LATIN AMERICA AS THE MOST DANGEROUS AREA FOR HUMAN RIGHTS DEFENDERS

L’AMERICA LATINA SI CONFERMA L’AREA PIU’ PERICOLOSA PER I DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI E DELL’AMBIENTE

di Marzia Rosti*

Il rapporto Última Línea de Defensa  presentato il 12 settembre 2021 dalla ong Global Witness conferma la pericolosità dell’America Latina per i difensori dei diritti umani e, in particolare, per i difensori dell’ambiente.

Il 2020 risulta essere stato l’anno più violento sia a livello globale, con 227 omicidi di difensori dei diritti umani, un dato in crescita rispetto al 2019 che aveva registrato 212 vittime (Global Witness, Defender el mañana. Crisis climática y amenazas contra las personas defensoras de la tierra y del medio ambiente, 2020), sia in America Latina, dove si è registrato il maggior numero di omicidi. Infatti, sette paesi dell’area figurano tra i primi dieci per numero di vittime, con la Colombia che si conferma per il secondo anno come prima nazione con 65 assassini, seguita da Messico (30), Filippine (29), Brasile (20), Honduras (17), Guatemala (13), Nicaragua (12), Perù (6) e India (4). Inoltre, Colombia e Messico sono le due nazioni in cui l’incremento degli omicidi è stato considerevole negli ultimi anni: la Colombia è passata da 24 nel 2018, a 64 nel 2019 e a 65 nel 2020; un terzo delle vittime era indigena o afrodiscendente, circa metà erano contadini e, infine, 17 delle 65 vittime erano impegnate nei programmi di sostituzione delle coltivazioni illegali nel quadro dell’attuazione degli Accordi di pace del 2016, con un crescendo di minacce e di intimidazioni da parte di organizzazioni criminali e paramilitari alle comunità rurali che aderiscono ai programmi.

Il Messico ha superato l’Honduras passando da 18 omicidi nel 2019 a 30 nel 2020; circa un terzo delle vittime erano impegnate nella difesa della terra contro la “explotación forestal” e circa la metà degli attacchi sono stati contro le comunità indigene, in una cornice di impunità che sfiora il 95% dei casi. L’Honduras, che negli anni ha favorito gli investimenti per sfruttare le risorse naturali senza tenere in considerazione le ricadute sull’ambiente e sulla popolazione, è passato da 4 vittime nel 2018, a 14 nel 2019 e a 17 nel 2020. Nel 2019 il notevole incremento delle vittime in Honduras – da 4 a 14 –  aveva fatto sì che venisse indicato come il paese più pericoloso per i difensori dei diritti, avendo registrato più omicidi pro capite[1], ma nel 2020 è stato superato dal Nicaragua, dove è aumentata la violenza contro le comunità indigene e afrodiscendenti nelle regioni del nordest e della costa per sottrarre loro le terre per l’allevamento, lo sfruttamento delle foresta e l’estrazione dell’oro. Seguono l’Honduras Colombia, Guatemala e Filippine.

Viene confermato il profilo della maggioranza delle vittime: si tratta di persone che operano in difesa della terra e dell’ambiente contro la “explotación forestal” (23 vittime), contro le dighe e in difesa dei corsi d’acqua (20), contro attività estrattive – miniere e industrie estrattive (17 vittime), agroindustria (17) – e in difesa della riforma agraria (12). Molte erano donne (più di 1 su 10 vittime) e più di un terzo degli attacchi sono stati contro esponenti di comunità indigene. Su quest’ultimo punto emerge che – fra il 2015 e il 2020 – più di un terzo degli attacchi fatali siano stati rivolti proprio contro i popoli indigeni e i loro leader, benché essi rappresentino solo il 5% della popolazione mondiale e in America Latina circa il 9,8% di quella dell’area. A ciò si aggiunge l’aspetto della criminalizzazione e della diffamazione di cui sono vittime i difensori stessi e che li rende più vulnerabili e, infine, l’impunità e la corruzione diffuse, che ostacolano l’identificazione sia degli esecutori materiali sia dei mandanti degli omicidi, delle intimidazioni e delle violenze di cui sono vittime.

Con riferimento alla Colombia, ma da estendere all’intera area latinoamericana, Global Witness evidenzia come la condizione dei difensori dei diritti umani e dei difensori dell’ambiente in particolare sia peggiorata nel 2020 con la diffusione del COVID-19. Nel contesto della pandemia infatti i difensori hanno spesso colmato il vuoto lasciato dalle istituzioni, informando le popolazioni locali sul rischio rappresentato dal virus e fornendo loro cibo, dispositivi medico-sanitari e assistenza. La pandemia però li ha indeboliti, poiché hanno dovuto fronteggiare non solo il pericolo del contagio, ma anche un aumento della violenza sia nei loro confronti, perché privi dei meccanismi di difesa e di protezione che gli Stati avrebbero dovuto garantire, sia nei confronti delle popolazioni che avrebbero dovuto difendere. L’emanazione di leggi restrittive della libertà personale e la dichiarazione dello stato di emergenza in alcuni paesi hanno poi limitato i loro spostamenti e la loro attività, mentre ha consentito a governi, a imprese e anche alla criminalità organizzata di sgomberare a volte con la violenza gli abitanti di alcuni territori strategici per le risorse naturali o per i traffici illeciti, oltre a poter localizzare i difensori ed eliminarli.

[1] 1 ogni milione di abitanti.

* Professore associato di Storia e Istituzioni dell’America latina, Università degli Studi di Milano.

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