LA PACE NEL NAGORNO-KARABAKH E LE SUE CONSEGUENZE
NEL CAUCASO MERIDIONALE
di Alessandro Gavazzi[*]
Pare essersi concluso, dopo oltre un mese e mezzo, il conflitto che ha visto Armenia e Azerbaigian impegnati sul fronte del Nagorno-Karabakh. Durante questi 90 giorni gli abitanti della regione sono stati testimoni dell’ennesima esplosione del “conflitto congelato” che da venticinque anni perdura tra i due Paesi alle pendici del Caucaso meridionale, alternando fasi di relativa calma a periodi di violenza.
Gli scontri sono iniziati lo scorso 27 settembre, il giorno successivo alla fine dell’operazione Kavkaz 2020, concretizzata in esercitazioni militari congiunte di 12 paesi tra osservatori ed operativi (per un totale di circa 80.000 uomini schierati) nel Cabardino-Balcaria, nella Russia meridionale, svoltesi sotto la guida di Mosca. Anche azeri ed armeni erano presenti. Il conflitto si è protratto fino all’11 di novembre, giorno in cui è stato firmato l’accordo di pace sottoscritto dai due paesi belligeranti sotto il patrocinio russo.
L’accordo, definito dallo stesso Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan “unspeakably painful”, sancisce il successo militare azero e ribalta la situazione che perdurava sin dal cessate-il-fuoco del 1994. L’Armenia è infatti costretta a cedere la regione del Nagorno-Karabakh, il corridoio di Lachin, la città di Shushi e i sette distretti ad essi adiacenti. Questi territori, pari al 10% dell’intero territorio azero, erano stati occupati nel corso della guerra del 1992-1994 e da allora fino a novembre sono rimasti sotto il controllo armeno.
I punti di vista dei due paesi a proposito di quale dovrebbe essere la collocazione politica della regione sono, naturalmente, antitetici. L’Armenia, appellandosi al principio dell’autodeterminazione dei popoli, rivendica l’Artsakh – toponimo armeno per indicare il Nagorno-Karabakh – come proprio, considerandolo culla ancestrale della nazione in quanto storicamente abitato in maggioranza da popolazione di origine armena. Quest’ultima può fregiarsi della simpatia della comunità internazionale, a causa delle complesse vicende affrontate dalla gente armena nel corso della sua storia, prime tra tutte il Medz Yeghern, il “grande crimine” del genocidio di inizio secolo. L’Azerbaigian, d’altro canto, basa le proprie rivendicazioni sulla base del diritto internazionale e può contare sul favore dei governi: i territori contesi sono de facto parte integrante dello Stato azero, sui quali quest’ultimo dovrebbe essere capace di esercitare la propria piena sovranità senza ingerenze esterne.
Azerbaigian e Armenia non sono però gli unici attori presenti sulla scena. Il teatro del Caucaso meridionale è infatti incastonato tra due potenze la cui influenza sulla regione non può essere ignorata: la Federazione Russa, a nord, e la Repubblica di Turchia, a sud-ovest. Entrambi i paesi hanno ricoperto un ruolo importante nella contesa per il Nagorno-Karabakh, che solo a prima vista appare una semplice questione di confine tra armeni ed azeri ma, in virtù del coinvolgimento di Mosca ed Ankara, assume dimensioni e rilevanza di portata più ampia. La Turchia ha partecipato in maniera più attiva al conflitto armato, seppur non direttamente, attraverso il sostegno accordato all’Azerbaigian: le popolazioni dei due paesi sono infatti legate da profondi legami storici, religiosi ed etnico-culturali come l’espressione “due stati, una nazione”, citata anche dal presidente azero Ilham Aliyev, dimostra. Il contributo della Russia alla causa armena, tanto atteso, non è invece stato giudicato sufficiente ed è anzi stato percepito come un tradimento. Mosca si è tenuta infatti in disparte durante le prime settimane di conflitto per farsi coinvolgere successivamente ma solo a livello diplomatico, nonostante l’Armenia sia membro della CSTO e, in quanto tale, alleato militare della Russia. La Federazione intrattiene tuttavia buoni rapporti anche con l’Azerbaigian, importante partner commerciale (soprattutto in campo economico ed energetico), e accoglie in pianta stabile all’interno dei suoi confini un elevato numero di cittadini di origini armene ed azere. Per questi motivi la Russia non si è schierata apertamente nel conflitto a sostegno dell’una o dell’altra causa ma ha preferito agire come mediatore. Prive del supporto militare russo, le forze armene si sono presto rivelate inferiori a quelle del nemico, forti dell’appoggio turco e di una disponibilità economica sensibilmente più elevata.
