Ricordiamo innanzitutto che il procedimento per l’accusa costituzionale contro il capo dello Stato è previsto dall’art. 65 della Costituzione ceca, che ai commi 2 e 3 rispettivamente prevede
(2) Il Senato può, col consenso della Camera dei deputati, presentare un’accusa costituzionale contro il Presidente della Repubblica dinanzi alla Corte costituzionale, in caso di tradimento o grave violazione della Costituzione o di altra parte dell’ordinamento costituzionale; per tradimento si intende un comportamento del Presidente della Repubblica diretto contro la sovranità e l’integrità della Repubblica, come pure contro il suo ordinamento democratico. La Corte costituzionale sulla base dell’accusa costituzionale del Senato può decidere che il Presidente della Repubblica debba perdere la sua carica presidenziale e la capacità di occuparla nuovamente.
(3) Per l’adozione della proposta di accusa costituzionale da parte del Senato si richiede il consenso della maggioranza dei tre quinti dei senatori presenti. Per l’adozione del consenso della Camera dei deputati alla presentazione dell’accusa costituzionale si richiede il consenso della maggioranza dei tre quinti di tutti i deputati; se la Camera dei deputati non esprime il suo consenso entro tre mesi dalla data in cui il Senato l’ha richiesto si intende che il consenso non sia stato dato.
Tale è la versione dell’art. 65 vigente dall‘8 marzo 2013, data di entrata in vigore di (parte) della revisione costituzionale che aveva introdotto l’elezione diretta del Presidente (legge costituzionale 71/2012: il resto della revisione era entrato in vigore dal I ottobre 2012) mentre la versione in vigore fino al 7 marzo 2013, e dunque applicabile a Klaus, prevedeva: «Il Presidente della Repubblica può essere perseguito per alto tradimento dinanzi alla Corte costituzionale sulla base di un’accusa del Senato. La pena comminabile può essere la perdita dell’ufficio presidenziale e della capacità di occuparlo nuovamente. Il Presidente della Repubblica non può mai essere perseguito penalmente per reati commessi durante l’esercizio delle sue funzioni»
Il ricorso contro Klaus era stato presentato alla Corte costituzionale il 5 marzo 2013 dal Senato, che riteneva che tramite una serie di atti il Presidente si sarebbe reso colpevole di alto tradimento. Si trattava di un insieme di cinque comportamenti che avrebbero dimostrato l’agire delittuoso del capo dello Stato e precisamente:
- Il mancato perfezionamento del procedimento di ratifica della decisione del Consiglio europeo con cui si modificava l’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in relazione al meccanismo di stabilità nell’eurozona. A favore di tale ratifica avevano espresso il proprio consenso entrambe le camere del parlamento;
- Il Presidente avrebbe omesso di agire relativamente alla copertura dei posti vacanti di giudice costituzionale;
- La proclamazione di un’ampia amnistia (che avrebbe riguardato anche i colpevoli di noti casi di corruzione e crimini nella sfera economica);
- Il mancato rispetto di una decisione giurisdizionale relativa al ricorso per la nomina a giudice dell’allora candidato giudice Peter Langer;
- Il Presidente avrebbe omesso di agire nell’ambito della ratifica del protocollo addizionale alla Carta sociale europea
La Corte costituzionale, nell’ordinanza resa in seduta plenaria, si è pronunciata primariamente sulla finalità dell’accusa e di tale tipo particolare di procedimento, precisandone la natura «quasi penale». Secondo la Corte si tratta di un istituto che riguarda la responsabilità del Presidente in caso di «delitto costituzionale» (ústavní delikt). Lo scopo di tale tipo di procedimento non sarebbe quello di fornire al ricorrente l’interpretazione del diritto costituzionale oggettivo quanto di decidere se il Presidente abbia commesso o non commesso un comportamento delittuoso che raggiunge l’intensità del tradimento. Altro scopo consequenziale è quello di privare del mandato il Presidente affinché non possa ulteriormente danneggiare o minacciare gli interessi dello Stato. In una situazione in cui la persona non riveste più tale funzione costituzionale questo significato fondamentale del procedimento non viene tenuto in considerazione.
Considerando il carattere «quasi penale» (kvazitrestní charakter) di tale procedimento poi la Corte ha fatto riferimento anche a quella disposizione della legge 182/1993 sulla Corte costituzionale che ha disciplinato con validità fino al 7 marzo 2013 l’obbligo della Corte costituzionale di far cessare il procedimento sull’accusa ed ha dunque spiegato il rapporto tra la precedente disciplina giuridica che all’art. 98, comma 3 imponeva alla Corte l’obbligo di continuare il procedimento solo in caso di dimissioni (abdikace) del Presidente nel corso del procedimento e la nuova disciplina, in vigore dall‘8 marzo 2013, che ha integrato tale disposizione con l’obbligo di continuare il procedimento anche dopo la scadenza del mandato del Presidente.
La Corte ha evidenziato come, tenendo conto del tipo di procedimento, sia necessario applicare la norma più favorevole all’accusato, che risulta essere indubbiamente la norma precedente. L’assenza di una regola in tal senso espressamente stabilita nella legge sulla Corte costituzionale nella versione in vigore fino al 7 marzo 2013 indicherebbe una lacuna legislativa che deve essere colmata col ricorso all’analogia, ovviamente analogia a favore dell’accusato. Tale disposizione analogica, che nella precedente disciplina giuridica espressamente decideva per la cessazione del procedimento, è la disposizione dell’art. 98, comma 2 della legge sulal Corte costituzionale, che riguarda proprio la situazione in cui il Presidente (qui a seguito di decesso) non esercita più le sue funzioni.
La Corte costituzionale ha anche sottolineato che la possibilità che che il procedimento sull’accusa costituzionale continui dopo la cessazione dell’ufficio presidenziale è in generale esclusa e le eventuali eccezioni devono essere esplicitamente stabilite dalla legge. Mentre la precedente versione della legge ammetteva tale eccezione solo nel caso di dimissioni del Presidente, la nuova disciplina ha ampliato tale eccezione anche al caso di cessazione delle funzioni a causa della scadenza del mandato.
Per tutti questi motivi la Corte non ha ravvisato spazi per la possibilità di proseguire il procedimento alla scadenza del mandato dell’ex Presidente e pertanto ha interrotto il procedimento.
Ha espresso un’opinione dissenziente la giudice Ivana Janů. Ha espresso un’opinione dissenziente solo nei confronti della motivazione il giudice Stanislav Balík.
Angela Di Gregorio
Fonte: www.concourt.cz (sito della corte costituzione ceca)