LA TUTELA DELLO STATO DI DIRITTO NELL’UNIONE EUROPEA: BREVI RIFLESSIONI A MARGINE DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 17-21 LUGLIO 2020
di Elisa Gallinaro*
Il Consiglio europeo straordinario tenutosi tra il 17 e il 21 luglio 2020 – nel quale, come è noto, si è discussa l’adozione di un piano per la ripresa (c.d. recovery fund) nell’ambito del quadro finanziario pluriennale dell’Unione (QFP) per il periodo 2021-2027 – ha attratto l’attenzione dei media soprattutto per quanto concerne la capacità dell’Istituzione che riunisce i capi di Stato e di governo dei Paesi membri di fornire un significativo segnale di coesione e compattezza dell’Unione europea, promuovendo una risposta comune idonea ad attenuare l’impatto socioeconomico dell’emergenza sanitaria conseguente alla pandemia di COVID-19.
Peraltro, il vertice ha fornito spunti di riflessione anche rispetto ad altre questioni, tra le quali, sul piano giuridico, appare particolarmente interessante quella relativa alla reciproca interferenza, nel progetto di integrazione europea, tra i profili prettamente economici/finanziari, da un lato, e quelli che si caratterizzano per un più ampio respiro politico, quale la rilevanza del principio dello Stato di diritto, dall’altro. Infatti, le conclusioni del Consiglio europeo rivestono un ruolo fondamentale nell’individuazione degli orientamenti e delle priorità politiche generali dell’UE (art. 15 TUE), sicché, nonostante il loro valore essenzialmente politico e non stricto sensu vincolante, le altre Istituzioni dovranno necessariamente tenerne conto nel processo normativo di approvazione del QFP.
Questo, secondo quanto dispone l’art. 312 TFUE, “mira ad assicurare l’ordinato andamento delle spese dell’Unione entro i limiti delle sue risorse proprie”, fissando i plafond degli stanziamenti per ogni esercizio, suddivisi in ampie categorie di spesa denominate “rubriche”, ed è adottato con regolamento dal Consiglio previa approvazione del Parlamento europeo, seguendo quindi una procedura legislativa speciale; il QFP riveste rango superiore rispetto al bilancio annuale dell’UE, giacché quest’ultimo deve risultare conforme al primo.
Nel maggio 2018 la Commissione aveva presentato un pacchetto di proposte relative al QFP 2021-2027, in un secondo tempo potenziato e integrato, al fine di alleviare le conseguenze economiche della pandemia in atto negli Stati membri, con uno specifico piano per la ripresa, il Next Generation EU (COM (2020) 456 def.).
All’interno di tale pacchetto, rappresenta un aspetto particolarmente innovativo la proposta (ex art. 322 TFUE) di un regolamento sulla “tutela del bilancio dell’Unione”, per la quale, ove venisse accolta nelle formulazione avanzata dalla Commissione, al fine di “tutelare gli interessi finanziari dell’Unione dal rischio di perdite finanziarie causate da carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto di uno Stato membro”, verrebbe attribuita all’Unione la facoltà di adottare misure “opportune”, quale la sospensione o la riduzione dei finanziamenti in favore dello Stato membro nell’ambito degli impegni esistenti e il divieto di assumerne di nuovi (COM (2018) 324 def.).
La Commissione aveva giustificato la necessità di inserire detta previsione, c.d. rule of law conditionality, nel QFP 2021-2027 sostenendo che il rispetto dello Stato di diritto è “una condizione essenziale per soddisfare i principi di una sana gestione finanziaria, sanciti all’articolo 317 TFUE” e che “l’economia europea prospera perlopiù laddove il quadro giuridico e istituzionale [degli Stati membri] rispecchia appieno i valori comuni dell’Unione”. Nell’attuazione della rule of law conditionality la Commissione avrebbe un ruolo chiave, dal momento che ad essa spetterebbe il compito di proporre al Consiglio le suddette misure “sanzionatorie”, le quali verrebbero infine adottate dal Consiglio a meno che tale istituzione non si esprima in senso contrario a maggioranza qualificata (c.d. reversed qualified majority).
In linea generale, l’inserimento di siffatta rule of law conditionality nel QFP 2021-2027 rientrerebbe nel novero dei numerosi ed estremamente diversificati meccanismi di cui la Commissione negli ultimi anni ha suggerito l’utilizzo per tutelare lo Stato di diritto attraverso sistemi di controllo e sanzionatori efficaci in caso di violazioni. Essi si sono resi necessari alla luce dell’evoluzione illiberale subita da alcuni Stati membri – Ungheria e Polonia, in particolare – che ne sta minando l’indipendenza amministrativa e giudiziaria e che ha suscitato diffusa preoccupazione. È bene chiarire, però, che lo scopo principale del regolamento in discussione pare discostarsi tanto dalla specifica procedura prevista dall’art. 7 TUE per sanzionare la violazione dei valori fondamentali dell’UE, quali sanciti all’art. 2 TUE, tra cui lo Stato di diritto, quanto dagli ulteriori meccanismi a cui le istituzioni UE sono ricorse al medesimo fine: in questi casi, infatti, la violazione dello Stato di diritto viene sanzionata in via diretta in quanto, tra l’altro, pregiudizievole rispetto all’effettività del principio del mutuo riconoscimento tra gli Stati membri, nonché al fine di salvaguardare la credibilità dell’UE nell’attività di promozione dei suoi valori fondamentali nel quadro delle relazioni esterne; diversamente, l’idea di cui alla menzionata proposta di regolamento, che ricollega l’erogazione dei fondi UE al rispetto dello Stato di diritto, è formulata, come rilevato, perlopiù quale misura a tutela degli interessi finanziari dell’Unione, con specifico riguardo alla corretta esecuzione del suo bilancio. Solo indirettamente, quindi, il regolamento potrebbe avere anche un effetto deterrente in relazione alla violazione dei valori fondamentali dell’Unione, incentivando i Paesi membri a rispettare lo Stato di diritto pur di ricevere i fondi UE.