Appaiono evidenti, in proposito, le differenze tra il conflitto degli scorsi mesi e quello combattuto agli inizi degli anni ’90. Allora il coinvolgimento di paesi terzi fu del tutto trascurabile, la Turchia “non inviò neppure un elicottero” e la Russia si limitò a prendere atto dell’esito del conflitto riconoscendo le occupazioni armene. Nel corso degli ultimi 25 anni, la situazione è cambiata radicalmente: in virtù del coinvolgimento di potenze di caratura globale la regione ha guadagnato una maggiore rilevanza internazionale e una più ampia copertura mediatica. In questo nuovo contesto, la contesa per il Nagorno-Karabakh ha assunto un nuovo significato. Le ricchezze accumulate grazie allo sfruttamento dei ricchi giacimenti petroliferi e di gas sul mar Caspio hanno portato l’Azerbaigian ad estendere la propria influenza e ad incrementare il proprio potere nella regione, stravolgendone l’equilibrio geopolitico. Inoltre, la nuova direzione intrapresa dalla politica estera turca negli ultimi anni – più attiva e aggressiva, non solo nella zona di interesse tradizionale – e il crescente sostegno accordato a Baku hanno convinto quest’ultimo che i tempi fossero maturi per tentare di riconquistare i territori e l’orgoglio nazionale persi nel ’94.
Ma per il presidente azero Aliyev questo potrebbe non essere un obiettivo sufficiente. Aliyev ha infatti visto l’opportunità di realizzare un progetto fino a dieci anni fa impensabile: il ricongiungimento dell’intero territorio nazionale. La Repubblica autonoma di Nakhichevan è infatti un’enclave in territorio armeno facente parte dell’Azerbaigian, scollegata dal resto del paese e confinante ad ovest con la Turchia. Realizzare il collegamento terrestre permetterebbe a Baku di controllare il territorio nazionale senza soluzione di continuità e ad Ankara di ottenere un più facile accesso ad est, con collegamenti diretti con il mar Caspio e la conseguente capacità di trasportare risorse energetiche verso l’Anatolia e il Mediterraneo evitando le infrastrutture georgiane, situate più a nord e soggette al controllo russo. Affinché il collegamento fisico tra Turchia e sponde azere sul mar Caspio sia realizzato, è fondamentale il controllo sul cosiddetto corridoio di Lachin il quale, considerato un “fondamentale snodo del mondo turco”, rappresenta il fazzoletto di terra che consente la connessione tra Nagorno-Karabakh e Armenia. Questo obiettivo è stato raggiunto dalle forze azere con la presa della città di Shusha (Shushi per gli armeni), evento che ha provocato grandi manifestazioni di gioia in Azerbaigian e profondo sconforto dall’altra parte del confine. Infatti, la città – la “Palmira del Nagorno-Karabakh” – ricopre sì un ruolo chiave sul piano strategico, ma per la popolazione di quelle terre ha un significato ancora più importante sotto il profilo storico e simbolico; la sua riconquista per mano azera rappresenta per Erevan anche un duro colpo morale.
Secondo l’accordo di pace, l’Azerbaigian ottiene il controllo su Shusha e su Lachin, mentre le forze di peacekeeping russe, inviate per vigliare sul rispetto dei termini dell’accordo stesso, sono tenute a garantire ai soldati azeri (e turchi) il libero passaggio attraverso un corridoio in territorio armeno rendendo effettivo il collegamento Ankara–Baku attraverso il Nakhichevan e il Lachin. In questo modo, viene sancita la totale sconfitta – e l’umiliazione – armena a vantaggio dell’Azerbaigian, il quale vede riconosciuta la sua nuova posizione di prestigio all’interno della regione, ottenendo un’alterazione a proprio favore di quello status quo che perdurava da decenni.
La pace di novembre porta in dote diverse conseguenze e decreta il riconoscimento della variazione degli equilibri avvenuta dal ’94 ad oggi. Innanzitutto, viene indirettamente certificato il fondamentale ruolo svolto dalla Turchia, che entra prepotentemente nell’area di tradizionale influenza sovietica e ottiene il tanto agognato collegamento – “dal Caspio alla Tracia” – a testimonianza della sua crescente influenza nel Caucaso. Ankara vede così ripagati i suoi sforzi in politica estera, a conferma del prestigio che gode tra i paesi musulmani. Anche per la Russia il risultato complessivo può essere considerato soddisfacente. La Federazione si riconferma infatti – nonostante la Turchia accorci le distanze – attore principale nel Caucaso meridionale, capace di imporsi come mediatore principale e di condurre i negoziati diplomatici sfociati in un accordo che, seppur non ottenuto in tempi da record, le permette di ottenere svariati vantaggi. La presenza in pianta stabile di forze di peacekeeping russe (per un totale di circa 2000 uomini) permetterà al Cremlino di aumentare considerevolmente la sua influenza tra i mar Nero e il mar Caspio e garantirà un maggiore controllo sulla regione. Il riconoscimento internazionale delle conquiste territoriali azere è un ramoscello d’ulivo porto ad Aliyev, che avrà effetti positivi sulle relazioni tra i due paesi, specialmente in campo economico ed energetico. Infine, Putin ottiene l’indebolimento del consenso interno a sostegno del Primo Ministro armeno: Pashinyan, regolarmente eletto in seguito alla sua vittoria nelle elezioni del 2018, è infatti considerato eccessivamente filoamericano e per questo malvisto a Mosca.
