di Laura Alessandra Nocera
Dopo la caduta del precedente governo, guidato da Isa Mustafa (LDK), a seguito della mozione di sfiducia votata il 10 maggio scorso, l’11 giugno si sono tenute in Kosovo le elezioni generali, le prime con la partecipazione di grandi coalizioni elettorali: una coalizione di centro-destra (PAN), formata dal Partito Democratico del Kosovo (PDK), dall’Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK) e dal movimento NISMA, guidata dal candidato premier Ramush Haradinaj; una coalizione di centro-sinistra, composta dalla Lega Democratica del Kosovo (LDK) e dalla nuova formazione politica “Alleanza per il nuovo Kosovo” (AKR), guidata dall’ex ministro delle finanze Avdullah Hosti; il movimento nazionalista di sinistra Vetevendosje (VV), guidato da Albin Kurti.
Tuttavia, i risultati delle elezioni hanno creato una situazione di instabilità e di stallo politico che si è protratta tutta l’estate, facendo temere una crisi politica analoga a quella del 2014 che aveva condotto a sei mesi di trattative per la formazione dell’esecutivo. La coalizione guidata dal PDK, infatti, ha ottenuto la maggioranza semplice alle elezioni, con una percentuale di voti del 33,74%, pari a 39 sui 120 seggi del Parlamento unicamerale, mentre la coalizione LDK-AKR ha ottenuto il 25,5% dei voti, corrispondenti a 29 seggi. Dalle urne è risultato un forte incremento del movimento Vetevendosje, che, con il 27,4% dei voti e ben 32 seggi parlamentari, è diventato la seconda forza politica del Paese, in grado di generare una situazione di incertezza nella formazione del governo.
Infatti, benché la coalizione di centro-destra sia risultata prima alle elezioni, non è in grado, da sola, di formare l’esecutivo: servono 61 seggi per avere la maggioranza dei voti parlamentari necessari per esprimere la fiducia al nuovo governo.
Questa instabilità immediatamente successiva alla proclamazione dei risultati elettorali ha reso obbligatorio procedere a trattative post-elettorali tra tutti i partiti che hanno ottenuto dei seggi parlamentari. Tali accordi si sono rivelati indispensabili per l’elezione del Presidente della Camera, che la Costituzione kosovara impone come condizione necessaria per la formazione del governo. Durante l’estate, il Parlamento si è riunito per ben sei volte senza esprimere il nome del Presidente. Mancando la convergenza di voti su un unico candidato, è stato impossibile per il Presidente della Repubblica, Hashim Thaci, dare mandato ad un Primo Ministro per formare il governo e chiedere la fiducia al Parlamento.
Per uscire da questo stallo politico, la coalizione capeggiata da Ramush Haradinaj ha stretto diverse alleanze con partiti rappresentanti di minoranze etniche (tra i quali la Lista Serba che ha ottenuto ben 9 seggi), incrementando, così, la maggioranza di altri 20 seggi. Il numero minimo di 61 seggi sarebbe assicurato dal sostegno di almeno due esponenti del LDK, in chiaro contrasto con la politica del suo leader ed ex premier Isa Mustafa e probabilmente in uscita dal proprio partito. Si tratta, comunque, di una maggioranza molto fragile, basata su un’alleanza precaria con i partiti etnici e sul sostegno esterno di politici della coalizione avversaria.
Il vero punto di svolta si è avuto solo lunedì 4 settembre, quando il tycoon Behgjet Pacolli, leader della formazione politica AKR, ha annunciato la scissione dalla coalizione pre-elettorale con LDK e l’intenzione di confluire nella compagine governativa guidata dal PDK, ai fini della formazione di un esecutivo stabile con ampio sostegno tra le forze politiche. Visto il successo alle elezioni del partito di Pacolli, forte di ben 4 seggi parlamentari, la nuova alleanza si rivelerebbe la vera chiave di volta per uscire dallo stallo politico e consentirebbe di ottenere un numero sufficiente di seggi parlamentari (65) sia per l’elezione del Presidente della Camera sia per la votazione della fiducia al governo. Si è creata, così, una coalizione post-elettorale tra il candidato premier Ramush Haradinaj, leader di AAK, Kadri Veseli, leader del PDK che, presumibilmente, sarà eletto Presidente della Camera, Fatmir Limaj, leader del movimento NISMA ed ex combattente per la liberazione del Kosovo, e Behgjet Pacolli, il quale potrebbe reclamare per la sua formazione politica dei ministeri chiave.
Tuttavia, la situazione rimane ancora piuttosto fragile e i rischi di instabilità permangono in modo evidente, vista la forte eterogeneità dei partiti componenti la coalizione di governo. Resta elevato il timore di un voto negativo sulla fiducia, che condurrebbe con ogni probabilità a nuove elezioni dall’esito incerto o ad una crescita di affermazione del movimento nazionalista di Albin Kurti, contrario alla ripresa del dialogo con la Serbia e profondamente inviso alla minoranza serba presente in territorio kosovaro.
Fonti:
www.eastjournal.com
www.balkaninsight.com
www.europeanwesternbalkans.com
www.prishtinainsight.com
www.reuters.com
www.ifes.org
www.kqz-ks.org