La proposta di regolamento ha trovato sin da subito l’appoggio del Parlamento europeo, che tuttavia ha chiesto che venisse significativamente emendata, segnatamente, al fine di veder rafforzato il proprio ruolo nel processo decisionale relativo all’adozione delle misure (P8_TA(2019)0349). Più prudente invece è apparsa la reazione del Consiglio, che ha in sostanza sollecitato il Consiglio europeo a fornire indicazioni (ST 9499/19 REV 1), anche a seguito delle perplessità espresse dal suo Servizio giuridico in relazione all’insolito sistema di voto a maggioranza qualificata inversa e alla sua dubbia compatibilità con i Trattati (JUR 13593/18 INIT).
Successivamente, l’introduzione di una rule of law conditionality nel QFP 2021-2027 è stata espressamente supportata dal Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nel progetto di conclusioni predisposto, in stretta cooperazione con il Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, in vista del Consiglio europeo straordinario del 17-21 e che è poi stato sottoposto ai capi di Stato e di governo in tale occasione quale base per il negoziato. Ai punti 22-25 di tale documento, veniva infatti prospettata l’introduzione di un “regime di condizionalità generale per affrontare evidenti carenze generalizzate nella buona governance delle autorità degli Stati membri per quanto riguarda lo Stato di diritto”, che sarebbero state individuate “mediante criteri chiari e sufficientemente precisi”. La Commissione, in tali casi, avrebbe proposto “misure adeguate e proporzionate, approvate dal Consiglio a maggioranza qualificata”.
Sul punto, per contro, le conclusioni infine adottate dal Consiglio europeo appaiono alquanto generiche. In esse, infatti, viene meramente ribadito, al punto A24, che “gli interessi finanziari dell’Unione sono tutelati in conformità con i principi generali sanciti dai trattati dell’Unione, in particolare i valori di cui all’art. 2 TUE” e che “il Consiglio europeo sottolinea l’importanza dello Stato di diritto”. Al regime di condizionalità generale prospettato nel progetto di conclusioni di febbraio viene fatto riferimento esclusivamente nel corposo allegato, dove, al punto 23, si riprende la previsione per la quale “la Commissione proporrà misure che dovranno essere adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata”.
La vaghezza del testo, peraltro tipica delle conclusioni del Consiglio europeo, si presta a valutazioni opposte. Negative, laddove la si consideri frutto di un compromesso “al ribasso” rispetto alla proposta iniziale, imposto dalla necessità di ottenere l’appoggio dei Paesi in relazione ai quali sono emerse le preoccupazioni maggiori quanto al rispetto dello Stato di diritto nell’isolare i cosiddetti Paesi “frugali” nell’estenuante negoziato sul recovery fund; secondo questa lettura critica, il Consiglio europeo avrebbe perso un’importante occasione per fornire un significativo supporto politico al proseguimento dell’iter legislativo relativo alla proposta di regolamento sulla salvaguardia del bilancio dell’UE da carenze generalizzate in termini di Stato di diritto. Positive, in quanto il Consiglio europeo non ha posto vincoli alla continuazione del processo decisionale nel quale il Consiglio e il Parlamento europeo, nel dialogo con la Commissione, potranno eventualmente dettagliare le modalità attraverso cui si sostanzierà la rule of law conditionality nel QFP 2021-2027.
Il giudizio finale dipenderà quindi dalla effettiva possibilità che, pur in mancanza di un più deciso sostegno da parte del Consiglio europeo, nel Consiglio siano superate le perplessità già emerse a riguardo; un richiamo a procedere in tal senso è peraltro già stato formulato dal Parlamento europeo che, nella risoluzione approvata il 22 luglio 2020 (P9_TA(2020)0206), deplorando “il fatto che il Consiglio europeo abbia significativamente indebolito gli sforzi della Commissione e del Parlamento volti a difendere lo Stato di diritto”, ha ribadito “la sua richiesta di completare il lavoro dei colegislatori sul meccanismo proposto dalla Commissione”.
FONTI:
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* Dottoressa in Relazioni internazionali. Cultore della materia di Diritto Diplomatico e Consolare e di Diritto delle Organizzazioni Internazionali, presso il Dipartimento di Studi internazionali, giuridici e storico-politici, Università degli Studi di Milano.