Il vero sconfitto, dopo un mese e mezzo di conflitto, appare perciò chiaramente essere l’Armenia. Erevan infatti perde il controllo su territori strategicamente importanti, vede il suo status nella regione pesantemente indebolito e – la proverbiale beffa che accompagna il danno – non può nemmeno incolpare Mosca per questo: l’alleato russo non è infatti intervenuto in suo soccorso, è vero, ma se non fosse stato per il suo fondamentale ruolo nella contesa in qualità di arbitro e mediatore il conflitto sarebbe probabilmente proseguito, arrivando forse a minacciare la sopravvivenza stessa della sovranità armena. Il Primo Ministro si è dunque visto costretto, per ottenere la salvezza del suo paese, a scegliere un’umiliante sconfitta politica e morale, esponendosi anche ai taglienti attacchi retorici di un tronfio Aliyev (“Ne oldu, Pashinyan?[1]”) e all’ondata di risentimento che ha inondato il paese all’alba del 12 novembre. L’occupazione del palazzo del Parlamento nei giorni successivi alla firma e le insistenti richieste di dimissioni da parte delle opposizioni testimoniano la delusione del popolo armeno.
Per quanto riguarda il ruolo interpretato da altri attori, esso è trascurabile. Motivo di vanto per Mosca è infatti essere riuscita là dove Francia e Stati Uniti, co-rappresentanti – insieme alla stessa Russia – del Gruppo di Minsk, hanno fallito: i tentativi di mediazione precedentemente condotti dai paesi OCSE, complice la mancanza di coordinamento e l’assenza di una strategia comune, non si sono rivelati efficaci. Il contributo delle potenze occidentali non ha portato a risultati concreti, e queste ultime si sono altresì tenute ai margini dei colloqui di pace. Anche la stessa Unione Europea, dato per impensabile l’intervento militare diretto, ha fatto registrare solo timidi tentativi di mediazione diplomatica, nonostante l’appartenenza di Armenia e Azerbaigian al Partenariato Orientale, progetto di integrazione politica ed economica e di progressivo avvicinamento di diversi Paesi dell’Europa orientale e del Caucaso agli standard comunitari. L’epilogo del conflitto non ne è la migliore delle pubblicità.
Anche l’Iran e la Georgia, paesi non trascurabili nel contesto regionale, si sono tenuti in disparte. Teheran, un tempo “peso massimo caucasico”, giustifica la sua scelta anche per timore che le conseguenze di un coinvolgimento nel conflitto avrebbero potuto avere sulla popolazione iraniana di origine turca, pari a un terzo del totale (lo stesso Khameini, Guida Suprema, ha sangue armeno). Anche la Georgia non si è dimostrata desiderosa di farsi coinvolgere a livello militare, nonostante il suo supporto all’Azerbaigian, derivato da considerazioni di convenienza economica e dall’analogia esistente tra la condizione di Abkazia e Osssezia del Sud – territori giuridicamente georgiani animati da forti velleità separatiste – e quella del Nagorno-Karabakh azero.
In conclusione, l’accordo raggiunto a metà novembre ha il grande merito di fermare gli scontri e concedere una tregua alle popolazioni delle regioni interessate dal conflitto, duramente colpite dagli scontri degli ultimi mesi ma da lungo tempo minacciate dall’instabilità politica che caratterizza le terre che abitano sin dalla caduta dell’Unione Sovietica. Tra gli aspetti positivi è da citare anche il consenso, ottenuto da ambo le parti, circa la reciproca liberazione dei prigionieri di guerra e la restituzione dei corpi dei soldati caduti al fronte.
