkina Faso, Mali e Niger formano la Confédération des États du Sahel e scacciano le multinazionali minerarie occidentali”, Green Report, 9 luglio 2024.

[1] Cristiana Fiamingo è docente di Storia e Istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici dell’Università degli studi di Milano e vice-direttrice della rivista NAD.

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