Il caso Janowiec and Others v. Russia, Ric. n. 55508/07 e ric. n. 29520/09 del 16 aprile 2012
di Francesca Romana Dau
All’origine del ricorso portato di fronte ai giudici di Strasburgo si trova il massacro di più di 21.000 polacchi perpetrato dall’esercito sovietico nel 1940, nel pieno degli scontri della Seconda guerra mondiale. La decisione di uccidere i prigionieri di guerra polacchi venne giustificata sulla base del fatto che fossero “nemici delle Autorità sovietiche e pieni di odio contro il sistema sovietico”. Con la fine della guerra, i responsabili del massacro avevano superato indenni le condanne del Processo di Norimberga, per “mancanza di prove” e i documenti che attestavano le volontà e i nominativi dei responsabili vennero archiviati sotto sigillo nei Palazzi del Governo di Mosca.
La sequenza dei fatti successivi rilevanti ai fini della ricostruzione del caso si può riassumere come segue. Il 13 aprile del 1990, a seguito dei grandi capovolgimenti che avevano interessato l’ordinamento sovietico, l’agenzia di stampa del Governo sovietico ha diffuso un comunicato in cui ammetteva la responsabilità della dirigenza del partito sovietico locale nel massacro dei prigionieri di guerra nella foresta di Katyn e avviava una serie d’indagini su quanto accaduto cinquant’anni prima. Il 21 settembre del 2004, di contro, veniva disposto di interrompere le indagini e la decisione veniva secretata insieme ai dossier compilati. Nel frattempo, il dossier contenente i documenti sensibili degli anni ‘40, venne reso pubblico sul sito dell’Archivio di Stato russo, mentre il 26 novembre del 2010 la Duma approvava una risoluzione in cui ammetteva la necessità di trovare la verità sui fatti di Katyn e riconosceva la responsabilità di Stalin e della dirigenza sovietica.
Il caso è stato portato di fronte alla Corte di Strasburgo da parte di tredici cittadini polacchi, parenti delle vittime del massacro, con il patrocinio del Governo polacco. Il punto del ricorso verteva sulla condotta del Governo russo, lacunosa nel fornire un’indagine adeguata di quanto accaduto e nel riconoscere ai familiari lo status di vittime di guerra, sulla base degli articoli 2, 3, 38, e 41.
In una sentenza che diventerà definitiva solo se entro tre mesi dalla data di emissione, nessuna delle parti farà richiesta di inoltrare il caso alla Grande Camera, i giudici di Strasburgo hanno messo alcuni importanti paletti per circoscrivere le responsabilità e ricucire il filo della giustizia per i crimini commessi durante la Seconda guerra mondiale, interrotto con la fine del processo di Norimberga.
Innanzitutto, il massacro della foresta di Katyn è stato definito come un “crimine di guerra” e non come un mero abuso di potere compiuto dalle Autorità militari sovietiche e caduto in prescrizione. Argomentando punto per punto le basi del ricorso, la Corte ha poi riconosciuto che con la decisione del 21 settembre 2004, di negare l’accesso ai documenti dell’indagine, il Governo russo è venuto meno agli obblighi contratti dalla Convenzione, di fornire tutto quanto necessario per il corretto svolgimento delle indagini.
La Corte, inoltre, ha condannato la Russia per violazione dell’art. 3 inquadrando come “trattamento inumano e degradante” l’aver occultato i documenti delle indagini e negato a dieci familiari delle vittime, il diritto alla verità sulla morte dei propri familiari.
Per quanto riguarda la presunta violazione dell’art. 2, la Corte si è dovuta districare tra la rilevanza capitale del diritto tutelato nel suddetto articolo e le basi giuridiche per l’esercizio della propria giurisdizione. La sentenza, infatti, presenta un profilo di particolare interesse perché interviene a circoscrivere ratione temporis l’ambito della giurisdizione della Corte. Per quanto le basi convenzionali del ricorso fossero pertinenti con il diritto violato, l’insieme dei fatti cui facevano ricorso i ricorrenti era antecedente all’entrata in vigore della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alla ratifica della stessa da parte dello Stato convenuto. Pertanto, di fronte alla mancanza di una connessione temporale, la Corte non poteva obbligare lo Stato a condurre delle indagini sulle morti citate, anche se in palese violazione del principio della protezione del diritto alla vita.
Il massacro della foresta di Katyn era sempre stato una spina nel fianco nelle relazioni diplomatiche russo-polacche e lo Stato russo aveva riconosciuto la propria responsabilità solo dopo la caduta dei regimi di socialismo reale nel 1990.
La sentenza, tuttavia, ha il sapore di un mero riconoscimento formale senza reali conseguenze giuridiche per la Russia. Da una parte, lo Stato polacco ha avuto soddisfazione morale nell’effettivo inquadramento dei fatti di Katyn nell’ambito del diritto internazionale, dall’altra tuttavia non è riuscito ad ottenere alcuna ingiunzione nei confronti di Mosca di procedere a riaprire le indagini. Per tale ragione, come traspare anche dai primi commenti della sentenza, sembra che la vicenda giudiziaria non sia ancora conclusa e il Governo di Varsavia sia intenzionato a presentare ricorso di fronte alla Grande Camera.
FONTI:
Per la lettura integrale della sentenza, si v. CEDU.Case of Janowiec v. Russia
K. Herting, Europe rights court rules on Russia Katyn massacre investigation, in Jurist paperchase, www.jurist.org, 17 aprile 2012.
J. Rogoza, The European Court of Human Rights on Katyn: a war crime with no legal consequences, in East week, vol. 15, www.osw.waw.pl, 18 aprile 2012.