Tuttavia, l’accordo siglato è ben lontano dall’essere perfetto, molte questioni sono irrisolte e altre ancora non sono state nemmeno discusse. La più grave omissione è quella relativa alla futura evoluzione giuridica del Nagorno-Karabakh. Lo status della regione non è stato infatti chiarito, né sono state date indicazioni precise circa la sua collocazione politica, il che condanna il Nagorno-Karabakh a rimanere un territorio conteso: de jure, esso continua ad essere territorio azero, ma de facto diversi territori minori permangono sotto il controllo congiunto russo-armeno. Questa incertezza – se i passati decenni hanno insegnato qualcosa – ha tutte le carte in regola per portare, in futuro, ad ulteriori scontri. Un’altra lacuna nel testo riguarda il coinvolgimento delle truppe turche nelle operazioni di peacebuilding e peacekeeping: non è chiaro se ad operare al fianco dei russi, già presenti sul territorio, andranno ad affiancarsi forze di Ankara. La Russia ha parlato di “coordinamento” delle operazioni con i turchi, ma non è ancora stata ufficialmente menzionata un’effettiva cooperazione militare nonostante la mozione, presentata dallo stesso Erdogan presso il parlamento, riguardante il dispiegamento di truppe turche in territorio azero. Inoltre, durante un discorso del 13 novembre Putin ha invocato la partecipazione attiva di altri attori, tra i quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, lasciando intendere come la volontà russa miri ad una più ampia cooperazione internazionale nella risoluzione della questione; tale richiesta, almeno fino ad ora, non ha però ottenuto risposte concrete. Infine, un altro nodo da sciogliere è quello che riguarda la durata dell’accordo. Valido per cinque anni dalla stipulazione, non è chiaro se e per quante volte potrà essere rinnovato in futuro, dettaglio che aggiunge ulteriore incertezza ad una situazione già sufficientemente complessa e torbida.
L’auspicio è dunque che l’attuale situazione, per quanto rimasta sostanzialmente irrisolta dopo gli ultimi accordi e per questo condannata a rimanere instabile, si mantenga in uno stato di relativa tranquillità che consenta agli abitanti del Nagorno-Karabakh di lenire le ferite, seppellire i propri morti e ricostruire le case distrutte dalle bombe. Nella snervante attesa del prossimo, probabile, conflitto.
FONTI
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- Moscatelli, M. De Bonis – “La Russia gioca alla guerra nel Caucaso”, Limes online, 5 ottobre 2020: https://www.limesonline.com/rubrica/russia-caucaso-esercitazioni-militari-kavkaz-2020-monte-elbrus-messaggio
- Ferrari – “Perché stavolta in Nagorno-Karabakh rischia di essere peggio”, Limes online,
1 ottobre 2020: https://www.limesonline.com/guerra-armenia-azerbaigian-nagorno-karabakh-turchia-russia-gruppo-di-minsk/120290 - Melikyan, A. Geybulla et al. – “Azerbaijan, Armenia and Russia sign peace deal over Nagorno-Karabakh”, CNN News online, 10 novembre 2020: https://edition.cnn.com/2020/11/09/europe/nagorno-karabakh-shusha-armenia-azerbaijan-russia-intl/index.html
- Shiriyev – “Old Conflict, New Armenia: The View from Baku”, Ispi online, 6 settembre 2019:
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/old-conflict-new-armenia-view-baku-22206 - De Luca – “Nagorno Karabakh, aria di guerra”, Ispi online, 28 settembre 2020:
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- Dyer – “Cosa c’è dietro gli scontri nel Nagorno Karabakh” (trad. di F. Ferrone), Internazionale online, 29 settembre 2020: https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2020/09/29/armenia-azerbaigian-nagorno-karabakh
- Zacchi – “Nagorno Karabakh, intervista doppia: parla l’Ambasciatore armeno in Italia”, Geopolitica.info online, 12 novembre 2020: https://www.geopolitica.info/nagorno-karabakh-intervista-doppia-parla-lambasciatore-armeno-in-italia-esclusiva-di-geopolitica-info/
- Pommier – “Nagorno Karabakh, intervista doppia: parla l’Ambasciatore azerbaigiano in Italia”, Geopolitica.info online, 12 novembre 2020: https://www.geopolitica.info/nagorno-karabakh-intervista-doppia-parla-lambasciatore-azerbaigiano-in-italia-esclusiva-di-geopolitica-info/
- Tafuro Ambrosetti – Nagorno-Karabakh: firmata la pace, #AskTheExpert, Ispi Youtube channel, 18 novembre 2020: Nagorno-Karabakh: firmata la pace – YouTube
- Ferrari – Scontro Armenia-Azerbaigian, #AskTheExpert, Ispi Youtube channel, 28 settembre 2020: Scontro Armenia – Azerbaigian – YouTube
- Moscatelli, D. Santoro – Nagorno-Karabakh e il nuovo Grande Gioco per il Caucaso tra Turchia e Russia, Mappa Mundi, Limes Youtube channel, 17 novembre 2020: Nagorno-Karabakh e il nuovo Grande Gioco per il Caucaso tra Turchia e Russia – Mappa Mundi – YouTube
[1] “Cos’è successo, Pashinyan?”
* Studente di Scienze Internazionali e Istituzioni Europee, Università degli Studi di Milano